Ognuno di loro aveva al
dito un anello d’argento coperto di rune; erano immobili nei sotterranei di un castello
a guardare negli occhi l’uomo piccolo e gracile dal mento sfuggente.
L’uomo era il timido
figlio d’un professore; aveva studiato agraria e s’era occupato di
fertilizzanti e d’allevamento di polli, ora stava di fronte agli altri e li
guardava dietro grandi occhiali a forma di cerchio.
Il castello era la
ricostruzione di uno molto più antico e aveva una pianta triangolare al cui
vertice sorgeva un torrione che puntava verso il nord. Gli uomini si trovavano
proprio in questa torre a cinque metri sotto il pavimento del castello, in una
cripta. La luce filtrava in stille dorate da alcune nicchie, illuminando
ciascuno dei dodici uomini e bagnando d’oro l’ex-allevatore di polli. Gli
uomini erano ciascuno su un piedistallo attorno al cerchio incavato sul
pavimento al cui nucleo ribolliva una pozza di sostanza color giada eterea viva
e luminosa. Il soffitto collassava nella forma di una cupola che aveva, al suo
zenit, una grata a forma di svastica.
Degli uomini presenti, a
parte l’ex-allevatore, ne spiccavano cinque: il primo era un giovane biondo,
alto, dai tratti fini; il secondo era più vecchio, corpulento e aveva le guance
piene, si era fatto chiamare in molti modi ed era uno studioso di arti magiche;
aveva disegnato lui l’anello che tutti portavano al dito e su cui gli antichi
segni comuni alle culture germaniche e chiamati rune trovavano nuova vita. Chiamavano
quegli oggetti “anelli dalla testa di morto” per via del teschio che decorava
ognuno di essi. Ai lati del teschio c’erano due rune sagomate come fulmini a
simboleggiare la vittoria e inscritte in altrettanti triangoli; alla destra del
teschio era incisa una stella incorniciata da un esagono, simboleggiava la fede
incrollabile nella causa comune; dall’altra parte c’era una svastica inscritta
in un quadrato e per ultima veniva la doppia runa dentro ad un cerchio. La
doppia runa era composta da una sorta di croce chiamata “artiglio del lupo” e
da una cosiddetta “runa cieca”, ovvero la commistione di due rune, che aveva
inventato il creatore degli anelli e che sembrava una freccia con due barbigli
sul lato sinistro.
Il terzo uomo stava in
piedi di fianco al gigante biondo e aveva l’aria compassata di un vecchio
guerriero; stava ritto in piedi senza fiatare e con gli occhi carpiva ogni
mossa dell’ex-allevatore; i suoi capelli, come il suo viso, erano ordinati e
avevano un tono castano che allora cominciava appena a stemperarsi nel grigio
dei quarant’anni.
Il quarto era magro, d’altezza
media, aveva l’aria sorniona e i baffetti di un lord inglese.
Infine il quinto era
appena più alto dell’ex-allevatore, portava gli stessi occhiali ma cerchiati di
nero e aveva un fisico grassoccio.
Nella cripta c’era
un’ultima presenza, tangibile come e molto più degli uomini: il silenzio.
Galleggiava nell’aria, attorno a ciascuno dei figuri e vicino alla pozza
ribollente.
D’un tratto l’ex-allevatore
usurpò il trono del silenzio e disse: «Gli anelli!»
I dodici uomini
allungarono il braccio destro e i dodici anelli vennero colpiti dal sole; le
rune parvero accendersi, accumulare la luce e trasmetterla con un sottile
intrico di venature di foglie di quercia fino ai teschi; gli occhi vuoti delle
teste di morto brillarono e sputarono dardi sulla pozza di giada. Il ribollire
divenne più forte in un attimo, mentre la luce del sole, impregnata del potere
delle rune, eccitava quella non-materia, dopodiché si spense: la pozza era
piatta adesso e verde come un lago di zolfo.
L’omino dal mento
sfuggente annuì, poi sfilò un pugnale che aveva alla cintura, dopodiché si
chinò e immerse il pugnale nella pozza. La non-materia s’increspò come un
normale liquido al contatto con la lama e, mano a mano che l’uomo spingeva il
pugnale più a fondo, essa ne avviluppò le parti come avrebbe fatto un comune
stagno; poi lama elsa e pomolo sparirono.
