Al Pisa Book Festival 2012
eccoci davanti al nostro stand 191 |
Mentre vi scrivo il Pisa Book Festival è ancora in corso.
Vi racconto questa mia – mia e dei miei colleghi – piccola
avventura.
Parto il 22 mattina da casa alla volta di Inganni a Milano
per prendere lo zio Luca, collaboratore della nostra casa editrice “La Ponga
Edizioni”.
Come al solito parcheggio quattro traverse prima della sua
via – mai che mi ricordassi dove c***o abita – poi gli telefono, lui capisce,
mi dà del pirla mentalmente e mi viene incontro col suo trolley.
Carichiamo il trolley in macchina e si parte alla volta di
Nova. Lì andiamo a prendere il socio Valerio nella sua casetta.
Ora, siccome dobbiamo fare la Cisa – ah, ma va? Non lo
sapevo – allora bisogna avere le catene a bordo. Per la mia auto non le ho mai
comprate, dunque via al centro commerciale più vicino per procurarsele. Il Vale
mi fa: «30 euro e passa la paura.» bueno. Peccato che quelle da 30 euro siano
già sparite a causa di gente che ha fatto la nostra stessa pensata.
E allora?
La mia macchina è equipaggiata con catene 205/55 90 – mi
pare – da 71 euro. E il budget per la fiera si riduce notevolmente.
Per il prossimo mese mangerò insalata scondita, che vi devo
dire?
Si parte alla volta di Pisa.
Ah, siccome io prendo facilmente gli accenti, una volta qui
mi vien subito da parlare pisano. Anche adesso, mentre vi scrivo, lo faccio con
l’accento toscano, giuro.
Arrivati a Pisa comincio subito a ripetere lo scioglilingua
toscano che qualcuno mi ha insegnato alle medie, e cioè “La mi hagna ha fatto
scinque hagnolini tutti sensa hoda”.
Lo ripeto ad libitum per la gioia dello zio Luca e del Vale.
madonna che tenerezza! |
Dovremmo alloggiare al bed and breakfast Welcome vicino al
centro congressi dove si svolge la fiera ed essere perciò comodi, ma c’è un ma.
E pure bello grosso.
La sciura, quando siamo già in terra toscana, ci telefona e
ci dice: «Abbiamo avuto problemi hon l’alluvione e ’l bed and breahfast s’è
alluvionato hosì un sappiamo indove mettervi, ma mahari potete stare nella nostra
bella hasina vahanze he è un po’ più lontanina, ma viscina all’aeroporto.»
Ah, grazie. E adesso ce lo vieni a dire?
E dunque andiamo alla “hasina vahanze” per scoprire che è in
un quartiere tipo lo Zen di Palermo – personalmente ci sono stato allo Zen e mi
sono sentito più sicuro che nel quartiere della “hasina vahanze” e che ha la
mobilia che cade a pezzi. Letteralmente.
La “hasina” ha due stanze: la stanza “Love” – sì, c’è una
squallida placchetta sulla porta con scritto “love” – che si compone di quattro
letti a castello stile cuccia di Harry Potter, e la stanza “Peace” dove c’è un
letto matrimoniale ma vecchio, ma talmente vecchio che … insomma … vecchio.
Eh. Il problema è che la nostra traduttrice Laura aveva
prenotato una stanza al bed and breakfast. La sciura tanto simpatica non l’ha
mica messa in casa con noi nella stanza Peace? Poverina, ha dovuto condividere
il bagno con tre uomini. Boh, se questa è professionalità …
La hasina vahanze |
Ad ogni modo.
Il primo giorno, giovedì, andiamo al centro congressi per
scaricare il materiale. Mentre faccio manovra con l’automobile sto per
investire un signore che porta libri su di un carrellino – ragazzi sto ancora
pensando in pisano eh! – allora lo zio Luca mi fa: «Fermo che investi il
signore!» e il signore salta su e dice: «No, non si preoccupi, almeno ho finito
di soffrire!»
E va beh.
Allora si scarica il materiale e si va al nostro bel
banchetto. Lì scopriamo che il banchetto non è davanti al bar come avevamo
pensato guardando la mappa, ma in un’ala piuttosto deserta della fiera.
Scarichiamo, torniamo all’appartamento, poi usciamo,
mangiamo al McDonald – cucina pisana – andiamo a vedere il murales di Keith
Haring, la Torre di Pisa in Piazza dei Miracoli e si va a letto.
