L’apocalisse
zombie iniziò quando uno scienziato in California mischiò il virus della rabbia
a un polpettone che aveva da giorni in frigo e diede da mangiare tutto al
gorilla del laboratorio. Dopo qualche ora, il gorilla cominciò a piangere
sangue, morì e resuscitò zombie. Lo scienziato, invece di tenerlo al sicuro in
una cella, fece una cosa idiota, tipo insegnargli la matematica. Il
gorilla-zombie di matematica non capì nulla e morse lo scienziato al braccio.
«Piango sangue e vorrei mangiare i miei figli.» lo scienziato cercò di ignorare
i sintomi per qualche ora, poi andò all’ospedale, e il dottore lo fece sedere
su una sedia. «Lei ha poco controllo motorio, interessante.» disse il dottore,
compilando un documento a caselline prestampate. «Dunque, apra la bocca e dica
“aaaaaaah”» lo zombie aprì la bocca e mangiò l’abbassalingua e il braccio del
dottore. Il dottore cominciò a girare per tutto l’ospedale, graffiando,
mordendo e vomitando sangue infetto su medici e pazienti.
Qualche
giorno dopo, sul Daily Times leggemmo
le rassicurazioni del governo. Poi ci fu l’edizione straordinaria e leggemmo
“Siete fottuti!”.
I colleghi
dell’idiota del polpettone avevano pure classificato lo zombie come individuo
affetto da CDHD, Consciousness Deficit Hypoactivity Disorder. Questa malattia
produceva la perdita del comportamento cosciente e volontario rimpiazzato da
aggressività impulsiva, attenzione attratta da stimoli, inabilità di coordinare
comportamenti linguistico-motori e insaziabile appetito di carne umana.
Gli zombie
si muovono adagio a causa del danneggiamento del cervelletto, che provoca una
grave atassia. Hanno memoria cortissima, a causa del danneggiamento
dell’ippocampo. La loro corteccia parietale è inattiva, perciò non sentono il
dolore. La corteccia parietale posteriore è danneggiata e provoca, nello
zombie, una difficoltà di coordinazione dei movimenti mano-occhio, inabilità di
mettere a fuoco un qualsiasi punto e di percepire più di un oggetto alla volta.
«Allora,
sono armato con un MP5, che ha cadenza di fuoco 800 pallottole al minuto. Ogni
caricatore ha trenta cartucce. E davanti a noi ci sono venti zombie. Impiego
quattro secondi per ricaricare e ho una precisone di mira diciamo del 70%.
Quanto tempo mi ci vuole a fare fuori i venti zombie?»
«Numero uno:
doppio colpo per sicurezza. Ficca sempre due pallottole nella testa del tuo
zombie. Perciò devi colpire quaranta volte e, con la tua precisione, sprecherai
57,1 pallottole. Arrotondiamo per eccesso e si va a 58. Il primo caricatore lo
fai fuori in 2,25 secondi. Una ricarica, 4 secondi. Le 28 pallottole restanti
vanno via in altri 2,10 secondi. In 8,35 secondi avrai fatto fuori tutti i
bastardi.»
C’è da dire
che Avalon non piangeva più con le cuffie da martello pneumatico che avevamo
recuperato. Ai lati del suo passeggino ci avevo messo un Benelli carico e un leggerissimo
AR-15 in acrilonitrile
butadiene stirene dipinto giallo sabbia opaco, con caricatore a tamburo, calcio
collassabile e motosega elettrica. Mentre guardava Mamma e Papà all’opera, Avvy
ricaricava la batteria della motosega tramite un cavetto USB collegato alla
maschera-respiratore di plastica che le copriva bocca e naso.
«Dovrei
aumentare la precisione così da sprecare meno pallottole.» dissi, mentre
rientravamo in casa. Che poi era l’armeria. La nostra vera casa si trovava più
giù, lungo la collina ed era un blocco di cemento liscio e grigio, che si
apriva al tocco del mio telecomando.
Da fuori, la
casa-armeria sembrava una grossa pila di tronchi, ma dentro, Amber e io
l’avevamo arredata con un divano-letto a chaise-longue, un mobile pieno di cibo
non deperibile e armi. La luce ce la dava una bottiglia di Coca-Cola da un
litro e mezzo riempita d’acqua e candeggina e conficcata al soffitto.
Rifletteva e rinfrangeva la luce del sole illuminando casa come una lampadina
da 55 watt.
Ci eravamo
spostati lì dal Kansas all’inizio dell’apocalisse, seguendo la mappa di Madison
Spears apparsa sul Daily Times e
intitolata “Gli Stati Zombie d’America – dov’è più sicuro abitare”. Dicevano
che la California era il luogo più sicuro, mentre il Kansas era al
trentottesimo posto. Amber sarebbe voluta andare in Florida, ma era in
California che avevo la casa grande e quella piccola. Credo che il Times avesse stilato quella classifica
incrociando i chilometri quadrati, la popolazione, le armerie, gli ospedali, le
basi militari e i centri commerciali d’ogni singolo stato.
