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Pochi centimetri d’acqua brillavano al primo sole sui dorsi
degli squali nutrice. Queste piccole bestie se ne stavano le une attaccate alle
altre, immerse nei canali vicinissimi alla costa e sulle spiagge, fra labirinti
di mangrovie e piante acquatiche.
Verso l’abisso, sull’orlo della barriera, un gruppo di
squali grigi piuttosto piccoli aveva fatto fuori una lampuga di due metri e se
ne stava spartendo la carne bianca, sfilacciosa. Tre di questi squali calarono
in picchiata lungo la parete, fino a raggiungere una bio-costruzione
multicolore di piccole canne pietrificate e ombrelli di funghi sottomarini.
Mentre gli squali se ne stavano lì a ciondolare, le loro ampolle di Lorenzini
captarono qualcosa. L’enorme femmina di squalo toro era uscita dalla tana, disturbata
dagli intrusi. Gli squali grigi non riuscivano a distinguerne la forma, coi
loro piccoli occhi dalla fessura verticale, ma sapevano che era lì e
esattamente a che distanza. Erano profondamente seccati. Il più grosso –
superava di poco il metro e mezzo – cominciò la danza d’allarme. Buttò le pinne
pettorali in basso, assunse una posa ingobbita e cominciò a nuotare
esageratamente da destra a sinistra e viceversa. Lo squalo toro prese a nuotare
in un modo più fluido, tenendo d’occhio il grigio. Scivolò via, lasciando il
campo ai tre grigi. Era una femmina grossa, certo, ma gli squali grigi, col
loro carattere particolarmente aggressivo, riuscivano spesso a intimidire
bestie ben più grandi.