un bel disegno di TheGeef che rappresenta Al Swearengen, interpretato dall'attore Ian McShane nella fiction "Deadwood". Trovate l'originale qui. |
«Gesù Cristo, Percy! C’è
un uomo qui!» le urla di Caradog Pritcher svegliarono il vicesceriffo Percy
Withmore e gli fecero impugnare la pistola. Caradog era un duro minatore
gallese: non avrebbe mai urlato senza motivo, non a quel modo.
Percy scrutò la cella alla
luce della sua lampada ad olio. «Signor Pritcher?» chiamò, alzandosi.
Sentì qualcuno che
mugugnava qualcosa e si allarmò. «Signor Pritcher!» ripeté.
«Percy, brutto idiota!
Sbrigati e apri la cella.»
Il sospetto si fece strada
nel cervello del vice, mentre la lampada sgranocchiava le ombre.
«Signor Pritcher, non mi
prenda in giro.» azzardò Percy. «C’è un uomo, ti dico!» sbraitò l’altro. «Qui,
legato e imbavagliato, davanti a me.» aggiunse.
«E prima non c’era?» domandò
il vice. «Cristo Santo, Percy Withmore! Fammi uscire.» disse il gallese.
Ora, il vicesceriffo si
trovava davanti alla cella. La luce si posò sopra un uomo seduto su una sedia,
legato mani e piedi e imbavagliato. Un uomo vestito in maniera strana, con una
specie di tuta da minatore completamente arancione.
«Un negro.» disse Percy,
guardando il cranio lucido e scuro. L’uomo aveva gli occhi stretti per via
della luce e mugugnava qualcosa.
«Mi credi adesso?» domandò
Caradog. Percy deglutì e una goccia di sudore gli scivolò fra i peli della
barba. «Sarà meglio chiamare lo sceriffo.» disse.
«Ehi, bastardo! Non mi
lasciare con questo tizio! È apparso dal nulla, ti dico.» sbraitò il gallese.
Ma Percy Withmore si
precipitò fuori, con una mano sul cappello e la lampada in pugno gridando:
«Sceriffo!»
Seth Bullock arrivò in
ufficio dopo dieci minuti e una tazza di caffè fumante. Fece tintinnare gli
speroni, muovendosi adagio, sul marciapiede di legno.
Sfregò un fiammifero contro
la suola dello stivale e si accese una sigaretta. «Beh?»
«Percy, è meglio che sia
una cosa seria.» intervenne Mick Withmore, vicesceriffo e fratello di Percy, lì
con Bullock.
«Ehi!» Caradog chiamò
dalla cella e tese un foglio di carta allo sceriffo.
«Da’ qua.» Bullock strappò
il foglio dalle mani del gallese, scrollò la cenere e lesse:
«“Quest’uomo, Ethan
Farnum, è colpevole di omicidio di primo grado, con sentenza della corte
suprema del Sud Dakota del 15 giugno 2085. Firmato giudice Owen T. Pritcher”»
Bullock girò il foglio.
«C’è una specie di carta appiccicosa qua dietro.» disse, notando una striscia
trasparente agganciata al messaggio.
«Stava su con quello.»
spiegò Caradog, indicando il foglio.
«M-ma che vuol dire?»
balbettò Percy. «Se è uno scherzo, ti riempio di botte!» disse Mick al
fratello. «N-nessuno s-scherzo.» il Withmore più giovane mise le mani avanti e
scosse la testa.
Bullock valutò Caradog.
«Lei che mi dice?»
Il gallese fece spallucce.
«Riposavo sulla branda, quando paf! È
apparso dal nulla.» spiegò.
Lo sceriffo alzò un sopracciglio.
«2085.» disse.
«È una data?» domandò
Percy. Bullock fece un tiro e soffiò via il fumo. «Sembrerebbe.» disse.
«Ma è fra duecent’anni!»
sghignazzò Caradog.
Lo sceriffo diede il
foglio a Mick, si girò e andò a prendere le chiavi, tornò e aprì la cella. I
due Withmore spianarono le pistole.