Da buoni
esperti di sopravvivenza, ci eravamo tenuti lontani dalle centrali chimiche, da
quelle nucleari e da quelle di gas liquido. Sapevamo che, con lo spegnersi
delle centrali elettriche e idroelettriche, i gas – che avevano bisogno di
temperature bassissime per rimanere in forma liquida – sarebbero fuoriusciti
dalle valvole dei contenitori, avvelenando l’aria. Ero sicuro che, in molte
parti d’America, i sopravvissuti stessero crepando anche per quei gas. Per non parlare delle esplosioni che, dal
secondo giorno dell’apocalisse, avevamo iniziato a sentire. I gas dovevano aver
raggiunto le automobili abbandonate. Bastava una scintilla a innescare i fuochi
d’artificio.
Era stata
Amber a prevedere il problema delle radiazioni. Senza più tecnici, le vasche di
carburante nucleare usato s’erano messe a bollire, a causa della mancanza di
sistema di raffreddamento. I vapori radioattivi avevano trovato sfogo
nell’atmosfera. Il carburante aveva generato la combustione spontanea degli
edifici presso le centrali nucleari, causando esplosioni, e emettendo radiazioni
non solo nelle vicinanze, ma anche a chilometri e chilometri, a causa dei
venti. E questo accadde dozzine e dozzine di volte, man mano che le centrali e
i siti di stoccaggio esplodevano. Nubi radioattive avevano solcato il cielo,
avevano bagnato la terra di pioggia e avvelenato le colture e i piccoli animali.
Ero sicuro – e ne ebbi la conferma mesi dopo – che quelli più grossi si fossero
salvati a causa della mancanza di cibo, che li aveva costretti ad allontanarsi
dalla zona radioattiva.
Era stata
proprio una migrazione di massa dei cervi dalla coda bianca ad avvertirci di
quegli zombie. Fino a due giorni prima bighellonavano nei dintorni e poi,
spariti! Così avevamo avuto il tempo per prepararci. Devo dire che per noi
animalisti e survivalisti, l’apocalisse zombie era un toccasana. Potevamo fare
fuori quei figli di puttana senza che ci sbattessero in galera. E poi la
popolazione animale aumentava, senza l’intervento distruttore dell’uomo.
Un anno dopo
l’inizio dell’apocalisse, le piogge primaverili avevano spazzato via le
particelle radioattive dalla superficie e le avevano spinte ancora di più in
profondità, ripulendo piange e oggetti. Poi, le piante cresciute nel frattempo
avevano rimosso la CO2 artificiale nell’atmosfera.
Secondo il
mio orologio meccanico da polso, era passato un anno esatto dall’inizio
dell’apocalisse. A causa della mancanza d’elettricità, non avevamo più
internet, né rete cellulare. Avalon
aveva quasi due anni ed era una bambina bionda e vivace.
«Condoooorrr!»
trillò, quando iniziammo a sentire il bosco riempirsi di versi d’uccelli. «Su,
andiamo a vederli!» propose Amber. Era tanto che non le facevo un bel regalo e
poi capitava a fagiolo. Perciò uscimmo di nuovo sul terrazzo e ci godemmo lo
spettacolo.
Uno stormo
d’avvoltoi collorosso s’era radunato a terra e staccava pezzi di carne dagli
zombie. Fra di loro, sul corpo di quello zombie ciccione che avevo abbattuto,
ecco l’enorme condor californiano. Tre metri d’apertura alare. Quello era
capace di portarsi via quarti di zombie interi per mangiarseli da un’altra
parte.
«Dovrò
pulire i pannelli solari…» dissi, guardando verso la casa. Nel corso delle loro
visite, gli uccelli li avevano riempiti di cacca e, quando caga un corvo è una
cosa, ma proviamo a pensare allo schizzo di un condor californiano…
«Passiamo la
notte qui?» domandò Amber. «Sì. Lasciamogli finire il pasto o ci attaccheranno.
Sai come sono diventati, da qualche tempo. E poi li stiamo sfruttando come
allarme per altri zombie o bestie selvatiche.» dissi. Lei sorrise e si chinò a
togliere la mascherina ad Avvy. La batteria della motosega era carica.
Con una
cassa di birre e tre sdraio, ci godemmo lo spettacolo del tramonto sulle
montagne. «Ah, quanto vorrei una birra ghiacciata!» disse Amber. «Dovremmo
collegare questo posto al generatore di casa nostra, che dici?» propose. «È un
lavoraccio, ma si può fare. Ecco che ne arrivano altri.» dissi. Gli avvoltoi
erano parecchio incazzati all’apparire di un piccolo gruppo di non morti. Il
condor non fece neanche il gesto di spostarsi dal suo pasto fino a che gli
zombi non furono vicini. Si alzò, pigro e sparì oltre le cime degli alberi.
Speravo che non gli venisse in testa di posarsi sui pannelli del tetto di casa
mia… o di cacarci addosso. «Che cazzo! Volevo fare almeno uno schema di parole
crociate…» disse Amber, scendendo di sotto. «Cosa ti porto?» mi domandò. «Fai
tu, tesoro.»
L'ho riletto adesso e mi piace proprio :) non so perché...
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