Ecco la Torre! Courtesy Lo Zio Luca |
2°giorno.
Ci alziamo.
Io ho dormito un pohino male perché il socio Vale ha segato
foreste vergini dell’Alaska – sì, vergini – tutta la notte, causa raffreddore.
Lo zio Luca invece, niente, s’è accasciato tipo sasso.
Si va al centro congressi e si cominciano a disporre i libri
un po’ benino.
Arrivano gli studenti. Sì, il venerdì alcune scuole di Pisa,
d’accordo con il Pisa Book Festival, hanno fatto venire lì i loro studenti, non
informandoli prima, però. Così i ragazzi sono qui sprovvisti di pecunia e
possono solo guardare, commentare, toccare, per poi andarsene via con le pive
nel sacco.
E va beh.
A mezzogiorno io e lo zio Luca mangiamo il primo di una
lunga serie di tramezzini cotto e fontina con birretta.
Come stand abbiamo alla nostra sinistra Damster Editore, che
per lo più si occupa di letteratura erotica.
Ospitiamo – presso il nostro stand – le ragazze de “Libro
Aperto Edizioni”.
Hanno copertine molto colorate con disegni carini, carini.
La prima giornata passa.
Vendiamo due segnalibri/e-book – un’idea simpatica del Vale,
ergo ti vendo il segnalibro con su un codice per scaricare il corrispondente
e-book dal nostro sito.
Alle 13:00 arriva da Milano Laura, la nostra traduttrice. Le
spieghiamo il casino che ha combinato la signora con la hasina vahanze. E amen.
Alla sera – verso le 20:30, ovvero poco dopo la fine del
primo giorno al Pisa Book Festival – ci raggiunge Maria Marini, nostra autrice.
Sono proprio del suo libro “Buon Sangue” i segnalibri/e-book che abbiamo
venduto oggi!
Andiamo a mangiare al Ristorante – Pizzeria “Da Michele”.
Partiamo con l’idea di mangiarci una pizza e alla fine la pizza un se la mangia
nessuno – vedete che parlo ancora pisano? – e io piglio le pappardelle al ragù
di cinghiale.
Poi si va a vedere il murales di Keith Haring e la Torre di
Pisa in Piazza dei Miracoli e si va a dormire.
ecco il murales dalla foto dello zio Luca |
3°giorno.
Il Vale deve aver segato tutti gli alberi dell’Alaska perché
non russa più. Quindi quel posto dev’essere una distesa apocalittica ora, buona
per ambientarci qualche racconto o fumetto di zombi, magari. Ma, ecco, ora i
protagonisti di Crossed che c***o troveranno laggiù?
Colpa del Vale!
Si fa colazione al bar della stazione.
Poi si va al centro congressi per il secondo giorno di fiera
– ma terzo giorno di Pisa.
Io sto per la gran parte del tempo in piedi, perché sopra il
nostro stand c’è un maledetto flusso d’aria condizionata che distrugge la
cervicale. Piuttosto che aver dolori, faccio il cavaliere e lascio che le
ragazze si siedano a turno – le ragazze: Laura e Maria – perché abbiamo una
sola sedia allo stand.
Lo zio Luca fa il fotografo.
Devo dire che io dal giorno precedente sono un po’
irritabile – un po’ tanto direi – semplicemente perché il mio modo d’essere non
si sposa troppo bene con l’aspetto commerciale – che deve esistere, per l’amor
di Dio – d’una casa editrice. Tutti quei conti, tutto quel avere nuove idee di
marketing per promuovere i libri … insomma è roba che non fa per me. A me
interessa solo l’aspetto artistico dello scrivere e proprio durante questa
fiera ho capito che per continuare ad amare la scrittura, la lettura, per
continuare ad amare i libri, essi non devono diventare il mio lavoro. Se mi
sentissi come quando sto in azienda, smetterei, perché la mia passione
romperebbe ogni catena.
(Zio ma che hai fumato?)
Il primo libro ad essere venduto al Pisa Book Festival da
“La Ponga Edizioni” è il mio Sovietopia! Che bello!
