sabato 13 giugno 2020

Dialogo - racconto horror

foto presa da deviantart di cjheery. originale qui



Pioveva e Gianni e Luca parlavano del più e del meno, nella classe della vecchia scuola elementare. Erano sdraiati sui banchi, che avevano coperto con un sacco a pelo, e guardavano il soffitto, ridendo come scemi.
Pioveva. Le gocce rigavano le finestre e lo scoppio dei tuoni attutiva il lamento dei morti, là fuori. Erano tanti, i morti. Tutta la città era morta. Se ne stavano in piedi, sotto l’acqua, a dondolarsi adagio e a lamentarsi con quel loro verso straziante. Se sentivano l’odore di carne umana, però, si risvegliavano: venivano percorsi da una scossa e ti si lanciavano contro. Erano stupidi, erano come macchine progettate solo per mangiarti, punto e basta.

«Hai le pupille dilatate abbestia, fra.» Gianni si mise a ridere e indicò Luca.
«Anche tu, fra.» Rise pure Luca.
«… che poi, ti dicevo, guarda che siamo fortunati.»
«fortunati? Ci sono gli zombi» disse Luca.
Gianni rise. Vide la stanza girare e rise ancora.
«Eh, ma sono zombi di quelli normali.»
«Che cazzo dici? Normali? Figa è gente morta che cammina e ti vuole mangiare. Ti pare normale?»
«Ascolta, fra,» Gianni rise ancora, «questi qui sono zombi lenti, tipo che in bici li stacchi, no? Lo facciamo sempre, no?»
«Eh, lo facciamo! Tu lo fai» disse Luca.
«Figa, chissà dove sono finiti i bambini di sta elementare?»
«Eh, dove sono finiti dove? Zombi.»
«Zombi bambini» disse Gianni.
«Zombambini» disse Luca.
«Tu sei fuori» disse Gianni e rise. Rise pure Luca. E fuori pioveva.
Tac tac tac, sul tetto, tac.
«E quindi, fra?» disse Luca, tornando al discorso.
«E quindi… e quindi… tipo immagina, invece di quelli lenti, un mondo pieno di zombi veloci. Cazzo saremmo morti.»
«Già!» disse Luca, spalancando gli occhi, «E tipo, invece degli zombi che muoiono e risorgono, e che ci metti un sacco a trasformati, immagina tipo gli infetti di 28 giorni dopo. Quelli tac! Ti trasformi subito, all’istante, in un secondo e poi corri abbestia.»
«Eh, vedi? Corrono abbestia quelli» disse Gianni, «siamo fortunati, fra, o no?»
«Con quelli non si scappa, altro che bici» disse Luca. Gianni rise.
«Sta roba spacca, fra» disse.
«Io di psicofarmaci ne so, fra» disse Luca, «è una bomba sta roba.»
«Minchia, fra, abbiamo preso paroxetina e cosa?»
«Lascia stare, roba potente» disse Luca, «e in quantità.»
«Bella. E se moriamo?»
«Spettacolo» disse Luca.
«Ma tu sei schizofrenico» disse Gianni. Luca rise.
«Tu lo sei, fra!» disse, sganasciandosi.
«Figa mi viene su la grappa» disse Gianni.
«Ma continua, oh, continua» Luca voleva tornare al discorso.
«Beh, oh, allora, immaginati, infetti – e non zombi – veloci e, ancora peggio, infetti non solo umani. Figa la botta.»
«Senti che sale?»
«No, la botta degli infetti… boh, gatti. Dove li becchi i gatti? Come ti difendi? Ti mangiano. O peggio… gli infetti conigli! Quelli piccoli, tipo le lepri di campagna. Quelli come li vedi? Figa ti piombano addosso in diecimila che neanche te ne accorgi.»
«Fra, sei un grande» disse Luca, ridendo. La stanza faceva su e giù.
Gianni cercò di dire qualcosa, poi si mise a ridere.
«Ci volevano pure i funghetti, fra.»
«Eh, e dove li trovavi? Dove?»
«Cazzo cresceranno su quelle merde di zombi, no?»
«Fra, sei un genio. Ammazziamone uno e ce lo fumiamo, eh?»
«Top!» Gianni rise di gusto.
«Oh fra, fra, fra?» Luca lo chiamava. Lui non rispondeva.
Gianni perse i sensi. I farmaci erano saliti e gli avevano dato una botta tremenda.
Vagò nell’obliò del niente, pensando alla bici, a se stesso che pedalava via dagli zombi, alla scuola elementare che frequentava da piccolo e alla sua maestra trasformata in zombi. Gli venne nostalgia di casa e si mise a chiamare: «Mamma!»
Gli rispose una specie di rutto.
E lui ancora: «Mamma!»
Che botta quelle pillole. Che botta quelle gocce. Che botta la grappa. Benzina.
«Amore, ma che vuoi fare? Ti vuoi suicidare?» gli chiese la mamma. Se la vide là davanti, bella come il sole, con i capelli mossi e ramati, a sorridergli e a biasimarlo un po’.
«Ho preso certe robe, Ma’» disse lui.
«Che roba? Cosa hai preso?»
«Beh, Ma’, voglio farla finita con gli zombi. Ho svaligiato una farmacia e ho preso tutto, Ma’, tutto.»
«Che cosa hai preso?» La voce della madre divenne severa.
Lui pianse.
«Figa, pillole brutte, Ma’, c’è scritto che ti fanno diventare schizofrenico, Ma’… effetti collaterali» disse.
«Sai cosa vuol dire, Amore?»
«Che… boh… che ti sdoppi? Come in quel film?»
«Ti devi svegliare, Amore. Certo che ti sdoppi! Certo!»
«Oh, Ma’, ma Luca?»
«Chi è Luca?» chiese la madre, «non c’è nessun Luca.»
«Cazzo!» Gianni imprecò, «Io! Io… IO mi chiamo Gianluca» disse.
«Bravo! Ti sei sdoppiato, Amore.»
«Ma Mamma!»
«Eh, Mamma: guarda chi hai accanto! Svegliati!»
La sua coscienza venne fuori dalla nebbia dei farmaci. Era nella classe e guardava il soffitto. Faceva freddo ed era sdraiato su un sacco a pelo, messo sui banchi. Accanto a lui, con la schiena e le braccia rotte, sdraiato, c’era uno zombi. Era putrefatto e gli occhi bianchi come quelli di un pesce bollito guardavano lui. La bocca si apriva e si chiudeva e i denti, pochi e marci, sbattevano. Ogni movimento era di carne andata a male che strisciava contro carne andata a male. Puzzava come formaggio vecchio di anni, pieno di vermi e strisciato nella merda. Gianluca vomitò. Gli salì su la grappa. Fece un rutto alcolico che gli bruciò quasi i peli del naso.
Adagio, si alzò. La classe fece un giro. Lui si mosse e la classe si mosse con lui. I banchi erano accatastati alla porta e altri banchi erano alle finestre.
Barcollò, allontanandosi dallo zombi, e andò a una delle finestre. Ci mise i palmi delle mani sopra, come da bambino, e guardò giù.
Ce n’erano tanti. Tanti.
«Porcaputtana» disse, sbalordito.
Se ne stavano lì, a ondeggiare, a barcollare e poi, tutti assieme guardarono verso di lui. E giù il lamento.
«Aaaaaaaaaaaaaaa» Fatto da migliaia di voci.
«Aaaaaaaaaaaaaaa…»

Fine

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