Fausto sudava nell’uniforme grigio-verde della Polizia Repubblicana.
Nonostante il freddo.
In alto, sulle mura, spuntavano gli elmetti d’acciaio dei tedeschi. Fausto li guardò, occhi azzurri in occhi azzurri.
«Dovremmo farli scendere, secondo il regolamento.» disse un agente, ben riparato dietro lo scudo metallico del sidecar.
Fausto pensava al suo bambino non ancora nato, al problema che avrebbero avuto lui e Lina per nutrirlo in un mondo in guerra, alla tessera annonaria che non dava mai abbastanza diritto a razioni di latte; ebbe l’impulso di passarsi una mano sulla fronte, sugli occhi, ma lo frenò: rimase fermo a guardare i tedeschi, invece.
E disse: «Puntate i cannoni!»
«Ma… è contro il regolamento!» fece qualcuno.
Fausto lo zittì con un gesto.
«Se quei cornuti anche solo respirano, fate fuoco!» disse.
Uno degli agenti rilevò lo sguardo e annuì.
«Sentito?»
Gli uomini fissavano quel ragazzo altro, dritto.
Il loro sergente.
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