«Via quei ferri, ragazzi!»
ordinò lo sceriffo. «S-sì signore.» balbettò e obbedì Percy. Mick mise via la
sua Colt senza fiatare.
Bullock diede uno sguardo
al gallese e gli fece un cenno. «Il bavaglio.» disse.
«Oh, sceriffo, non crederà
che io…»
«Il bavaglio, signor
Pritcher.» ripeté lo sceriffo. Caradog sospirò e si avvicinò al nero. «Quella
specie di roba lucida e liscia,» disse. «Ce l’ha anche sulla bocca, come
bavaglio.»
Lo sceriffo si avvicinò e
scostò il gallese, guardò negli occhi l’altro uomo e lo sentì mugugnare. Sfiorò
coi polpastrelli l’estremità del “bavaglio” e toccò la pelle sudata dell’uomo.
Con un’unghia sporca, agganciò un piccolo lembo della striscia e tirò.
«Ahi!» un urlo. L’uomo
aveva la bocca libera adesso. Il bavaglio gli pendeva dall’altra guancia,
ancora attaccato.
Bullock fece un tiro e
scrollò la cenere.
«Ethan Farnum, uh?» disse.
L’altro gli diede un’occhiata.
«E tu chi sei, Clint Eastwood?»
«Seth Bullock, sceriffo.»
spiegò Bullock. «Da quel che leggo, sei un omicida.» aggiunse.
Farnum sogghignò e scosse
la testa. «Quel fottuto giudice ce l’ha coi fratelli.» disse.
«Non usiamo quel tipo di
linguaggio qui, ragazzo.» disse lo sceriffo.
«Siete solo un branco di
bianchi ignoranti.» commentò Farnum. «Ehi! Attento a come parli.» sbraitò Mick,
sfiorando il calcio della pistola. A Bullock bastò alzare due dita. Mick tolse
la mano dall’arma.
«Quindi affermi che questo
giudice, Owen T. Pritcher, ti abbia condannato per omicidio.» disse lo
sceriffo.
«Già, e mi ha spedito nel
passato.» mormorò Farnum, aggiungendo “Cristo Santo”.
«Il Figlio di Dio lo
nominiamo solo in chiesa.» disse Bullock. «E non mi piace sulla bocca di un
assassino.» aggiunse.
Farnum non rispose.
«Sceriffo! Che facciamo?»
domandò Percy. «Già!» intervenne Caradog. Bullock, senza guardarli, disse: «Lei
se ne torna in cella, signor Pritcher, nell’altra
cella… quanto a Percy, sarà lui a eseguire il mio ordine.»
Nessuno fiatò.
Percy prelevò il gallese e
lo fece uscire di cella – sotto l’egida della pistola di Mick – per metterlo in
quella accanto e chiudere a chiave.
«Mick, chiama il signor EB.»
disse Bullock. Mick Withman annuì e infilò la porta.
immagine originale qui. |
Entrò nell’ufficio con un
sigaro in bocca, la bombetta e tanta rabbia in corpo. «Dico, Bullock! È
ammattito? Svegliarmi a quest’ora!»
«Lo vede quell’uomo?»
tagliò corto lo sceriffo. EB sbuffò, si avvicinò, strizzò gli occhi. «Quello
con la divisa arancione?»
«Proprio lui.»
«Sì, e allora?» domandò
EB. Lo sceriffo gli porse il foglio bianco.
EB glielo strappò di mano
e cominciò a leggere. La sua espressione divenne da rabbiosa a stupefatta e,
ancora, a impaurita. «Che roba è?»
«A lei cosa sembra?»
domandò Bullock, indicando il foglio. «Una stupidaggine, ecco che cosa!»
sbraitò EB, facendo ondeggiare il documento.
Entrò un uomo. Era alto,
magro, e indossava un gilet nero e occhiali a pince-nez. Aveva un taccuino e
una matita in pugno.
«Signori, buonasera.»
disse. Bullock si toccò la tesa del cappello.
«Ah! Signor Merrick,
giusto lei!» disse EB, battendosi le mani sui fianchi. «Signor Farnum.» disse
Merrick.
«Ho sentito un certo
trambusto e sono venuto a vedere.» aggiunse.