Tutti sapevano dov’era
andato l’oggetto e tutti si aspettavano che tornasse indietro, perché il
rituale era compiuto.
Il gigante biondo alzò un
sopracciglio e rimase ad osservare; appena poco tempo prima non lo avrebbe
creduto possibile, andare su altri mondi, gettare uno sguardo su nuovi universi
tramite portali magici, ma ora tutto ciò gli stava di fronte ed era tangibile
come …
… il pugnale riapparve in
quell’attimo retto da una mano come la Excalibur di Artù; e la mano aveva al
dito un anello dalla testa di morto.
L’uomo dal mento
sfuggente, l’ex-allevatore di polli, si chiamava Heinrich Himmler ed era il
capo della famigerata unità paramilitare del Partito Nazista, le SS. Comandava
su quei dodici uomini, alcuni dei quali lo temevano, ma tutti – tranne forse il
biondo – ne riconoscevano appieno l’autorità.
Himmler agguantò il
pugnale; la mano con l’anello sparì di nuovo nel liquido.
Reinhard Heydrich, il
biondo generale delle SS, guardò Karl Wiligut, il mago; era per merito suo,
Heydrich lo riconobbe, che il Terzo Reich aveva potuto giungere a una simile
svolta. Lo spazio vitale stava lì a portata di mano; l’uomo germanico ne
avrebbe calcato il suolo e avrebbe preso il posto assegnatogli dagli dèi sul
trono del nuovo mondo.
«Il portale è stabile
ora.» disse Himmler, «vuoi incaricarti tu, Karl, di avvertire il Führer?»
l’omino dal mento sfuggente fece un cenno al mago, che annuì.
«Signori!» intervenne
inaspettatamente l’uomo coi baffetti da lord, «in quanto castellano credo che
l’onere e l’onore spettino a me.» disse.
Heydrich lo guardò
sottecchi e pensò che Siegfried Taubert era molto coraggioso … o molto stupido.
Poi il capo delle SS fece
un cenno a Taubert. Il castellano annuì e scese dal piedistallo, s’avvicinò ad
Himmler e attese. L’ex-allevatore di polli gli porse il pugnale dicendo:
«L’onere e l’onore è suo, Taubert.»
Karl Wiligut registrò
l’avvenimento con un malcelato sorriso: che andasse pure dall’altra parte
quello là! Ma se la non-materia non si fosse in effetti stabilizzata, beh, il
castellano sarebbe morto nel modo più atroce. Era ancora un mistero per mezzo
di quale fenomeno la materia venisse scomposta e viaggiasse da una parte
all’altra il più delle volte senza problemi; nei primi tempi si erano
verificati alcuni incidenti a causa dell’instabilità del portale e validi
uomini avevano perso la vita in modi orripilanti: Wiligut rammentava benissimo
quella SS che era arrivata di là senza la metà inferiore del corpo, con gli
intestini che pendevano nel vuoto. Taubert non gli stava antipatico, ma
nondimeno quel fare da lacchè che aveva sfoggiato poc’anzi irritava la sensibilità
del corpulento mago, senza contare che lui, Wiligut, aveva già annuito alla
richiesta di Himmler.
Il vecchio soldato, il
generale delle SS Karl Wolff, osservava con compunzione la scena: Siegfried
Taubert stava prendendo in quel momento il pugnale dalle mani di Himmler. Wolff
era un autentico militare e quelle pratiche gli sembravano quantomeno bizzarre;
era già passato dal portale varie volte per svolgere gli incarichi affidatigli
da Himmler e non la trovava un’esperienza piacevole. Era presente quando un
capitano delle SS aveva fatto il salto con la sola metà superiore del corpo ed
era morto poco dopo, fra atroci sofferenze. Questi incidenti capitavano a volte
e facevano parte della politica di conquista ed espansione del Reich: ogni
soldato avrebbe dovuto saperlo. Ora il portale era stabile, ma che ci passasse
pure Taubert per primo; certo, se Himmler gliel’avesse chiesto, Karl Wolff
avrebbe scansato il castellano e si sarebbe buttato nella non-materia.
