lunedì 20 maggio 2013

Anelli neri - racconto della serie "Asgard - dall'altra parte del portale"





Ognuno di loro aveva al dito un anello d’argento coperto di rune; erano immobili nei sotterranei di un castello a guardare negli occhi l’uomo piccolo e gracile dal mento sfuggente.
L’uomo era il timido figlio d’un professore; aveva studiato agraria e s’era occupato di fertilizzanti e d’allevamento di polli, ora stava di fronte agli altri e li guardava dietro grandi occhiali a forma di cerchio.
Il castello era la ricostruzione di uno molto più antico e aveva una pianta triangolare al cui vertice sorgeva un torrione che puntava verso il nord. Gli uomini si trovavano proprio in questa torre a cinque metri sotto il pavimento del castello, in una cripta. La luce filtrava in stille dorate da alcune nicchie, illuminando ciascuno dei dodici uomini e bagnando d’oro l’ex-allevatore di polli. Gli uomini erano ciascuno su un piedistallo attorno al cerchio incavato sul pavimento al cui nucleo ribolliva una pozza di sostanza color giada eterea viva e luminosa. Il soffitto collassava nella forma di una cupola che aveva, al suo zenit, una grata a forma di svastica.

Degli uomini presenti, a parte l’ex-allevatore, ne spiccavano cinque: il primo era un giovane biondo, alto, dai tratti fini; il secondo era più vecchio, corpulento e aveva le guance piene, si era fatto chiamare in molti modi ed era uno studioso di arti magiche; aveva disegnato lui l’anello che tutti portavano al dito e su cui gli antichi segni comuni alle culture germaniche e chiamati rune trovavano nuova vita. Chiamavano quegli oggetti “anelli dalla testa di morto” per via del teschio che decorava ognuno di essi. Ai lati del teschio c’erano due rune sagomate come fulmini a simboleggiare la vittoria e inscritte in altrettanti triangoli; alla destra del teschio era incisa una stella incorniciata da un esagono, simboleggiava la fede incrollabile nella causa comune; dall’altra parte c’era una svastica inscritta in un quadrato e per ultima veniva la doppia runa dentro ad un cerchio. La doppia runa era composta da una sorta di croce chiamata “artiglio del lupo” e da una cosiddetta “runa cieca”, ovvero la commistione di due rune, che aveva inventato il creatore degli anelli e che sembrava una freccia con due barbigli sul lato sinistro.
Il terzo uomo stava in piedi di fianco al gigante biondo e aveva l’aria compassata di un vecchio guerriero; stava ritto in piedi senza fiatare e con gli occhi carpiva ogni mossa dell’ex-allevatore; i suoi capelli, come il suo viso, erano ordinati e avevano un tono castano che allora cominciava appena a stemperarsi nel grigio dei quarant’anni.
Il quarto era magro, d’altezza media, aveva l’aria sorniona e i baffetti di un lord inglese.
Infine il quinto era appena più alto dell’ex-allevatore, portava gli stessi occhiali ma cerchiati di nero e aveva un fisico grassoccio.
Nella cripta c’era un’ultima presenza, tangibile come e molto più degli uomini: il silenzio. Galleggiava nell’aria, attorno a ciascuno dei figuri e vicino alla pozza ribollente.
D’un tratto l’ex-allevatore usurpò il trono del silenzio e disse: «Gli anelli!»
I dodici uomini allungarono il braccio destro e i dodici anelli vennero colpiti dal sole; le rune parvero accendersi, accumulare la luce e trasmetterla con un sottile intrico di venature di foglie di quercia fino ai teschi; gli occhi vuoti delle teste di morto brillarono e sputarono dardi sulla pozza di giada. Il ribollire divenne più forte in un attimo, mentre la luce del sole, impregnata del potere delle rune, eccitava quella non-materia, dopodiché si spense: la pozza era piatta adesso e verde come un lago di zolfo.
L’omino dal mento sfuggente annuì, poi sfilò un pugnale che aveva alla cintura, dopodiché si chinò e immerse il pugnale nella pozza. La non-materia s’increspò come un normale liquido al contatto con la lama e, mano a mano che l’uomo spingeva il pugnale più a fondo, essa ne avviluppò le parti come avrebbe fatto un comune stagno; poi lama elsa e pomolo sparirono.
Tutti sapevano dov’era andato l’oggetto e tutti si aspettavano che tornasse indietro, perché il rituale era compiuto.
Il gigante biondo alzò un sopracciglio e rimase ad osservare; appena poco tempo prima non lo avrebbe creduto possibile, andare su altri mondi, gettare uno sguardo su nuovi universi tramite portali magici, ma ora tutto ciò gli stava di fronte ed era tangibile come …
… il pugnale riapparve in quell’attimo retto da una mano come la Excalibur di Artù; e la mano aveva al dito un anello dalla testa di morto.
L’uomo dal mento sfuggente, l’ex-allevatore di polli, si chiamava Heinrich Himmler ed era il capo della famigerata unità paramilitare del Partito Nazista, le SS. Comandava su quei dodici uomini, alcuni dei quali lo temevano, ma tutti – tranne forse il biondo – ne riconoscevano appieno l’autorità.