«C’è una specie di scherzo
in atto.» cominciò EB. «Lo sceriffo mi ha consegnato questo.» aggiunse,
mostrando il foglio.
«Potrebbe saltarci fuori
un buon articolo, Merrick.» intervenne Bullock.
Il giornalista prese il
foglio e lesse, alzò un sopracciglio e disse: «15 giugno 2085.»
«Duecento anni.» mormorò
Caradog, dal suo cantuccio.
«E Cristo! Liberatemi!»
sbraitò il Farnum di colore. Merrick scrisse sul taccuino.
«Non sarebbe meglio
avvertire il sindaco?» domandò.
«Il sindaco è già qui.»
disse una voce. Baffi spioventi, giacca, gilet e cravattino, Sol Star entrò e
salutò i presenti.
«Il signor Withman mi
parlava di un qualche guaio.» disse, indicando Mick, alle sue spalle.
EB si girò e fece una
smorfia. «Buonasera, signor sindaco.» disse. «Dovremmo dire “buongiorno”, dato
che è quasi l’alba.» replicò Star.
«Seth?» chiamò, guardando
Bullock. «Beh, Percy era di guardia, quando ha sentito il signor Pritcher
urlare. È andato a vedere e ha scoperto quest’uomo, legato e imbavagliato. Il
signor Pritcher dice che è apparso dal nulla.»
«Apparso dal nulla?» Star
alzò un sopracciglio e si avvicinò alle sbarre. Farnum era lì, a testa bassa,
in silenzio.
«Cazzo! Mi volete
liberare!» urlò.
«Calma, figliolo.»
«Calma! Come faccio a
stare calmo? Sono circondato da un branco di bifolchi usciti da una pellicola
western.» disse Farnum.
«Di che p-pellicola parla,
signor sindaco? N-non c’è nessuna pellicola.» intervenne Percy, guardandosi
attorno.
«Se non vi dispiace,»
disse Merrick. «Vorrei sentire la sua storia.»
«Ve l’ho già raccontata!»
sbraitò Farnum. «Non a me.» disse il giornalista, scrollando le spalle.
Il nero fece roteare gli
occhi. «Prima liberatemi.»
«Da dove arrivi,
figliolo?» domandò Star.
«Piantala di chiamarmi
“figliolo”.»
«Il signor Ethan Farnum è
colpevole di omicidio, secondo quanto scritto su questo documento.» spiegò
Bullock, porgendo il foglio al sindaco.
«“…corte suprema del Sud
Dakota del 15 giugno 2085. Firmato giudice Owen T. Pritcher”.» lesse Star.
«Il tuo giudice è un
ignorante, negro.» disse Mick. «Il Sud Dakota non esiste.»
«Forse esiste nel 2085.»
azzardò Caradog.
«Pritcher potrebbe aver
ragione.» disse Merrick.
«Signori!» disse Star.
«Deduco che stiamo prendendo in seria considerazione che quest’uomo venga dal
futuro.»
«Duecent’anni!» precisò il
gallese.
«Percy, non ce l’hai messo
tu, vero?» chiese Mick, guardando il fratello. «I-io n-no.» disse Percy.
«Il foglio dice che è un
assassino.» spiegò Bullock.
«Ethan Farnum, come il
nostro ex-sindaco.» commentò Merrick. «Cosa vuol dire?» sbraitò EB.
«Liberatemi!» disse il
nero.
«Che proponi di fare,
Seth?» domandò Star. Lo sceriffo alzò un sopracciglio. «Lo sleghiamo e gli
diamo da mangiare,» disse. «Poi, parlerà.»
Uova, pancetta e fagioli.
Farnum mangiava, aiutandosi con un cucchiaio, direttamente dalla padella. Seth
Bullock era in cella con lui, in piedi, e fumava. Si era slacciato il cinturone
e lo aveva lasciato sul tavolo.
«Ti mandano indietro.»
disse Farnum, ingoiando una striscia di pancetta e ruttando.
«Indietro qui?» domandò lo
sceriffo. L’altro fece spallucce. «Non so, quel che si sa è che ti mandano
indietro, ma quanto indietro… beh.»
