Esemplare #131 è ambientato nell'universo del wargame tridimensionale Warhammer 40.000.
Da Wikipedia:
Warhammer 40.000 (conosciuto anche come Warhammer 40K o semplicemente WH40K)
è un wargame tridimensionale futuristico, prodotto dalla inglese Games
Workshop. È incentrato su un'ambientazione futuristica che prende
ispirazione dal libro Fanteria dello spazio. Il gioco ruota intorno a
miniature in scala 1:65 cioè alte 28mm (originariamente erano in
20-25mm) prodotte dalla Citadel Miniatures, che rappresentano soldati,
creature e macchine da guerra. Il gioco richiede una basilare
comprensione della tattica delle piccole squadre e molta fortuna.
***
Lo Space
Marine si fermò davanti a una porta contrassegnata col numero centotrentuno.
Vicino, un uomo della guardia agitava il braccio, come se stesse richiamando un
gruppo di turisti.
«Mio
signore, sei l’Adeptus Astartes Marcus Astvan?»
L’uomo
sapeva già la risposta, ma l’Inquisizione dava molta importanza alla procedura.
«Affermativo.
Sono qui su ordine del mio capitolo.»
L’uomo
guardò l’armatura potenziata dell’altro, ancora dipinta del giallo dei Magli
Imperiali, e i simboli sugli spallacci contornati di rosso. Sul destro si
vedeva il pugno chiuso che dava il nome al capitolo; sul sinistro c’era una
freccia diretta verso l’alto con, all’interno, il numero tre in cifre romane.
Terza compagnia, squadra tattica, pensò l’uomo.
«Spero
ti piaccia il nero, perché dovrai ridipingere la tua armatura di quel colore. Avrai
probabilmente sentito di questo rituale della Deathwatch.» disse. «Sai cosa c’è
dietro la porta?»
Il
Marine non aveva apprezzato il tono, ma finse il contrario e fece un semplice gesto
di diniego.
«Il tuo
secondo battesimo del fuoco. Periodicamente dovrai superare prove come questa,
combattendo contro esemplari alieni di mondi perduti. Servirà a prepararti ad
affrontare qualsiasi xeno abbia la sfortuna di incontrare la tua squadra e il
volere dell’Imperatore. Dietro la porta, Marine, farai amicizia con l’esemplare centotrentuno. Non potrai uscire finché
non l’avrai ucciso o finché non sarai messo così male da non ricordarti il tuo
nome. Nell’ultimo caso, sarai curato e dovrai combatterlo di nuovo. Ti piacerà
sapere che nessuno è riuscito a sconfiggerlo al primo tentativo. Buona fortuna,
e che l’Imperatore ti aiuti.» prima di terminare, diede un pugno alla porta,
che cominciò ad aprirsi.
Astvan
osservò l’uomo, gli fece un ghigno dietro la maschera dell’elmo e disse: «Non
ho bisogno di fortuna: uscirò dalla stanza prima che tu abbia finito di fumare
il tuo bastoncino-lho.»
«Scommettiamo?»
disse l’altro e, per tutta risposta, tirò fuori la sigaretta del quarantunesimo
millennio: un cilindro di carta contenente una sostanza derivata da piante
aromatiche.
Nell’istante
in cui la porta chiuse dentro Astvan, un vox da parete attirò l’attenzione dell’uomo.
«Calavera, non farlo entrare: test rinviato. Il Marine ci serve subito!»
L’uomo riconobbe
la voce del capitano Raven e, con timore, gli rispose: «Mi dispiace,
signore, è troppo tardi.»
All’interno
della stanza non c’era luce, ma l’occhio geneticamente potenziato del Marine
gli permetteva di vedere come se ci fosse.
Notò
subito le guide della porta: erano binari arcaici e i battenti stessi
scomparivano nel muro di plastacciaio tirati da un sistema di ruote dentate,
uno per parte. Inoltre, l’apertura non aveva avuto un moto uniforme, ma
irregolare, come se qualcuno stesse tirando i battenti a mano.
