Ho scritto questo racconto ispirato dall'articolo di Alex Girola sull'ambientazione "Spelljammer" del gioco di ruolo Advanced Dungeons & Dragons.
Da Wikipedia:
"L'ambientazione Spelljammer introdusse una sorta di astrofisica fantasy nella cosmologia di Dungeons & Dragons. In questa ambientazione le sfere di cristallo possono contenere vari mondi raggiungibili tramite l'uso di navi equippaggiate con "timoni spelljamming". Le navi che possiedono dei timoni spelljamming sono capaci di volare non solo nei cieli ma anche nello spazio. Grazie ai loro campi di gravità e alla loro atmosfera artificiale le navi hanno il ponte aperto e tendono ad assomigliare ai galeoni, agli animali, agli uccelli, ai pesci o persino a creature selvagge di forma fantastica piuttosto che alle astronavi della fantascienza."
Potete trovare l'articolo di Alex qui.
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1
«Milord, guardate!»
Ezechiele mostrò il buco sotto la lastra che gli armigeri avevano rimosso.
Sembrava l’occhio di una
creatura fatta di tenebra.
Il cavaliere smontò di
sella, fece un passo e s’inginocchiò. Disse: «Luce!»
Ezechiele annuì e
trotterellò verso uno dei due muli, aprì le borse e tirò fuori un involto, lo
portò a mani giunte dal cavaliere mentre le prime gocce di pioggia bagnavano il
terreno.
«Com’è possibile che
piova, mio signore?» domandò Ezechiele.
Il cavaliere si sfilò il
guanto di cuoio e tese la mano; senza staccare lo sguardo dal buco, disse:
«Ha a che fare con il
calore e il respiro prodotto dagli esseri che vivono qui: il loro alito
raggiunge gli strati più alti del campo gravitazionale e genera nubi che
generano pioggia.»
«Deve essere così!» trillò
Ezechiele.
«La sfera!» lo rimproverò
il cavaliere. Ezechiele si diede una manata in fronte, poi aprì l’involto
lasciando che la luce della sfera bagnasse i confini del buio.
Il cavaliere afferrò
l’oggetto e lo tenne sospeso sopra il buco. Quindi aprì la mano.
La sfera cadde.
«Milleuno, milledue,
milletre, millequattro, millecinque.» bum,
sentì il tonfo della sfera.
«Con quel conto è riuscito
a capire quanto sia profondo il pozzo?» domandò Ezechiele.
«In teoria,» rispose il
cavaliere, «nel nostro mondo potrei, ma in questo caso bisogna conoscere
l’accelerazione gravitazionale e il peso esatto della sfera.»
«E … dunque?» domandò,
trepidante, Ezechiele.
«Dunque spero di non
rompermi le gambe quando salterò giù.» disse il cavaliere.
Gli armigeri risero e lui
rise con loro.
«Mio signore … ehm, dove
ha imparato tutto questo?» volle
sapere Ezechiele.
Il cavaliere si alzò e,
con noncuranza, gettò il guanto nelle proprie borse da sella, poi disse:
«Fu un mago, un viaggiatore
del flogisto, a insegnarmelo.»
E, dopo una pausa,
aggiunse: «Tanto tempo fa.»
La pioggia s’era fatta più
intensa e bagnava il mantello del cavaliere, appesantendolo e
appiccicandoglielo addosso; il cavaliere si tolse l’altro guanto, sganciò la
fibbia e si tolse il mantello, lo arrotolò, lo strizzò e lo mise nelle borse,
poi si girò verso Ezechiele e disse:
«L’armatura.»
Lo scudiero annuì e
trotterellò verso uno dei muli – un esemplare grosso, con una cresta rossiccia
– e cominciò a spacchettare l’armatura.
Con l’aiuto di uno degli
armigeri, tolse la tela oleata che proteggeva il pettorale e sorrise:
«L’armaiolo ha fatto una
grande opera, eliminando tutte quelle intaccature di spada, non credete?»