Farnum scosse la testa e ingoiò un’altra cucchiaiata.
«Chi hai ucciso?» domandò
Bullock, facendo un tiro.
L’altro scrollò le spalle.
«Nessuno, amico. Mi vuoi fregare?»
Lo sceriffo alzò un
sopracciglio. Il nero si fermò, sbatté gli occhi. «Beh, ti dirò una cosa… tra i
fratelli circola una voce, certo, alcuni dicono che ti rimandino indietro alla
guerra del Trentanove.»
«Non c’è stata guerra nel
1839.» intervenne Mick, sicuro.
«Brutto idiota, parlo di
quella del 2039.» disse Farnum, guardando il vicesceriffo.
Merrick scrisse, Star alzò
le sopracciglia. «Una guerra…» mormorò Caradog.
«Ce ne sono state molte.»
intervenne Bullock, gettando la cicca.
«Tutte fatte dai bianchi.»
disse Farnum.
«Ma è ridicolo! Stiamo ad
ascoltare questo ragazzo e le sue scempiaggini.» s’intromise EB, agitando le
braccia.
Il nero alzò un
sopracciglio e indicò l’ex-sindaco col cucchiaio. «Perché quel tipo si scalda
tanto?»
«Beh,» sogghignò Bullock.
«Hai davanti a te il signor Ethan Bennet Farnum, direttore del Gran Central
Hotel di Deadwood.»
«Cristo! Un bianco che ha
il mio nome.» commentò il nero, prima di riprendere a mangiare.
«Parlavi di una voce.» lo
incalzò lo sceriffo.
«Sì, amico. Beh, dicono
che ti rimandino sul luogo del delitto, al posto dell’assassinato. Dicono che
il te del passato spari al te del futuro, capisci?» spiegò Farnum.
Bullock rispose con uno
sbuffo di sigaretta.
«Questo negro è ubriaco.»
intervenne EB.
«Ehi, dico! Piantala di
chiamarmi “negro”, okay?»
«Beh, come dovrei
chiamarti, ragazzo?»
«Negro non si usa più,»
disse Farnum. «Ora siamo “colorati”, “fratelli”, “gente che ce l’ha lungo”
eccetera.»
EB scosse la testa.
«Ma per te, io sono il
signor Farnum.» disse il nero, indicando EB col cucchiaio. «E, per inciso, il
Sud Dakota esiste.»
«A casa tua, forse. Qui
siamo nel territorio del Dakota.»
disse EB.
«Uhm!» Farnum masticò
adagio e si pulì la bocca col dorso della mano, si girò verso lo sceriffo e
sorrise. «Allora non potete uccidermi.» disse.
«E come sarebbe?» domandò
il sindaco Star.
«Beh, questo non è il Sud Dakota, non
giuridicamente.» spiegò Farnum. «E che ne sa un ragazzo, di legge?» sbottò EB.
«Due anni nel braccio
della morte, fratello, e impari molte cose. Mi sono laureato e ne so più di
tutti voi messi insieme… di legge.»
«Cristo! Due anni.»
commentò Caradog.
«P-perché d-due anni?»
chiese Percy. «Già, qui gli assassini li impicchiamo subito.» intervenne Mick.
«Ma io non sono un
assassino. Avete solo un foglio con qualche parola al computer e una firma che
potrebbe anche non essere quella del giudice Pritcher e, se anche fosse, il
giudice che ha firmato questo documento esercita su uno stato americano che non
nascerà che nel 1889.» spiegò Farnum.
«Quattro anni.» commentò
Caradog.
«Diverremo uno stato fra
quattro anni!» esclamò EB. Merrick accolse la cosa con un’alzata di
sopracciglio.
«Mi domando chi sarà il
governatore.» aggiunse.
Al Swearengen uscì dal suo
Gem Variety Theatre a mattino inoltrato e con un sigaro in bocca. Aveva i
capelli neri, lunghi fino alle spalle, e un pizzetto da diavolo. I suoi occhi
erano azzurri e crudeli.
Se ne stette un po’ sul
marciapiede del Gem, a osservare la città al lavoro.
