Ogni mattina al primo binario sta accucciato il russino. È un tizio sui trenta, di costituzione minuta, sarà alto al massimo un metro e settanta.
In una folla di gente sempre di fretta, che cammina o attende, egli risalta per la sua posizione; infatti il russino sta sempre accosciato come per andare al bagno, ma il ginocchio destro punta verso il basso mentre lui legge il giornale. Ha stile.
Il suo mondo è un binario; lo guarda dal fumo di una sigaretta e alza il sopracciglio. Aggancia gli occhi su questa o su quella donna, su questo o su quell’uomo.
Forse è moldavo, ucraino, russo, bulgaro; lo chiamo il russino, intendendo “pan-slavo”.
In estate ha una t-shirt, in inverno un giubbotto imbottito. Lo vedrete sempre coi pantaloncini corti. Ha polpacci ben definiti e scarpe da ginnastica leggere ai piedi.
M’è capitato di vederlo camminare coi suoi amici, russi enormi dalle teste piccole; un tiro via l’altro, col giornale aperto in mano, avanza a sopracciglio levato. È come se osservasse il mondo da uno schermo, è distaccato. Credo sia uno di quelli che, come dicono in Sicilia, “l’acqua lo bagna e il vento lo asciuga”. Sereno, qualunque cosa accada.
Starebbe bene con un cappello da marinaio, la telnjaska a righe e un kalashnikov a tracolla.
Ogni giorno se lo porta via un treno per Seregno.
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