"ma quante ne so!" |
Torino, 11 febbraio 1859.
Camillo Benso, conte di
Cavour, sedeva nel suo gabinetto, meditando ad alta voce sui libri contabili
del Regno.
«Servono soldi! Con la
guerra abbiamo accumulato un debito di un miliardo di lire, e gran parte di
questo denaro bisognerà restituirlo alla Gran Bretagna.»
Quando bussarono alla
porta, il Conte disse: «Entrate.» si tolse gli occhiali a pince-nez e passò due
dita sulle palpebre stanche.
«Conte, buonasera.» non
aveva bisogno d’essere annunciato l’uomo che entrò nel gabinetto di Cavour.
Aveva un paio di baffi lunghi e all’insù, un viso largo, dai tratti nanoidi e
due occhi piccoli, da faina. Il volto era incorniciato da una raggera di
capelli ondulati, tenuti assieme in una pettinatura rigida da chissà quale
pomata.
«Vostra Maestà, buonasera
a voi.»
«Facevate i conti?»
domandò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando
Tommaso di Savoia.