EB era già fuori dal suo
hotel (il Grand Central e il Gem si trovavano uno di fronte all’altro) e stava
comprando una copia del Pioneer.
Al lo salutò con un cenno.
Un carro passò su Main Street, sollevando polvere.
«Ragazzo!» Al chiamò lo
strillone. «Volete il giornale, signor Swearengen?» disse questi.
Il padrone del Gem
sogghignò e cavò fuori un dollaro dalla tasca, lanciò la moneta in aria, con un
movimento del pollice, e la riafferrò, prima di darla al ragazzo.
«Grazie, signore. Ecco il
giornale.»
Al prese il Pioneer e
cominciò a leggere. I suoi uomini gli avevano parlato di un fatto successo alla
prigione, la notte precedente, e voleva saperne di più da Merrick. Non impiegò
molto a trovare un articolo che parlava di un certo “Ethan Farnum, venuto dal
futuro” ospite dello sceriffo.
Al sogghignò e diede uno
sguardo al suo dirimpettaio. «Ehi, EB. Quel negro è figlio tuo?» domandò, prima
di mettersi a ridere.
«Non tirare la corda,
Swearengen.» sbottò EB, infilando i pollici nella cintura.
«Che diavolo. Ti manca il
senso dell’umorismo! Vieni al Gem, t’offro un whisky.»
«Alle dieci di mattina?»
chiese EB, scuotendo la testa.
«Da quando fai parte delle
Sorelle della Temperanza, Farnum?»
Due uomini, alle spalle di
Al, scoppiarono a ridere.
«Di’ ai tuoi scagnozzi di
controllarsi.» ribatté EB. Al si girò e fulminò la coppia con lo sguardo, poi
tornò a osservare la strada, piegò il giornale e se lo mise in tasca.
C’era un viavai di gente
dalle Black Hills: Deadwood era piena.
Main e Liberty Street
tagliavano in quattro la città, da nord a sud la prima e da est a ovest la
seconda.
L’ufficio dello sceriffo e
il municipio si trovavano al margine orientale di Deadwood, all’angolo fra
Liberty e Whitewood Avenue, di fronte al barbiere.
Al s’incamminò adagio,
sfumacchiando, ed entrò dal barbiere.
«Signor Swearengen.» lo
salutò questi. «Barba e capelli, Ralph.» disse Al. Il barbiere lo fece
accomodare subito e gli mise un bavaglio pulito.
«Solito?» domandò. Al
annuì. Con la coda dell’occhio, vide Bullock fuori dal suo ufficio, intento a
fumare una sigaretta.
Lo salutò. Lo sceriffo si
toccò la tesa del cappello.
«Che mi dici del negro,
Ralph?» domandò Al, prima che l’altro lo insaponasse. «Beh, dicono sia arrivato
dal futuro. Che il diavolo mi porti!»
«Dal futuro, eh?» Al
ridacchiò. «Sissignore, signor Swearengen. L’ha visto Percy Withmore spuntare
dal nulla.»
«E dove?»
«Uh, nella cella del
vecchio Caradog Pritcher.» disse Ralph.
«C’era Pritcher? Quel
vecchio alza troppo il gomito.» commentò Al.
«Litiga spesso coi
Tinwater.» disse il barbiere, intingendo il pennello nel sapone. «Sam e Kate.
Bravi ragazzi.» dichiarò Al. «Eh, di’… questo negro si può vedere?» aggiunse.
«Beh, signor Swearengen,
lo sceriffo lo tiene ben nascosto.»
Il padrone del Gem accolse
quella frase con un sorriso e si lasciò insaponare.
Quando raggiunse l’ufficio
dello sceriffo, Al trovò due persone oltre a Bullock: una era il reverendo
Horace Smith e l’altra, la maestra di scuola, signorina Marian Hargrove.
«Miss Hargrove,
reverendo.» salutò.
«Buongiorno, signor
Swearengen.» disse Smith. Marian, invece, si limitò a squadrare Al e a
salutarlo con un rapido cenno del capo.
«Mi aspettavo di vederla,
Al.» intervenne Bullock.
