oculus luponarii |
«Pa’.»
«Cu è? Chi c’è la fuori?»
«Aspetta … aspetta … sono … io.»
«Oddio santo!»
«La voce, la riconosci? Io
sono.»
«Salvuccio … Salvuccio … »
l’uomo non pianse vedendo il lupo.
L’oscurità attorniava entrambi. Gli sterpi bruciati dal
caldo, i sassi dove si nasconde la vipera.
Il loro palcoscenico.
«Ho paura.»
il lupo mannaro si prese la testa tra le mani.
«Ho paura.» ripeté.
e incominciò a piangere, dapprima in rochi singhiozzi, poi
con lunghe lacrime senza fine.
«Che faccio, Pa’? Che faccio?» disse il lupo mannaro.
Il padre si avvicinò e, adagio, allargò le braccia.
«Vieni qui.» disse.
La testa del lupo si posò sulla spalla dell’uomo.
Il padre annusò quel pelo che sapeva di terra e di cane.
«Non ti preoccupare.» disse.
Il lupo piangeva.
Il suo grosso corpo era scosso dai tremiti. Piangeva e
uggiolava come un cagnolino.
«Tale’ fai caicai
comu un canuzzu.» disse il padre.
In mezzo al pianto, il lupo sputò un accenno di risata, come
un colpo di tosse.
«Mi sento … è come avere la febbre … ma forte.» disse.
«Mischinu. Non ti preoccupare: ci sono io ora.» disse il
padre.
«Io non sapevo … io … forse non mi volevi più … non sapevo
dove andarmene … Pa’.» tra un singhiozzo e l’altro, le parole del lupo uscirono
come uggiolati.
«Non ci pensare, non ci pensare.»
«Pa’ … ma tu … non sei … così?»
«No … io non ne ho mai saputo niente di 'sta cosa e manco il
nonno era così.»
il lupo aprì gli occhi gialli.
«E a mamma? Che diciamo?» chiese.
«Salvu’ … »
«Forse non mi vuole.»
«Salvo, è tua madre.
Ti pare che non ti vuole? Che minchiate dici?»
« … niente … pensavo … »
«La troviamo assieme una soluzione,» disse il padre, «’sta
cosa … la puoi controllare?»
«Non lo so ... sì … »
«Ti aiutiamo noi.» disse il padre.
«Non mi volete tenere incatenato al letto, no?» fece il lupo
mannaro.
Allora l’uomo, che era molto piccolo rispetto alla creatura,
ma che pure l’aveva messa al mondo, si staccò da essa un poco e, guardandola
negli occhi gialli, disse:
«Ma quali minchia
di catene? Mi devi fare ’ncazzare? Ava’, finiscila di dire minchiate e andiamo
a casa.»
il lupo continuò a piangere.
«Ah, basta ora!» mormorò il padre, battendogli una mano
sulla schiena, «basta.»
«Va bene papà,» pianse il lupo, «scusami … sono … sono … »
«Sssst, silenzio. Andiamo.»
il padre sorrise al lupo.
E da quel gesto, da quel contrarsi di muscoli e nervi, Salvo
capì che Dio gli aveva regalato una prospettiva diversa da cui vedere ciò che
era.
fine
Ma che tenero lupacchiotto... ;)
RispondiEliminaIl Moro
Ahahaha sì! Tenero lui!
EliminaFai te che avevo la febbre e ho fatto questo sogno, poi l'indomani ci ho scritto su il racconto!