Himmler agguantò il pugnale; la mano con l’anello sparì di nuovo nel liquido.
Reinhard Heydrich, il biondo generale delle SS, guardò Karl Wiligut, il mago; era per merito suo, Heydrich lo riconobbe, che il Terzo Reich aveva potuto giungere a una simile svolta. Lo spazio vitale stava lì a portata di mano; l’uomo germanico ne avrebbe calcato il suolo e avrebbe preso il posto assegnatogli dagli dèi sul trono del nuovo mondo.
«Il portale è stabile ora.» disse Himmler, «vuoi incaricarti tu, Karl, di avvertire il Führer?» l’omino dal mento sfuggente fece un cenno al mago, che annuì.
«Signori!» intervenne inaspettatamente l’uomo coi baffetti da lord, «in quanto castellano credo che l’onere e l’onore spettino a me.» disse.
Heydrich lo guardò sottecchi e pensò che Siegfried Taubert era molto coraggioso … o molto stupido.
Poi il capo delle SS fece un cenno a Taubert. Il castellano annuì e scese dal piedistallo, s’avvicinò ad Himmler e attese. L’ex-allevatore di polli gli porse il pugnale dicendo: «L’onere e l’onore è suo, Taubert.»
Karl Wiligut registrò l’avvenimento con un malcelato sorriso: che andasse pure dall’altra parte quello là! Ma se la non-materia non si fosse in effetti stabilizzata, beh, il castellano sarebbe morto nel modo più atroce. Era ancora un mistero per mezzo di quale fenomeno la materia venisse scomposta e viaggiasse da una parte all’altra il più delle volte senza problemi; nei primi tempi si erano verificati alcuni incidenti a causa dell’instabilità del portale e validi uomini avevano perso la vita in modi orripilanti: Wiligut rammentava benissimo quella SS che era arrivata di là senza la metà inferiore del corpo, con gli intestini che pendevano nel vuoto. Taubert non gli stava antipatico, ma nondimeno quel fare da lacchè che aveva sfoggiato poc’anzi irritava la sensibilità del corpulento mago, senza contare che lui, Wiligut, aveva già annuito alla richiesta di Himmler.
Il vecchio soldato, il generale delle SS Karl Wolff, osservava con compunzione la scena: Siegfried Taubert stava prendendo in quel momento il pugnale dalle mani di Himmler. Wolff era un autentico militare e quelle pratiche gli sembravano quantomeno bizzarre; era già passato dal portale varie volte per svolgere gli incarichi affidatigli da Himmler e non la trovava un’esperienza piacevole. Era presente quando un capitano delle SS aveva fatto il salto con la sola metà superiore del corpo ed era morto poco dopo, fra atroci sofferenze. Questi incidenti capitavano a volte e facevano parte della politica di conquista ed espansione del Reich: ogni soldato avrebbe dovuto saperlo. Ora il portale era stabile, ma che ci passasse pure Taubert per primo; certo, se Himmler gliel’avesse chiesto, Karl Wolff avrebbe scansato il castellano e si sarebbe buttato nella non-materia.
Himmler e gli undici guardarono Siegfried Taubert mettere un piede nella pozza color giada; questa si comportò esattamente come aveva fatto per il pugnale: avviluppò il piede del castellano copiando un normale liquido. Himmler annuì, alzò la mano destra e fece uno scatto effeminato del polso.
Con i piedi già nell’Altrove, Taubert si girò verso il capo delle SS e fece il saluto a cui si unirono presto gli altri undici. Siegfried Taubert poi svanì nel portale.
«Bene,» disse Himmler, «potete andare.»
Gli undici scesero ognuno dal proprio piedistallo e si congratularono con l’ex-allevatore.
Reinhard Heydrich alzò un sopracciglio e strinse la mano di Himmler: «Lunga vita al Reich.» gli disse.
«Lunga vita al Reich.» ripeté l’occhialuto SS.
Dopodiché Heydrich si frugò nelle tasche e prese un portasigarette d’argento, lo aprì, prese una sigaretta e la batté sul quadrante dell’orologio, quindi uscì dalla cripta. Con la sigaretta in bocca, Heydrich salì le scale che portavano ai livelli superiori del torrione. Non aveva fiammiferi con sé e se ne rammaricò, ma fece spallucce continuando a salire. Quando raggiunse la cima e uscì all’aperto, un vento gelido gli scompigliò i capelli e gli staffilò il viso. Heydrich rabbrividì, ma ciononostante si avvicinò al parapetto.
Quando guardò giù vide gli alberi di una primitiva foresta cadere abbattuti come da folgori; vide sterri e impalcature sorgere e centinaia di creature lavorare sul suolo di quel mondo alieno per la gloria del Reich.
Li guardò con la curiosità di un bambino, come se li vedesse la prima volta:  erano copie di uomini e donne tozzi, con le gambe arcuate e la testa grossa; alcuni avevano arcate sopraciliari prominenti e nasi e orecchie grandi. Tutti i maschi portavano la barba. Avevano occhi e capelli chiari, anche se, qui e lì, si poteva cogliere una chioma bruna e iridi scure. Alcuni erano minuscoli, mentre altri superavano di poco l’altezza di un fanciullo.
«Bene.» disse, poi tastò meglio l’uniforme e sorrise: aveva trovato i fiammiferi.