«Sceriffo.» salutò il
padrone del Gem. «Si dice che lei ospiti il figlio del nostro ex-sindaco.»
Bullock sorrise.
«Quell’uomo è un segno di
Dio, Swearengen!» sbottò Marian Hargrove, indicando una delle tre celle.
«Un assassino?» Al fece un
ghigno.
«Le voci corrono.» disse
lo sceriffo. Al fece spallucce. «Merrick fa il suo lavoro, no?»
«Egli è venuto qui dal
futuro e non può essere che opera di Dio, Swearengen.» disse Marian.
«O, piuttosto, della
scienza, non crede, miss?» Al infilò il pollice della sinistra nella cintura.
«Lei che ne dice, vecchio
gallese?» domandò, guardando una delle celle.
Caradog rispose in un tono
gracchiante. «Dico che questo ragazzo mangia molto meglio di me. Ieri lo
sceriffo gli ha dato uova, pancetta e fagioli.»
«La voce del contribuente!»
Al allargò le braccia e sorrise. «E tu che dici, negro?» domandò a Farnum.
«Che sono stufo di
sentirmi chiamare così.» rispose questi.
«Perché, come li chiamano
i negri nel 2085? Forse hanno preso il posto dei bianchi? C’è stata una
rivoluzione?» Al accompagnò ogni frase con un movimento del sigaro e un
sorriso.
«Ah, è tempo perso con
voi.» disse Farnum. «Dov’è il mio avvocato?»
«Il signore ha chiesto un
avvocato?» domandò Al.
«Così pare.» rispose
Bullock.
«Dovete liberarmi.»
insistette il nero. «E su che basi, signor Farnum?» domandò Al.
«È stato condannato dalla
corte suprema del Sud Dakota e, siccome non siamo in Sud Dakota, anzi, il Sud
Dakota non esiste, dovremmo liberarlo e considerare nulla la condanna.» spiegò
Bullock.
Il padrone del Gem aprì le
braccia e sorrise. «Più facile di così.»
L’avvocato in questione
era Ken Monahan, di Deadwood. Il suo ufficio si trovava accanto a quello dello
sceriffo e di fronte alla macelleria di Liberty Street.
Ethan Farnum ci venne
portato a mezzogiorno, sotto scorta dei Withmore.
Monahan era un irlandese
giovane, magro, dall’incarnato chiaro, i capelli folti, biondicci e un paio di
favoriti.
Salutò Farnum, con estrema
cortesia, allungando la mano, chinandosi in avanti e chiamandolo “signore”.
Si fece ripetere la storia
della comparsa dell’uomo da Percy, quindi chiamò Caradog Pritcher, che gli fu
portato, da Mick, in catene. Ascoltò Pritcher, annuì e si grattò il mento.
Per ultimi, esaminò gli
oggetti trovati indosso al prigioniero, ossia il “bavaglio”, la pellicola
collosa sul retro del foglio, il foglio stesso e le strane manette con cui
Farnum era legato.
«Che materiale è questo,
signor Farnum?» domandò.
«Plastica.» disse il nero.
«E quello è nastro adesivo.»
«Pla-sti-ca.» scandì
Monahan, prendendo nota su un foglio.
«E na-stro a-de-si-vo.»
disse Farnum, ridacchiando. L’avvocato annuì e, serio, scrisse.
«Dunque, lei dice che la
condanna non sussiste per via della questione del Sud Dakota…»
«Ho una laurea in legge.
So quel che dico.» fece il nero.
«Sa anche, però, che
l’omicidio di primo grado è il più grave del nostro ordinamento.» ribatté
Monahan.
«Ma non ho commesso alcun
omicidio, né di primo, né di secondo grado, né volontario, né involontario.»
«Certo, signor Farnum.»
«Ehi, non mi prenda per il
culo, avvocato.» sbottò il nero, sporgendosi sul tavolo. «State detenendo un
uomo innocente contro la sua volontà. Potrei farvi causa… e vincerla.»
aggiunse.
Monahan rimase in
silenzio, giocherellò con la matita e annuì.
Percy dovette rimanere
nell’ufficio di Monahan, mentre Mick tornò dallo sceriffo, portandosi dietro
Caradog.