Il cavaliere annuì, poi si
spostò verso la lastra di pietra, dove sedette. Quando tolse gli stivali, vide
l’effetto della gravità più alta sotto forma di vene varicose che
s’arrampicavano lungo il polpaccio come tentacoli d’un mostro. Si chiese se
anche il cavallo ne risentisse. Pensò, poi, che fosse un male necessario:
mantenendo – con un incantesimo permanente – la gravità più alta nel campo
gravitazionale della Millennio del Re, l’equipaggio – cavalli e muli compresi –
ci guadagnava in forza e resistenza, una volta ritornato alla gravità normale.
Lì, di sicuro, il
cavaliere avrebbe beneficiato degli effetti di tale stratagemma.
L’altro armigero corse
verso il mulo più grande e tirò fuori dalle borse un logoro paio di stivali che
porse al cavaliere. L’eroe li prese e, dopo essersi fasciato i piedi con delle
pezze di lana, li indossò.
Ezechiele stava
spacchettando i gambali. Il cavaliere alzò una mano e disse: «Non saranno
necessari.»
Lo scudiero annuì, poi
afferrò il pettorale e, con quello, si avvicinò al cavaliere. Mentre questi
stava seduto, Ezechiele gli assicurò il pettorale tramite robuste cinghie di
cuoio, poi afferrò i bracciali, gli spallacci e le cubitiere che l’armigero gli
andava passando e finì di vestire il cavaliere.
Per ultimo gli consegnò
l’elmo; il cavaliere si mise sulla testa un cappuccio di maglia d’acciaio e
indossò l’elmo, che assicurò con un sottogola di cuoio. Aprì la visiera.
«Scenderò da solo.» disse,
poi schiuse la mano destra: «porgi la mazza, Ezechiele!»
Lo scudiero staccò una grossa
mazza flangiata dalla sella del mulo rossiccio e la mise nella mano aperta del
cavaliere. Le dita d’acciaio si chiusero attorno all’impugnatura.
Per ultimo, gli
allacciarono in vita il cinturone con la spada.
«Lo scudo, sir?» domandò
Ezechiele.
«La pistola!» disse il
cavaliere. Ezechiele annuì e andò a prenderla: era fatta di legno brunito e
aveva la canna ageminata d’oro, a forma di testa di drago. Il calcio era
irrobustito e appesantito da una palla chiodata.
Il cavaliere prese la
pistola, guardò uno per uno i suoi uomini e disse:
«Per gli Immortali!
Vendicherò quella gente!»
Fece un passo e fu
sull’orlo del buco. Si gettò nel vuoto.
2
Cadde per parecchio tempo,
levitando come se fosse senza peso; di ciò dovette ringraziare gli stivali
magici: facevano parte del suo tesoro, assieme alla sfera luminosa e alla
spada.
Tenne la pistola carica e
puntata davanti a sé, nel caso gli occupanti del sottosuolo si fossero fatti
vivi anzitempo.
Quando atterrò, vide il
globo di luce perenne che incantava la sfera, strappare brani dalle tenebre.
Annusò l’aria: era fresca
e primaverile, molto diversa da quella in superficie.
Corrugò la fronte, si
chinò, posò la mazza flangiata, afferrò la sfera e la fece rotolare nel
passaggio.
Davanti ai suoi occhi
galleggiò un tunnel scabroso e inclinato verso il basso.
Più avanti, c’era una
porta.
Il cavaliere non si
meravigliò di trovarla lì, benché fosse effettivamente fuori posto.
Si alzò e guardò in alto.
la faccia di Ezechiele apparve dal bordo del buco.
«I miei stivali!» ordinò
il cavaliere. Lo scudiero annuì e scomparve, per riapparire subito dopo con un
paio di stivali. Li lasciò cadere.
Il cavaliere raccolse gli
stivali e verificò che non si fossero rotti nell’impatto, poi attese.
Mettere e togliere
calzature con tutto quell’acciaio addosso era un problema: una volta seduto a
terra, il cavaliere non si sarebbe più rialzato. Perciò Ezechiele aveva
costruito un seggiolino di legno di robusta quercia, pieghevole. Lo lanciò al
cavaliere chiuso in un sacco di tela; il cavaliere lo afferrò, aprì il sacco,
tirò fuori il seggiolino, lo aprì e vi si sedette.
La seduta era leggermente
inclinata verso l’alto e concava, in modo che il cavaliere riuscisse a
rialzarsi più facilmente senza, tuttavia, scivolare giù mentre cambiava gli
stivali.
