“Ieri notte ho sognato di
tornare a Manderley”.
È il tormentone che
troviamo spesso, come una canzone estiva o un cinepanettone, nel romanzo “Il
codice Rebecca” di Ken Follett.
Nord Africa, 1942. Un uomo
sta attraversando il deserto, quando il suo cammello muore. Lui continua a
piedi, infaticabile, sotto il sole cocente. È avvezzo a quel genere di cose,
benché non sia un beduino, ma un europeo, un tedesco: Alex Wolff.
Raggiunge un’oasi dove
vivono i suoi cugini – nomadi del deserto – che lo rifocillano e lo aiutano.
Alex Wolff è uno strano tipo:
nato in Germania da genitori tedeschi, ma cresciuto in Egitto, nel deserto,
dopo che la madre si è risposata con un beduino. Alex è musulmano, conosce l’immenso
mare di dune gialle come le sue tasche, ma ha l’apparenza di un europeo e
conosce molte lingue.
La spia perfetta.
Di nuovo in forma, con
abiti europei addosso e una valigia – gliela teneva il cugino beduino come una
reliquia – supera le dune e arriva sulla strada per la cittadina di Assyut
(Asyut), controllata dagli inglesi.
Asyut, bella no? |
Viene notato dagli
occupanti di una jeep militare, che si fermano e lo caricano a bordo. Wolff
dice che la sua macchina s’è rotta e che l’ha lasciato a piedi nel deserto.
Il capitano Newman – della
jeep – lo crede inglese e si offre di portarlo in città. Wolff accetta, ma il
capitano gli offre un aiuto indesiderato: il caporale – l’altro occupante della
jeep – aiuterà Wolff a portare i bagagli in albergo. E i bagagli sono: la
valigetta.
Nella valigetta c’è una
radio già sintonizzata sulla frequenza per comunicare col posto d’ascolto di
Rommel nel deserto. E in un incavo riposa “Rebecca”, un romanzo inglese che
inizia con:
“Ieri notte ho sognato di
tornare a Manderley”.
"Ieri notte ho sognato ... " e basta! |
Il caporale scopre
qualcosa che non deve e Wolff lo uccide brutalmente accoltellandolo.
Poi si da alla fuga.
Inizia così questo
thriller di Ken Follett ambientato ancora una volta durante la Seconda Guerra Mondiale,
nel bellissimo scenario nordafricano.
Rommel e gli inglesi si
sfidano sulle rive del Nilo, sotto l’egida delle tombe dei faraoni.
Toccherà al maggiore
William Vandam – no, non Jean Claude – del servizio segreto, dare la caccia ad
Alex Wolff in un susseguirsi di colpi di scena, piani sfumati e duelli col
coltello.
Beh, che dire, questo è un
romanzo del 1986, dunque di molto posteriore a “La cruna dell’ago”, il romanzo
che lanciò Follett nel mainstream.
ma Van Damme quante ne sa? |
Ma non gira benissimo e
non si può dire che all’epoca l’autore peccasse di inesperienza. Storie scritte
dopo – come “Il volo del calabrone” – sono decisamente più belle.
Ho trovato questo libro in
smart price a 5,90 e da lì mi sono chiesto se quell’edizione, diciamo,
dozzinale fosse dovuta al fatto che il libro non era uno dei capolavori di
Follett.
Intendiamoci, anche qui il
lavoro di ricerca è molto preciso e la storia ben congegnata. Il protagonista
ha anche una personalità abbastanza ben definita, ma …
Il lettore non vive l’Egitto,
non vive nessun’atmosfera particolare. I colpi di scena e i piani di Vandam
andati a monte, non dico mi abbiano lasciato indifferente, ma quasi. È come se
questo romanzo fosse orbo d’una scintilla vitale.
Gira perché deve girare e
ho il sospetto che sia frutto di una pressione della casa editrice di Follett o
qualcosa del genere. Avete presente il “devi scrivermi un romanzo all’anno
altrimenti paghi una penale a sei zeri”?
Ecco.
Ed è un peccato, perché lo
scenario nordafricano della Seconda Guerra Mondiale è tra i miei preferiti, ma lo
si vive molto meglio in un libro di altro genere: “Guerra in camicia nera” di
Giuseppe Berto, che vi consiglio.
Ripeto, “Il codice Rebecca”
non è un bruttissimo libro, ma sicuramente non può essere considerato tra i
migliori di Follett. Non so, mi da l’idea che si sia annoiato pure lui a
scriverlo ad un certo punto.
eheh, v'ho fregato eh? |
E poi quel tormentone …
“Ieri notte ho sognato di
tornare a Manderley”!
Ma anche no!
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