L’avvocato, rimasto solo
con Farnum, indagò sul mondo del futuro.
«… le automobili… carri
che camminano senza cavalli.» mormorò, togliendosi gli occhiali e pinzandosi la
radice del naso.
«Già, le automobili, gli
aerei, la tivù via cavo, i telefoni cellulari… e il Sud Dakota.» il nero si
appoggiò allo schienale e sorrise.
«Ascolti, voglio dirle una
cosa: vi conviene lasciarmi libero e basta. Se fate uscire la notizia che un
uomo è arrivato dal futuro, e qualcuno vi crede, avrete una visita del governo
e il governo interferirà coi vostri affari. Se, invece, manteneste tutto a
livello locale, io potrei tornarvi utile. Ci pensi, signor Monahan.»
«Utile?» domandò
l’avvocato, sgranando gli occhi.
Farnum annuì e disse:
«Plastica, nastro adesivo, automobili…»
Bussarono. «Avanti!» disse
Monahan. Sulla porta c’era Bullock, con una sigaretta in bocca e un fiammifero
in mano.
«Sceriffo.» lo salutò
Farnum. Bullock non rispose, sfregò il cerino sotto lo stivale, mise le mani a
coppa e accese la sigaretta. Buttò il cerino.
«Oh, sceriffo,
buongiorno.» disse l’avvocato.
«Il sole è già sceso,
signor Monahan.» disse Bullock.
«Davvero bizzarro! Non mi
sono accorto. Ora che ci penso, il mio stomaco brontola e anche il suo,
immagino, signor Farnum.»
«Altroché.» disse il nero.
«Le farò portare qualcosa
dal ristorante.» disse Bullock.
«Non è necessario.» disse
Monahan. «Uhm, sceriffo, si sieda, la prego.» aggiunse.
Rimasero a parlare, al
lume della lampada, mentre fuori la città s’addormentava piano piano. Passarono
carri, si udì il rumore della pompa dell’acqua, delle porte dei saloon e di
cavalieri solitari.
Fu solo al preludio
dell’alba che Ethan Farnum uscì dall’ufficio dell’avvocato Monahan come uomo
libero.
E trovò ad accoglierlo Al
Swearengen.
«Allora, figliolo, come ci
si sente?»
«Chiamami ancora “figliolo”
e ti spacco quel muso da bianco.» disse Farnum. Al ghignò, fece un tiro dal
sigaro, guardò Monahan e Bullock. «Avvocato. Sceriffo.» disse.
«Sei libero, Farnum, ma ti
terrò d’occhio.» disse Bullock, infilando i pollici nel cinturone.
«Libero e senza un soldo.»
commentò Al. «Ti servirà un lavoro.»
«Per te sono il signor
Farnum.» il nero piantò gli occhi in quelli del padrone del Gem e ce li lasciò
finché Al non sorrise e disse: «Ma certo, signor Farnum. Beh, posso offrirle un
impiego nel mio teatro, se le interessa.»
Il nero fece spallucce.
«Non posso tornare a casa, quindi… perché no.» disse.
Al rise forte, la mano del
sigaro appoggiata alla pancia.
«Uomo saggio, Farnum.»
disse.
Il mattino vide lo
sceriffo Bullock camminare per Chinatown ed entrare nella sala da bagno del
signor Wong.
La zona cinese era pulita,
rispetto a quella americana, e sul retro degli edifici non c’era il solito
cumulo di bottiglie, sporcizia e mobili rotti.
Bullock respirò un vago
aroma d’oppio ed entrò nei bagni, salutò Wong e gli diede il cappello. «Del
caffè.» disse. Il signor Wong annuì con un breve inchino, ma aspettò che lo
sceriffo gli cacciasse in mano un dollaro.
Dieci minuti più tardi,
Bullock sorseggiava il suo caffè, mentre era immerso nell’acqua calda della
vasca.
Un momento dopo, sentì del
trambusto provenire da fuori. Wong parlava con qualcuno, ora in cinese, ora in
americano, ma non si capiva bene cosa dicesse.