Era un’operazione
rischiosa da compiere da solo, in un posto come quello, ma al cavaliere non
importava.
Slacciò e sfilò gli
stivali magici e indossò i suoi. Era bello sentire quelle pieghe di logoro
cuoio, anche se inzuppate dalla pioggia.
Si alzò. Sentì una chiave
girare nella toppa. La porta si aprì.
Il cavaliere afferrò la
pistola e la mazza.
Alla luce della sfera
apparve una creatura: sembrava un umanoide primitivo dalla pelle grigia; stava
dritto, aveva un grugno da verro e canini pronunciati che sembravano zanne di
cinghiale.
Disse una sola parola:
«Umani!»
E sparò un dardo dalla balestra
che aveva in pugno.
Sembrava un proiettile
come gli altri e il cavaliere non vi avrebbe fatto nemmeno caso se questo,
schiantandosi sulla parete alle sue spalle, non avesse creato un buco nero e
freddo.
Quello che aveva sfiorato
il cavaliere era un proiettile extra-dimensionale. Si otteneva infilando in una
“testata” cava, di legno di balsa (quindi soffice) due scatole di legno di
quercia, una più piccola dell’altra, separate da un foglio di carta di riso.
Entrambe le scatole erano trattate da un mago con un incantesimo di “tasca
extra-dimensionale” e le loro facce extra-dimensionali erano rivolte verso il bersaglio.
Quando il dardo aveva
colpito il muro, il quadrello di balsa si era schiacciato, spingendo la
scatolina piccola dentro quella grande – e bucando la parete di carta di riso.
Le due “tasche”, entrando l’una nell’altra, avevano generato una pericolosissima
faglia, tra questa dimensione e quella astrale, che aveva divorato ogni cosa
nel raggio di tre metri – comprese le gambe posteriori del sedile pieghevole.
3
Il cavaliere caricò il
nemico e spianò la pistola. L’altro cercò di infilare un nuovo proiettile nella
balestra, ma il cavaliere fu più veloce e premette il grilletto. Una nube di
fumo riempì l’angusto passaggio e fece tossire il cavaliere, che girò la
pistola, facendola ruotare sul ponticello del grilletto e impugnandola per la
canna.
Urlando, il cavaliere alzò
e abbassò la pistola. La palla chiodata spaccò il grugno dell’umanoide, mentre
il peso del cavaliere lo travolse e lo spinse indietro.
Cavaliere e nemico
oltrepassarono la soglia in un viluppo d’acciaio e cuoio, calciando,
inavvertitamente, la sfera di luce.
Un’esplosione.
Il braccio sinistro del
cavaliere s’afflosciò, mentre spallaccio e cubitiera venivano attraversati da
shrapnel metallici.
Un ricciolo di fumo si
levò dallo schioppo che un altro umanoide teneva contro il fianco.
La sfera di luce finì nel
nuovo ambiente e illuminò altri due umanoidi armati di spada; uno di essi era
vistosamente più basso ed era abbigliato in maniera più ricca, con
una sciarpa di seta color cremisi.
Il cavaliere cercò di non
perdere l’equilibrio e si mantenne in piedi. Ricevette un colpo di spada dritto
sul pettorale e barcollò all’indietro. Si appoggiò contro lo stipite e si diede
lo slancio: alzò la mazza e l’abbatté sulla testa del nemico.
La mazza distrusse
l’arcata sopraciliare dell’umanoide e fece schizzare sangue ovunque.
«Questo è per la gente che
avete massacrato!» urlò l’eroe. L’umanoide lasciò andare lo schioppo e cadde,
privo di sensi. L’altro, quello ferito dal colpo di pistola e dalla mazza
chiodata, allungò la mano e artigliò gli stivali del cavaliere.
Nella stanza – una sorta
di rozzo studio – c’erano un tavolo e quattro sedie. Uno dei due armati di
spada spinse una sedia col piede.
La sedia finì addosso al cavaliere che era piegato in avanti per darsi slancio.
L’umanoide a terra gli strinse uno stivale e la sedia, colpendolo, fece il
resto: l’eroe fece un passo falso e finì a terra, in ginocchio; sbatté il mento
sul bordo del tavolo e sentì il sapore ferrigno del sangue in bocca.