Però prima di vendere il libro – ad un signore con un
bambino che lo tirava per la manica mentre lui cercava di capire di cosa
parlasse il libro – arriva una signora carinissima che prende il libro e mi
chiede di che cosa parli. Io le dico:
«Mio zio vive a Mosca e lavora in ambasciata. Fin da
ragazzino m’è capitato di andarlo a trovare incontrando così russi e studiando
la cultura russa eccetera eccetera. L’episodio che ha generato il libro è accaduto
nel 2004: stavo prendendo un taxi privato a Mosca – lì i russi appena finiscono
di lavorare girano con le loro macchine per vedere se c’è gente da portare
chessò all’aeroporto, alla stazione, eccetera, e contrattano sul prezzo –
saliamo io, mio padre e il mio amico Flavio e mio padre per scherzare fa: “Kak
dela tovarish?” ovvero, come va compagno? E il russo risponde “Niet tovarish!
Mister! Mister! Dollari!” e sfrega il pollice contro l’indice. E allora mi sono
immaginato questo commissario politico, Talimov, che al crollo dell’URSS nel
1991 s’improvvisa capitalista e cerca d’aprire una fabbrica di bacchette
giapponesi per sushi.»
La signora mi fa: «Ora prendo solo nota, perché sono della
biblioteca di Pisa e sto cercando i libri da comprare per metterli sugli
scaffali per il noleggio. M’è piaciuto il tuo e poi via, io so’ comunista! Ed
era meglio quando c’era l’URSS.»
Ovviamente queste non sono le sue esatte parole, non è una
citazione fedele, ma è più o meno – e anche per e diviso – quel che ha detto.
Quand’è arrivato il secondo compratore del mio libro – un
signore sui cinquanta – m’è venuta una tale botta d’emozione che ho detto allo
zio Luca: «Dagli tu il resto che io lo sbaglio.»
E via!
Ah, lo zio Luca ha avuto l’idea di mettere un cestino di caramelle
che, ovviamente s’è mangiato quasi tutte.
Scherzo.
Beh, ho messo il “quasi”, eh! Alcune le hanno mangiate delle
bambine e alcune degli sciuri e delle sciure.
Dopo questi due giorni ho capito che le copertine molto
colorate attirano. Le nostre sono al massimo bicolori e hanno la carta lucida.
Sulla carta lucida – come dice lo zio Luca – “si vedono subito le ditate” e non
è bello.
Le copertine delle nostre vicine – che sono appunto
coloratissime e opache – attirano molto.
In particolare attira una rossa – il colore rosso ho visto
che prende di brutto – con su una scimmia che fuma la sigaretta. Non so di ché
parli il libro, ma ammetto che quando ho visto il loro sito quella è stata la
copertina che m’ha attirato subito.
Il Vale mi dice adesso che anche lui è stato attirato subito
da quella copertina.
Poi, altra considerazione.
Le prossime fiere – a mio parere – bisognerebbe farle con
più libri. Vedo che quasi tutti gli editori – tranne uno che non ricordo che
aveva tipo sedicimila copie di un unico titolo – hanno almeno venti titoli o
giù di lì (ma di lì dove?) e noi ne abbiamo quattro in croce. Nel senso che
sono davvero quattro – e sono messi a croce.
Amen.
Il libro di Omar Gatti Brianza Night Blues continua a cadere
dal suo stand, tanto che ad un certo punto io e lo zio Luca facciamo il “toto
cadute del libro di Omar Gatti”. Ne conto cinque. Cerchiamo di metterlo in
tutti i modi, di renderlo stabile, ma non c’è verso. Cade.
Ad un certo punto la nostra autrice Maria Marini e io e lo
zio Luca cominciamo a parlare di rievocazioni storiche. Maria fa parte di un
gruppo di rievocazioni – I Grifoni Rantolanti – attivo nella zona di Pordenone.
Fanno rievocazioni di battaglie duecentesche e trecentesche. Maria sa
combattere con spada e scudo nello stile del 1200 e si mette a spiegare a me e
allo zio Luca come sono veramente le armature di quel periodo, come si vestono
i soldati, come combattono e cosa si prova ad essere catapultati in una
battaglia medievale.
rende eh? |
La parte che più mi impressiona è quando descrive il tiro di
frecce avversario.
Le frecce, come le lance, sono spuntate. E va beh.
Però gli avversari te le lanciano addosso con l’arco lungo
che da una forza d’impatto bestiale.
E Maria mi fa: «quando ti scagliano le frecce addosso ti
metti in “parata sagitta”, ovvero la tua fila s’inginocchia con lo scudo
davanti e la fila dietro mette lo scudo in orizzontale nell’incavo fra i due
scudi davanti.» non ha detto proprio così, l’ha spiegata meglio, ma questa
descrizione m’è rimasta in testa e questa vi tenete.