Himmler e gli undici
guardarono Siegfried Taubert mettere un piede nella pozza color giada; questa
si comportò esattamente come aveva fatto per il pugnale: avviluppò il piede del
castellano copiando un normale liquido. Himmler annuì, alzò la mano destra e
fece uno scatto effeminato del polso.
Con i piedi già
nell’Altrove, Taubert si girò verso il capo delle SS e fece il saluto a cui si
unirono presto gli altri undici. Siegfried Taubert poi svanì nel portale.
«Bene,» disse Himmler,
«potete andare.»
Gli undici scesero ognuno
dal proprio piedistallo e si congratularono con l’ex-allevatore.
Reinhard Heydrich alzò un
sopracciglio e strinse la mano di Himmler: «Lunga vita al Reich.» gli disse.
«Lunga vita al Reich.» ripeté
l’occhialuto SS.
Dopodiché Heydrich si
frugò nelle tasche e prese un portasigarette d’argento, lo aprì, prese una
sigaretta e la batté sul quadrante dell’orologio, quindi uscì dalla cripta. Con
la sigaretta in bocca, Heydrich salì le scale che portavano ai livelli
superiori del torrione. Non aveva fiammiferi con sé e se ne rammaricò, ma fece
spallucce continuando a salire. Quando raggiunse la cima e uscì all’aperto, un
vento gelido gli scompigliò i capelli e gli staffilò il viso. Heydrich
rabbrividì, ma ciononostante si avvicinò al parapetto.
Quando guardò giù vide gli
alberi di una primitiva foresta cadere abbattuti come da folgori; vide sterri e
impalcature sorgere e centinaia di creature lavorare sul suolo di quel mondo
alieno per la gloria del Reich.
Li guardò con la curiosità
di un bambino, come se li vedesse la prima volta: erano copie di
uomini e donne tozzi, con le gambe arcuate e la testa grossa; alcuni avevano
arcate sopraciliari prominenti e nasi e orecchie grandi. Tutti i maschi
portavano la barba. Avevano occhi e capelli chiari, anche se, qui e lì, si
poteva cogliere una chioma bruna e iridi scure. Alcuni erano minuscoli, mentre
altri superavano di poco l’altezza di un fanciullo.
«Bene.» disse, poi tastò meglio l’uniforme e sorrise:
aveva trovato i fiammiferi.fine
Un anno fa ho scritto questo brano, che avrebbe dovuto fare da prologo a un mio romanzo fantasy che non ha ancora visto la luce.
RispondiEliminaInvece di fossilizzarmi su un romanzo fantasy, quando mi viene voglia, scrivo qualcosa usando la medesima ambientazione di questo brano. Ora sto raccogliendo questi racconti in una pagina del mio blog che chiamerò "Asgard - dall'altra parte del portale".
Praticamente, Hitler e gli amici del "sole nero" scoprono e attivano un portale che connette il castello di Wewelsburg con un punto preciso in un altro mondo, mondo popolato solo da nani precisi e "ntifici" a quelli delle tradizioni germaniche. Hitler e gli amici ci costruiscono attorno (attorno al punto) un castello uguale uguale a Wewelsburg.
Poi, cominciano a popolare il nuovo "spazio vitale".
Ma il loro è l'unico portale stabile sul mondo che il Fuhrer (dotato di grande fantasia) ha chiamato "Asgard"?
E, sempre il loro portale, non avrà causato disastri spazio-temporali fra Asgard e la Terra?
Ah, salc***o ...
Lo scopo del gioco è indovinare quanti ne scriverai prima di stancarti?
EliminaMa no! La cosa bella è che non è una serie. Posso scrivere quanta roba voglio e con personaggi diversi quando voglio, usando la stessa ambientazione. Per quello mi sono permesso di pubblicare questi brani sul blog!
EliminaIl che ti permetterà di scriverne giusto un paio in più del solito, prima di stancarti...
EliminaChe sarebbe comunque un buon record! eh!
EliminaNe sto scrivendo un'altra, comunque. dai, fiduciosi!
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