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Angela guardava una cinciallegra dal capo nero e lucido ripetere il suo canto di tre sillabe, sulle mura di Bergamo.
Angela guardava una cinciallegra dal capo nero e lucido ripetere il suo canto di tre sillabe, sulle mura di Bergamo.
Era caduta la neve e la strada da casa all’ufficio sembrava coperta da un morbido piumone bianco. Il sole splendeva fioco, come quando lo si guarda da sott’acqua e gli alberi si muovevano nella danza portata dal vento.
Angela aveva un bel cappotto russo, con dei manicotti di pelliccia, e non portava il cappello. Le piaceva che il vento le scompigliasse i boccoli. Rideva, ascoltando il canto dell’uccellino.
Pensava che lo sentisse anche il suo bambino, lì, al sicuro nella pancia.
Si mise a saltellare, quando vide alcune colleghe davanti al palazzo dell’I.N.P.S.; si tiravano palle di neve. Il suono delle loro risa fu come un richiamo per Angela. Correndo, si chinò, afferrò una manciata di neve, fece una palla e la tirò a una collega. La soffice sostanza bianca cadde come farina sulla spalla della ragazza che emise un gridolino, si girò, vide Angela e rise.
Presto si scatenò una battaglia di palle di neve. Angela ne aveva già una bella scorta ai suoi piedi; aveva lasciato andare la borsa dell’ufficio e si chinava per raccogliere le munizioni e tirarle al “nemico”.
Una collega scappò su per le scale e si sporse dal balcone del primo piano, per meglio colpire quelli di sotto.
«Ora ti piglio!» disse Angela. Ridendo, afferrò la borsa e inseguì la ragazza.
Salì al piano superiore e cominciò a fare una palla di neve bella grossa.
«Il capufficio, il capufficio!» dissero le colleghe, di sotto. Angela si sporse e vide un uomo lungo, dal viso scarno, col cappello e il cappotto grigi, arrancare in mezzo alla neve con una vecchia borsa di pelle fra le mani.
Era l’odiato capo-ufficio, che non vedeva Angela di buon occhio, perché figlia del gerarca locale.
La sua voce raggiunse le orecchie delle ragazze, come una tempesta di neve.
«Signorine, che fate ancora qui fuori?» disse. «Sono quasi le sette!» aggiunse, battendosi un dito sull’orologio da polso.
Qualcosa lo colpì al petto, qualcosa di freddo e farinoso. Una palla di neve.
Alzò lo sguardo. «Chi è stato?»
I suoi occhi incontrarono quelli di Angela. Sembrava una fatina-confetto, lì in alto, sul balcone, a ridere e tirare palle di neve.
Il capo-ufficio sbuffò. «Bene, bene, Mangia. Mi meraviglio di lei: una donna sposata, incinta, che fa simili bambinate!»
Angela sorrise e si affrettò a raggiungere l’uomo.
«Mi scusi! Oddio, mi scusi! Ho fatto una cosa imperdonabile!»
L’uomo la guardò e per qualche strano motivo, il sorriso gli dipinse la faccia aspra: era la prima volta.
«Vada,» disse, «vada al lavoro e non ne parliamo più.»continua
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