mercoledì 28 gennaio 2015

Esemplare #131 - un racconto su wh40k

 
Esemplare #131 è ambientato nell'universo del wargame tridimensionale Warhammer 40.000.
Da Wikipedia:
Warhammer 40.000 (conosciuto anche come Warhammer 40K o semplicemente WH40K) è un wargame tridimensionale futuristico, prodotto dalla inglese Games Workshop. È incentrato su un'ambientazione futuristica che prende ispirazione dal libro Fanteria dello spazio. Il gioco ruota intorno a miniature in scala 1:65 cioè alte 28mm (originariamente erano in 20-25mm) prodotte dalla Citadel Miniatures, che rappresentano soldati, creature e macchine da guerra. Il gioco richiede una basilare comprensione della tattica delle piccole squadre e molta fortuna.
 
*** 

Lo Space Marine si fermò davanti a una porta contrassegnata col numero centotrentuno. Vicino, un uomo della guardia agitava il braccio, come se stesse richiamando un gruppo di turisti.
«Mio signore, sei l’Adeptus Astartes Marcus Astvan?»
L’uomo sapeva già la risposta, ma l’Inquisizione dava molta importanza alla procedura.
«Affermativo. Sono qui su ordine del mio capitolo.»
L’uomo guardò l’armatura potenziata dell’altro, ancora dipinta del giallo dei Magli Imperiali, e i simboli sugli spallacci contornati di rosso. Sul destro si vedeva il pugno chiuso che dava il nome al capitolo; sul sinistro c’era una freccia diretta verso l’alto con, all’interno, il numero tre in cifre romane.
Terza compagnia, squadra tattica, pensò l’uomo.
«Spero ti piaccia il nero, perché dovrai ridipingere la tua armatura di quel colore. Avrai probabilmente sentito di questo rituale della Deathwatch.» disse. «Sai cosa c’è dietro la porta?»
Il Marine non aveva apprezzato il tono, ma finse il contrario e fece un semplice gesto di diniego.
«Il tuo secondo battesimo del fuoco. Periodicamente dovrai superare prove come questa, combattendo contro esemplari alieni di mondi perduti. Servirà a prepararti ad affrontare qualsiasi xeno abbia la sfortuna di incontrare la tua squadra e il volere dell’Imperatore. Dietro la porta, Marine, farai amicizia con l’esemplare centotrentuno. Non potrai uscire finché non l’avrai ucciso o finché non sarai messo così male da non ricordarti il tuo nome. Nell’ultimo caso, sarai curato e dovrai combatterlo di nuovo. Ti piacerà sapere che nessuno è riuscito a sconfiggerlo al primo tentativo. Buona fortuna, e che l’Imperatore ti aiuti.» prima di terminare, diede un pugno alla porta, che cominciò ad aprirsi.
Astvan osservò l’uomo, gli fece un ghigno dietro la maschera dell’elmo e disse: «Non ho bisogno di fortuna: uscirò dalla stanza prima che tu abbia finito di fumare il tuo bastoncino-lho.»
«Scommettiamo?» disse l’altro e, per tutta risposta, tirò fuori la sigaretta del quarantunesimo millennio: un cilindro di carta contenente una sostanza derivata da piante aromatiche.
Nell’istante in cui la porta chiuse dentro Astvan, un vox da parete attirò l’attenzione dell’uomo.
«Calavera, non farlo entrare: test rinviato. Il Marine ci serve subito!»
L’uomo riconobbe la voce del capitano Raven e, con timore, gli rispose: «Mi dispiace, signore, è troppo tardi.»