Maria è la ragazza col camaglio in basso a sinistra. |
Maria è una miniera d’informazioni sul periodo duecentesco e
trecentesco e ho un’idea di scrivere con lei un romanzo, un racconto, quel che
l’è, ambientato proprio in quell’epoca, in modo da utilizzare la sua
conoscenza. Perché – come vi ho già detto – lei non solo sa, ma vive il
medioevo. Dice che in casa ha più vestiti medievali che abiti moderni!
Arriva anche un ragazzo che ha scritto una mail al Vale e ci
porta – come d’accordo nella mail – il suo manoscritto. È un fantasy e
dall’incipit non sembra male.
Lo valuteremo.
A scaglioni, i nostri collaboratori e autori se ne vanno.
Parte in treno lo zio Luca per Milano, poi parte Maria per Parma dove andrà ad
una riunione coi suoi amici Templari e in ultimo parte Laura.
Io e il Vale siamo soli.
Bilancio della giornata: tre Sovietopia venduti, due Buon
Sangue venduti e non so quanti segnalibri/e-book venduti.
Tutto segnato sul taccuino del Vale.
Si finisce la giornata e si torna alla “hasina”.
E lì si trova una sorpresa!
Ehehe!
La sciura, che vede ovunque mezzi per tirar su graniglia, ha
affittato la stanza Peace precedentemente occupata da Laura a due ragazzi
romagnoli venuti a Pisa per assistere all’ultimo giorno di fiera.
Mah!
’Sti due poveri ragazzi dormiranno nella stanza adiacente
alla nostra e con loro condivideremo il bagno.
Fortuna che l’Alaska è già stato disboscato, altrimenti si
sarebbero pure sorbiti il Vale!
Da quel momento in poi, per noi la sciura può combinar di
tutto. Tipo: vanno alla “hasina vahanze” padre, madre e bambini, la sciura
mette subito i bambini a far scarpe come quelli cinesi.
Appena scriviamo allo zio Luca del trattamento che ci ha
riservato la sciura, egli ci risponde con idee su come fargliela pagare.
Ma noi siamo dei signori, via!
E si va a dormire.
4°giorno.
Ovvero il giorno ancora in corso.
Ancora non capisco come la “hasina vahanze” possa esse
definita – scusate he sto ancora pparlando ppisano – tale giacché si trova allo
Zen pisano in mezzo alla peggio gente, agli zombi, ai vampiri e via dicendo.
A malincuore lasciamo la “hasina”, carichiamo tutto in
macchina e ci dirigiamo verso il centro congressi.
Prima però, si passa dal Libraccio, perché io mi sono messo
in testa una roba: rivoglio il primo libro game che giocai quand’ero in seconda
superiore e che mi prestò il mio allora compagno di classe Luca G.
Era il bellissimo: “Le Colline Infernali” della serie
“Sortilegio”.
madonna huanto l'è bellino! |
Ah, tra parentesi, il Vale mi ha appena dato un sito da dove
forse mi posso scaricare in pdf il tanto agognato libro game!
Che dire, siamo ancora qui, a Pisa. Sono quasi le 11:30 e io
fra poco abbandonerò la postazione per andare al bagno.
Ah, e il caricabatterie?
Beh, la storia del caricabatterie è questa: Laura ha detto
al Vale d’aver dimenticato il caricabatterie del suo Nokia nella stanza Peace.
Ma la stanza Peace è occupata dai due ragazzi romagnoli che dormono ancora,
poveri.
E allora, che fare?
Io dico: «Scriviamo un biglietto dove diciamo che se trovano
il caricabatterie lo portino allo stand 191.»
Il Vale scrive e mette il biglietto sul tavolo.
I ragazzi arrivano allo stand, ma dicono che del
caricabatterie nessuna traccia.
Se lo sarà inc***to la sciura?
Consuntivo: l’esperienza è stata interessante, faticosa, mi
ha insegnato molto, mi ha permesso di avere un assaggio in campo di marketing –
che a me non piace, ma è un’altra storia.
Come in Conan il Barbano, no? Quando dice: “ … ma questa è
un’altra storia … ”
E parte la canzone.
... ma questa è un'altra storia ... |
Pisa 25/11/12 stand 191.
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