L’umanoide più alto alzò
la spada e fece per abbatterla sulla testa dell’eroe; questi, alzando la mazza,
tentò di deviare il colpo. La spada intaccò il manico di legno della mazza,
spezzandolo. Il cavaliere prese un respiro: con tutte le sue forze, spinse il
tavolo e, nel contempo, si alzò. Il tavolo gli parve leggero, per via della forza accresciuta, e finì addosso all’umanoide alto.
Al cavaliere non restò che
sguainare la spada. Era un’arma lunga ed elegante, fatta col mithral nelle fucine dei nani.
L’eroe indietreggiò e
aggirò il tavolo. L’avversario alzò la spada e menò un fendente, ma il
cavaliere lo ripagò col trucco di prima, spingendogli contro una sedia.
L’umanoide fu colpito e barcollò all’indietro.
L’altro, quello più basso,
si accostò a una parete, rimise la spada nel fodero e spinse la roccia.
Il cavaliere vide la
roccia aprirsi, ruotando come il battente di una porta, per poi precipitare
giù, nel vuoto stellato.
Il nero del cosmo apparve
davanti ai suoi occhi.
L’eroe ruggì e diede di sghembo
all’umanoide alto. Che intercettò il colpo. La lama del cavaliere scivolò e si
fermò sulla crociera dell’altro. L’eroe spinse la propria spada in avanti e
ringhiò in faccia all’avversario:
«Avete ucciso quei
contadini!»
L’umanoide sogghignò. Il
cavaliere, furioso, gli sferrò una ginocchiata allo stomaco.
Poi lo spinse. L’altro
andò a sbattere contro la parete. Il cavaliere lo superò e puntò al fuggitivo. Vide
la sciarpa rossa svolazzare per uno sbaffo d’aria fredda. Alzò la spada e urlò:
«Fermati!»
Il vuoto dello spazio fu
attraversato dalla prua di una nave. L’umanoide fece un balzo e s’aggrappò ad
una corda. Poi si girò a guardare il cavaliere.
E sorrise.
L’eroe non avrebbe potuto
tentare un salto del genere, non con l’armatura addosso e con il braccio
sinistro pieno di shrapnel.
Perciò guardò, impotente,
l’umanoide salutarlo dalla nave e allontanarsi nel cosmo.
Non ebbe il tempo di
venire assalito dalla rabbia: sentì un ringhio alle spalle, si girò. Quello che
era finito contro la parete adesso stava in piedi e brandiva la spada.
Il cavaliere mise la
propria lama di traverso e deflesse il colpo, poi fece scattare la punta della
spada verso l’alto, affibbiò una testata al grugno dell’altro e sentì le zanne
spaccarsi contro l’acciaio dell’elmo. Diede una ginocchiata all’umanoide;
quello sbatté ancora contro la parete, allargando le braccia ed esponendosi. L’eroe
gli fece scivolare novanta centimetri di mithral nello stomaco. La creatura
sputò sangue scuro e s’afflosciò; il cavaliere le puntò lo stivale sull’inguine
e sfilò la spada. Poi fece un passo e tornò a guardare il vascello nemico. Quando
quello divenne solo un puntino confuso con le stelle, l’eroe sospirò, si girò e
pulì la spada sul cadavere.
Se era uno studio, forse,
c’erano documenti, carte. Perché si erano fermati in quella tana sotterranea?
Se c’era qualcosa, l’aveva
presa lui, il fuggitivo.
Il cavaliere sbuffò e
rimise la spada nel fodero, afferrò una sedia e ripercorse i suoi passi fino al
buco nel soffitto.
Lungo la strada, raccolse
la sfera luminosa.
Ezechiele apparve
dall’alto; aveva l’aria preoccupata:
«Mio signore!»
l’eroe lo guardò, con
un’espressione stanca, e disse: «Eh?»
«Tutto … bene?» domandò lo
scudiero.
Il cavaliere poggiò la
sedia e ci crollò sopra. Disse:
«Torniamo al vascello e
inseguiamo quegli orchi: voglio portare la testa del loro capo ai sopravvissuti
dell’asteroide agricolo.»
«Sì milord … »
Poi il cavaliere si tolse
gli stivali e sbuffò, guardando le vene varicose.