Le pareti
interne erano cosparse di incrostazioni cristalline di carattere esagonale. Il
colore era violaceo. Doveva essere una specie di quarzite o di ametista.
Astvan
studiò meglio l’ambiente, per individuare traccia di centotrentuno. Non sapeva
se aspettarsi un umanoide o una delle mostruosità corrotte dalle mutazioni e
dal Caos. Tuttavia, era un veterano: aveva combattuto gli orki su un
mondo-forgia e si era sempre affidato al coltello e al nero fucile requiem.
L’esemplare
centotrentuno si staccò dalla parete e atterrò, girando in cerchio. Era… era… piccolo.
Aveva le
dimensioni di un cucciolo, ma la fisionomia era totalmente aliena. Su otto
tentacoli, dall’aria nodosa come i rami d’albero, poggiava un corpo vagamente
piramidale, il cui unico punto di riferimento per il Marine era una membrana
convessa come una lente e lucida come onice. Sotto quell’”occhio”, si apriva
una cavità circolare, piccolissima, da cui colava un rivolo verde. Sulla
“groppa”, c’era una sorta di composizione cristallina del colore delle
ametiste, ma di vaga base quadrata.
L’esemplare
continuava a girare in cerchio, e a far sentire il Marine uno stupido. Quell’uomo
lo aveva preso in giro, forse?
Rammentò
che gli orrori dell’Immaterium avevano mille facce e che la razza umana poteva
non comprenderne le loro mistificazioni.
Sembra innocuo, ma non lo è, pensò.
Si
trattava di uno xeno, una cosa aliena all’uomo; Astvan doveva ucciderlo.
Sparargli col requiem sarebbe stato come ammazzare un topo con una bomba, ma
egli prese lo stesso la mira e schiacciò il grilletto.
Il
requiem fece clic. Stupito, il Marine aprì la camera di lancio e diede un
controllo. Era vuota. S’è inceppato,
pensò. A differenza del normale requiem, la versione pesante caricava le
pallottole con un motorino elettrico nella camera di lancio. Doveva esserci
qualche problema lì.
Astvan
lasciò il fucile a pendergli dal balteo e fece un passo, per schiacciare
l’alieno. L’armatura potenziata gli parve improvvisamente più lenta e goffa. I
Marine le usavano come una seconda pelle in virtù delle connessioni neurali fra
l’armatura stessa e il carapace nero, una sorta di interfaccia sub-dermale
posta sul torace e sulla schiena.
Doveva
esserci qualche problema anche lì.
Poco
male. Con i suoi muscoli geneticamente potenziati, riuscì a far compiere il
passo all’armatura e a usarla lo stesso. Era più lento e impacciato, però, e
l’alieno correva come una specie di coniglio pazzo.
Non era
possibile che l’armatura e il requiem avessero smesso di funzionare
casualmente. Gli armieri dei Magli li avevano controllati poco prima della sua
partenza. Era stato lui… l’alieno?...
Provò il
circuito vox dell’elmo e non sentì nulla. Era spento.
E poi le
vide. Piccole scintille che spuntavano dall’”occhio” della creatura e si
ramificavano sulla superficie del cristallo.
Nessuno
era mai riuscito a sconfiggere quella cosa così piccola e bizzarra.
Le
porte! Gli era parso che non ci fosse alcun congegno elettrico ad azionarle,
perciò…
Si nutre di elettricità, fu la conclusione.
L’armatura
lo rallentava. Sganciò e tolse l’elmo, rivelando una faccia dai tratti nobili,
resi equini dal gigantismo, e dagli occhi verdi. Si sganciò i guanti e la
corazza, sempre tenendo d’occhio l’alieno.
Alla
fine, quando ai suoi piedi ci fu un cumulo di ceramite gialla, afferrò il
coltello. Era una comune lama d’acciaio monomolecolare che non perdeva mai il
filo.
