Tre scheletri vestiti da frati.
Gli si avvicinarono, protendendo gli artigli. Poi, Burt
scorse i loro denti: gocciolavano di veleno nero. Huecuva!, pensò.
Sparò al primo col fucile. La pallottola si conficcò ai
piedi dello scheletro e gli innalzò attorno una gabbia di pietra. Il secondo huecuva colpì il Remington con
l’artiglio, graffiò l’acciaio brunito della canna.
Il fucile era scarico e per mettere dentro altre due
pallottole, ci sarebbe voluto del tempo, tempo che Burt non aveva. Così, fece
scivolare il Remington nella tasca e afferrò la croce.
Un huecuva
allungò gli artigli. Burt sentì una vibrazione al braccio sinistro. Urlò e fece
un passo indietro. Istintivamente, sparò con la Colt. La pallottola, d’acciaio,
rimbalzò innocua contro il cranio dello scheletrico frate.
Per quelli ci voleva argento puro.
Burt guardò il braccio, aspettando di vederselo già nero.
L’artiglio aveva stracciato il cappotto, ma non aveva toccato la pelle.
Gli huecuva
erano fra i pochi morti a essere originari della Terra e non del Mondo
Fantastico. Risalivano ai tempi dei conquistador, perciò conoscevano la Croce e
il suo potere. La vista del simbolo, costrinse il frate a proteggersi gli occhi
morti e a indietreggiare. Il veleno nero gocciolò dalle zanne sul mento d’osso.
Burt vide uno dei sicari di Conroy alzare il fucile e si
gettò a terra. La scarica a mitraglia spappolò il cranio dell’huecuva, lasciandolo una figura
grottesca, senza testa. Un attimo dopo, la negromanzia che teneva assieme
quello scheletro venne meno e lo huecuva
finì a terra, in frantumi.
Così, gli uomini di Conroy avevano anche pallottole
d’argento. Comprensibile: forse lo sciamano della CIA non si fidava appieno di
quelli del Sinodo e, conoscendone il potere di rianimare i morti, s’era
premunito.
E gli aveva fatto un favore.
Burt scaricò la Colt sull’uomo col fucile. Il primo colpo
gli aprì un fiore di sangue sulla spalla. L’uomo finì a terra urlando.
A Conroy rimaneva un solo sicario. Otho, invece era
ancora invisibile e aveva quattro negromanti. Più un huecuva… e un drago d’ossa.
Proprio il drago scattò. Le fauci si avvicinarono a Burt
con la velocità di un treno.
E dalla Crown Victoria distrutta, scaturì un fulmine
ramificato.
«Ted!» urlò Burt. Allora non era morto… non definitivamente almeno.
Il fulmine distrusse il muso del drago lasciandolo come
un’orrida gallina senza becco.
Poi, lo huecuva
fece scattare le zanne. D’istinto, Burt gli cacciò in bocca la pistola e ritirò
la mano. Poi gli mise la croce sulla fronte. L’argento sfrigolò contro le ossa
maledette e dalla bocca del morto uscì un urlo stridulo, mentre esso si
contorceva e agitava le braccia.
Burt ritirò la croce e mise la mano in tasca. Le dita si
chiusero attorno al bastone magico. Mentre Ted lanciava un altro fulmine, Burt
corse verso il cadavere del mago del Sinodo e gli puntò il bastone addosso.
Proprio mentre stava per rilasciare la magia, sentì uno strappo e finì a terra.
Dalla pancia gli sporgeva l’estremità di una punta di ghiaccio. Qualcuno gli
aveva scagliato contro un proiettile incantato!
Burt guardò…