Si massaggiò i piedi,
indossò gli stivali magici, prese i suoi, mise la sfera dentro uno stivale, poi
levitò, adagio, fino all’orlo della voragine.
Ezechiele gli sorrise:
«Milord!»
Gli armigeri lo
salutarono: «Milord.»
Il cavaliere annuì, si
tolse l’elmo e lo diede allo scudiero. Poi allargò le braccia, come per un
gesto di impotenza.
Ezechiele e gli armigeri
gli tolsero spallacci e cubitiere e sganciarono il cinturone e il pettorale.
Pioveva ancora.
L’eroe si sedette sul
terreno infangato. E si tolse gli stivali magici. Rivoltò lo stivale, lasciò
cadere la sfera, indossò gli stivali, si alzò, impugnò la sfera e la diede a
Ezechiele.
Poi montò in sella.
«Andiamo a caccia!» disse.
«Con quel conto è riuscito a capire quanto sia profondo il pozzo?» domandò Ezechiele.
RispondiElimina«In teoria,» rispose il cavaliere, «nel nostro mondo potrei, ma in questo caso bisogna conoscere l’accelerazione gravitazionale e il peso esatto della sfera.»
E che se ne fa del peso esatto della sfera?
A seconda del peso la sfera cade più o meno rapidamente, quindi contando e tenendo conto del suo peso si potrebbe stimare la profondità del pozzo. Avevo una formula - la cerco negli appunti e la scrivo.
EliminaEhm... no.
EliminaLa velocità di caduta di un corpo non dipende dalla massa (perché tu volevi dire massa, non peso, che è un'altra cosa), che non influisce nemmeno quando prendi in considerazione l'attrito dell'aria (in questo caso, conta la superficie del corpo).
Mai visto l'esperimento in cui due oggetti diversi in caduta libera nel vuoto toccano il fondo contemporaneamente?
Il cavaliere, pur sapendo una cosa o due in più di un cavaliere medievale "standard", chiama la "massa" "peso", facendo un'imprecisione.
EliminaSì, la teoria di Galileo e l'esperimento di Boyle che ho trovato qui: http://ebook.scuola.zanichelli.it/amaldiscientifici/volume-1/le-forze-e-i-moti/il-moto-circolare-uniforme/document-13#270
Ma, posto che qui parliamo di un pozzo con una propria atmosfera, aria, quindi non vuoto, il dialogo avviene fra il cavaliere e il suo scudiero e il cavaliere cita, come suo maestro, un mago: dunque è possibile che cavaliere e mago siano ignoranti sul fatto e dicano delle inesattezze.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaBeh, se le inesattezze sono volute, tanto meglio. Siccome sembrava dover essere un cavaliere con qualche nozione di fisica, ti correggevo gli errori.
Elimina(E se anche non ci fosse il vuoto, ma aria, della massa non te ne fai niente)
(Ah, immagino che la formula che cercavi negli appunti fosse s=1/2 gt^2...)
(mi ero dimenticato l' 1/2)
O meglio, te lo concedo: la massa del corpo entra in gioco nel calcolo della velocità limite in caduta dovuta all'attrito, ma stiamo parlando di cadute da migliaia di metri.
EliminaDai tu ti sei dimenticato l'1/2; io avevo messo una rete elettrificata in acqua ...
EliminaLe inesattezze sono volute: il cavaliere è un po' sopra rispetto alla media, pur rimanendo, però, un uomo di tempi antichi.
La formula era proprio quella.
Fai benissimo a correggermi!
Ho realizzato solo ora: tu ti sei reso conto che quel poveraccio ha contato per una ventina di minuti prima che la sfera toccasse il fondo, e che quindi poi s'è fatto in volo di almeno una quarantina di minuti?
EliminaNo, lui contava i secondi; per contare il passaggio di un secondo devi aggiungere mille alla cifra sequenziale, così, dicendo quel "mille" in più, fai passare (circa) un secondo.
EliminaAh ok, per fortuna (sua)...
EliminaIo sapevo la versione americana (1 - mississippi - 2 - mississippi, o anche 1 - ippopotamo - 2 - ippopotamo), ma in effetti non si prestava molto.
No, non si prestava molto, ma mi hai dato più spunti di quanti pensi!
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