Se la
rigirò in mano e si preparò ad uccidere lo xeno.
Quello,
adesso, era fermo e sembrava guardare l’uomo. La nota nuova nel comportamento
fece ispessire il senso d’allarme nel Marine, che si mise in guarda, con la
lama verso il basso.
Il
cristallo parve rifulgere sotto quelle scariche serpentine. Cosa avrebbe fatto
lo xeno? Avrebbe rilasciato un raggio d’energia distruttiva? Nel qual caso,
Astvan era pronto. L’organo inserito in diversi punti del sistema linfatico, il
melanocromo, stava alterando la produzione di melanina, inscurendogli la pelle,
al continuo captare di piccole e medie radiazioni elettromagnetiche emesse
dalla cosa.
Poi, il
Marine cessò di vedere. Accadde di colpo e fu brutale. Quel bastardo di xeno
gli stava facendo qualcosa.
Quando
perse l’uso della mano destra, capì che l’alieno lo stava “spegnendo” poco a
poco, nutrendosi dei suoi impulsi neurali di natura elettrica.
Doveva
trovarlo e subito. Non sapeva di quali altri attacchi fosse capace, ma di lì a
poco lo avrebbe reso un vegetale.
L’orecchio
gli consentì di filtrare i rumori sino a individuare quello vago e soffice
delle zampette di centotrentuno.
Perse
l’uso di una gamba, quando pensò di averlo a tiro. Si concentrò, menando un
colpo e tagliando l’aria.
Poi
sentì il freddo pavimento contro il sedere. Anche l’altra gamba si era
“spenta”. Il midollo non portava più connessioni neurali da nessuna parte e
tutto per colpa di quella cosa.
Ora gli
avrebbe mangiato il resto degli impulsi elettrici e lo avrebbe ucciso.
Si sentì
mancare il respiro e capì che il primo cuore aveva smesso di battere. Il
secondo cuore pompò più in fretta, portandogli ossigeno al cervello.
Cieco,
Astvan si fece una mappa spaziale della stanza captando unicamente segnali
sonori.
Nella
sua mente, una preghiera antica, detta da qualcuno: ”Non dimenticare di essere il muro di ferro e acciaio fra l’umanità e
migliaia di orrori senza nome. Il muro dell’inferno.”
Non
dimenticare…
Sentì
anche il secondo cuore spegnersi, e la biscopea – l’organo che stimolava la
crescita dei muscoli – entrare in funzione.
Prese il
coltello dalla parte della lama e, sebbene non fosse bilanciato come un’arma da
getto, lo scagliò con tremenda forza. L’arma assunse un momento rotatorio sul
suo asse, incerto, ma potente. Fu il manico a colpire l’alieno, frantumandogli
il cristallo che esplose, causando un piccolo spostamento d’aria e liberando
energia sfrigolante.
Mentre
la biscopea pompava disperatamente sangue, Astvan sentì la porta aprirsi e il
rumore inconfondibile dei passi corazzati di un Astartes.
Avvertì
l’odore ferino del sudore dell’altro. Una voce, una voce profonda come la tempesta, disse: «Bel lavoro. Ora dovremo licenziare quelli che aprivano il
portone.»
Astvan
la collegò al Marine che lo aveva reclutato su Zera: Raven. Ricordava un
gigante dalla criniera leonina grigio perlato che faceva da cornice al volto inciso
da cento battaglie. Sentì l’odore della pelle di lupo sugli spallacci, e gli
parve quasi di vedere il simbolo del capitolo che al capitano del Deathwatch
era ancora concesso portare: un lupo ringhiante.
E allora
gli venne in testa una domanda, una strana domanda che lo assillava.
Con un
filo di voce, disse: «Ho vinto la scommessa?»
«Già,
solo perché Calavera fuma piano. Benvenuto nel Kill-Team.» rispose Raven,
prima di lasciarlo.
fine
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