All’interno della stanza non c’era luce, ma l’occhio geneticamente potenziato del Marine gli permetteva di vedere come se ci fosse.
Notò subito le guide della porta: erano binari arcaici e i battenti stessi scomparivano nel muro di plastacciaio tirati da un sistema di ruote dentate, uno per parte. Inoltre, l’apertura non aveva avuto un moto uniforme, ma irregolare, come se qualcuno stesse tirando i battenti a mano.
Le pareti interne erano cosparse di incrostazioni cristalline di carattere esagonale. Il colore era violaceo. Doveva essere una specie di quarzite o di ametista.
Astvan studiò meglio l’ambiente, per individuare traccia di centotrentuno. Non sapeva se aspettarsi un umanoide o una delle mostruosità corrotte dalle mutazioni e dal Caos. Tuttavia, era un veterano: aveva combattuto gli orki su un mondo-forgia e si era sempre affidato al coltello e al nero fucile requiem.
L’esemplare centotrentuno si staccò dalla parete e atterrò, girando in cerchio. Era… era… piccolo.
Aveva le dimensioni di un cucciolo, ma la fisionomia era totalmente aliena. Su otto tentacoli, dall’aria nodosa come i rami d’albero, poggiava un corpo vagamente piramidale, il cui unico punto di riferimento per il Marine era una membrana convessa come una lente e lucida come onice. Sotto quell’”occhio”, si apriva una cavità circolare, piccolissima, da cui colava un rivolo verde. Sulla “groppa”, c’era una sorta di composizione cristallina del colore delle ametiste, ma di vaga base quadrata.
L’esemplare continuava a girare in cerchio, e a far sentire il Marine uno stupido. Quell’uomo lo aveva preso in giro, forse?
Rammentò che gli orrori dell’Immaterium avevano mille facce e che la razza umana poteva non comprenderne le loro mistificazioni.
Sembra innocuo, ma non lo è, pensò.
Si trattava di uno xeno, una cosa aliena all’uomo; Astvan doveva ucciderlo. Sparargli col requiem sarebbe stato come ammazzare un topo con una bomba, ma egli prese lo stesso la mira e schiacciò il grilletto.
Il requiem fece clic. Stupito, il Marine aprì la camera di lancio e diede un controllo. Era vuota. S’è inceppato, pensò. A differenza del normale requiem, la versione pesante caricava le pallottole con un motorino elettrico nella camera di lancio. Doveva esserci qualche problema lì.
Astvan lasciò il fucile a pendergli dal balteo e fece un passo, per schiacciare l’alieno. L’armatura potenziata gli parve improvvisamente più lenta e goffa. I Marine le usavano come una seconda pelle in virtù delle connessioni neurali fra l’armatura stessa e il carapace nero, una sorta di interfaccia sub-dermale posta sul torace e sulla schiena.
Doveva esserci qualche problema anche lì.
Poco male. Con i suoi muscoli geneticamente potenziati, riuscì a far compiere il passo all’armatura e a usarla lo stesso. Era più lento e impacciato, però, e l’alieno correva come una specie di coniglio pazzo.
Non era possibile che l’armatura e il requiem avessero smesso di funzionare casualmente. Gli armieri dei Magli li avevano controllati poco prima della sua partenza. Era stato lui… l’alieno?...
Provò il circuito vox dell’elmo e non sentì nulla. Era spento.
E poi le vide. Piccole scintille che spuntavano dall’”occhio” della creatura e si ramificavano sulla superficie del cristallo.
Nessuno era mai riuscito a sconfiggere quella cosa così piccola e bizzarra.
Le porte! Gli era parso che non ci fosse alcun congegno elettrico ad azionarle, perciò…
Si nutre di elettricità, fu la conclusione.
L’armatura lo rallentava. Sganciò e tolse l’elmo, rivelando una faccia dai tratti nobili, resi equini dal gigantismo, e dagli occhi verdi. Si sganciò i guanti e la corazza, sempre tenendo d’occhio l’alieno.
Alla fine, quando ai suoi piedi ci fu un cumulo di ceramite gialla, afferrò il coltello. Era una comune lama d’acciaio monomolecolare che non perdeva mai il filo.
Se la rigirò in mano e si preparò ad uccidere lo xeno.
Quello, adesso, era fermo e sembrava guardare l’uomo. La nota nuova nel comportamento fece ispessire il senso d’allarme nel Marine, che si mise in guarda, con la lama verso il basso.
Il cristallo parve rifulgere sotto quelle scariche serpentine. Cosa avrebbe fatto lo xeno? Avrebbe rilasciato un raggio d’energia distruttiva? Nel qual caso, Astvan era pronto. L’organo inserito in diversi punti del sistema linfatico, il melanocromo, stava alterando la produzione di melanina, inscurendogli la pelle, al continuo captare di piccole e medie radiazioni elettromagnetiche emesse dalla cosa.
Poi, il Marine cessò di vedere. Accadde di colpo e fu brutale. Quel bastardo di xeno gli stava facendo qualcosa.
Quando perse l’uso della mano destra, capì che l’alieno lo stava “spegnendo” poco a poco, nutrendosi dei suoi impulsi neurali di natura elettrica.
Doveva trovarlo e subito. Non sapeva di quali altri attacchi fosse capace, ma di lì a poco lo avrebbe reso un vegetale.
L’orecchio gli consentì di filtrare i rumori sino a individuare quello vago e soffice delle zampette di centotrentuno.
Perse l’uso di una gamba, quando pensò di averlo a tiro. Si concentrò, menando un colpo e tagliando l’aria.
Poi sentì il freddo pavimento contro il sedere. Anche l’altra gamba si era “spenta”. Il midollo non portava più connessioni neurali da nessuna parte e tutto per colpa di quella cosa.
Ora gli avrebbe mangiato il resto degli impulsi elettrici e lo avrebbe ucciso.
Si sentì mancare il respiro e capì che il primo cuore aveva smesso di battere. Il secondo cuore pompò più in fretta, portandogli ossigeno al cervello.
Cieco, Astvan si fece una mappa spaziale della stanza captando unicamente segnali sonori.
Nella sua mente, una preghiera antica, detta da qualcuno: ”Non dimenticare di essere il muro di ferro e acciaio fra l’umanità e migliaia di orrori senza nome. Il muro dell’inferno.”
Non dimenticare…
Sentì anche il secondo cuore spegnersi, e la biscopea – l’organo che stimolava la crescita dei muscoli – entrare in funzione.
Prese il coltello dalla parte della lama e, sebbene non fosse bilanciato come un’arma da getto, lo scagliò con tremenda forza. L’arma assunse un momento rotatorio sul suo asse, incerto, ma potente. Fu il manico a colpire l’alieno, frantumandogli il cristallo che esplose, causando un piccolo spostamento d’aria e liberando energia sfrigolante.
Mentre la biscopea pompava disperatamente sangue, Astvan sentì la porta aprirsi e il rumore inconfondibile dei passi corazzati di un Astartes.
Avvertì l’odore ferino del sudore dell’altro. Una voce, una voce profonda come la tempesta, disse: «Bel lavoro. Ora dovremo licenziare quelli che aprivano il portone.»
Astvan la collegò al Marine che lo aveva reclutato su Zera: Raven. Ricordava un gigante dalla criniera leonina grigio perlato che faceva da cornice al volto inciso da cento battaglie. Sentì l’odore della pelle di lupo sugli spallacci, e gli parve quasi di vedere il simbolo del capitolo che al capitano del Deathwatch era ancora concesso portare: un lupo ringhiante.
E allora gli venne in testa una domanda, una strana domanda che lo assillava.
Con un filo di voce, disse: «Ho vinto la scommessa?»
 «Già, solo perché Calavera fuma piano. Benvenuto nel Kill-Team.» rispose Raven, prima di lasciarlo. 
 
fine 

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