fine

6 commenti:

  1. Un anno fa ho scritto questo brano, che avrebbe dovuto fare da prologo a un mio romanzo fantasy che non ha ancora visto la luce.
    Invece di fossilizzarmi su un romanzo fantasy, quando mi viene voglia, scrivo qualcosa usando la medesima ambientazione di questo brano. Ora sto raccogliendo questi racconti in una pagina del mio blog che chiamerò "Asgard - dall'altra parte del portale".
    Praticamente, Hitler e gli amici del "sole nero" scoprono e attivano un portale che connette il castello di Wewelsburg con un punto preciso in un altro mondo, mondo popolato solo da nani precisi e "ntifici" a quelli delle tradizioni germaniche. Hitler e gli amici ci costruiscono attorno (attorno al punto) un castello uguale uguale a Wewelsburg.
    Poi, cominciano a popolare il nuovo "spazio vitale".
    Ma il loro è l'unico portale stabile sul mondo che il Fuhrer (dotato di grande fantasia) ha chiamato "Asgard"?
    E, sempre il loro portale, non avrà causato disastri spazio-temporali fra Asgard e la Terra?
    Ah, salc***o ...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lo scopo del gioco è indovinare quanti ne scriverai prima di stancarti?

      Elimina
    2. Ma no! La cosa bella è che non è una serie. Posso scrivere quanta roba voglio e con personaggi diversi quando voglio, usando la stessa ambientazione. Per quello mi sono permesso di pubblicare questi brani sul blog!

      Elimina
    3. Il che ti permetterà di scriverne giusto un paio in più del solito, prima di stancarti...

      Elimina
    4. Che sarebbe comunque un buon record! eh!

      Elimina
    5. Ne sto scrivendo un'altra, comunque. dai, fiduciosi!

      Elimina