Bullock vide entrare
Farnum, vestito di tutto punto e con un cappello nuovo in mano. Aveva anche una
grossa cipolla d’argento nel taschino.
«Quasi non la
riconoscevo.» disse lo sceriffo. Il nero si pinzò i lembi della giacca e fece
un giro su se stesso. Fu allora che Bullock notò il cinturone e la pistola.
«Vedo che porta un bel
ferro.»
«Un anticipo sullo
stipendio.» disse Farnum.
«Già, ora lavora per il
signor Swearengen. Come può cambiare la fortuna di un uomo, ieri condannato a
morte e oggi onesto cittadino americano.»
«Ben detto, sceriffo.»
Farnum sorrise e cominciò a spogliarsi, diede i propri abiti all’impiegato del
signor Wong ed entrò nella vasca accanto.
Da fuori giungeva ancora
il trambusto.
«Sono miei ammiratori.» spiegò
Farnum.
«Disturbano la quiete
pubblica.» fece notare lo sceriffo.
«Sapesse quanto disturbano
me! È da un’ora che s’accalcano davanti al Gem per vedermi.»
«Per vederla?»
«Già. Sono l’uomo del
futuro, ricorda, sceriffo? Mi fanno domande, mi chiedono come sarà il domani.
Una domanda, un dollaro, niente sconti.»
Bullock sogghignò. «E lei
quanto si becca?»
«Il cinquanta percento.»
rispose l’altro.
«Beh, il signor Swearengen
è un dritto, devo riconoscerglielo.» commentò lo sceriffo.
«Non sono stupido,
Bullock. So che quel tipo mi tiene come una gallina dalle uova d’oro, ma so
abbastanza della storia del paese per capire i miei spazi di manovra. Nel
diciannovesimo secolo mi considerano un “negro”, mentre a casa mia, se qualcuno
s’azzardasse a dire quella parola, finirebbe sotto processo, ma nel 2085 mi
hanno accusato d’omicidio, perciò, se torno, mi ammazzano.»
«Lei può tornare, signor Farnum?» domandò lo
sceriffo.
«Mi hanno offerto un
biglietto di sola andata, ma troverò il modo.»
«Sarebbe una bella notizia
se si venisse a sapere.»
«Di che? Dei viaggi nel
tempo?» domandò Farnum. «Sono roba del governo. Noi cittadini non ne sappiamo
nulla.»
«Lo sa che Marian Hargrove
vuol tornare al tempo di Gesù?» fece Bullock.
«Chi? La donna di fede? E come?»
«Non ne ho idea. Del
caffè?»
«Già, ne ho bisogno.»
disse Farnum, con un sorriso… che Bullock ricambiò.
«Lei è di queste parti?»
chiese lo sceriffo.
«Nato e cresciuto.»
dichiarò Farnum.
Bullock meditò sulla
notizia annuendo. «E com’è Deadwood nel 2085?»
Il nero ridacchiò. «Molto
più grande.» disse, allargando le braccia e schizzando acqua per terra.
«Beh, sono contento che
non sia sparita.»
«Affatto! Siete piuttosto
famosi, per via dell’assassinio di Hickock.»
«Mi spiace che un posto
venga ricordato per un delitto.»
«Le cose vanno così,
sceriffo. Che ci vuol fare?»
«Già.» Bullock finì il suo
caffè.
«E lei da dove viene?»
domandò il nero.
«Ontario.»
«È canadese? Non lo
sapevo.»
«Mio padre era un
ufficiale britannico in pensione e mia madre veniva dalla Scozia.» spiegò
Bullock. «E ora, quanto le devo per le sue risposte sul futuro?»
«Niente, sceriffo.
Niente.» Farnum rise e diede una manata sull’acqua. «Ma potrebbe insegnarmi a
usare la pistola.» aggiunse.
«Non ne è capace?»
«Non sono un assassino,
ricorda?» disse il nero.
«Un uomo non dovrebbe
portare la pistola, se non sa usarla.» Bullock si alzò di colpo, facendo
strabordare l’acqua, si frizionò con l’asciugamano e cominciò a vestirsi.
Farnum recuperò la Colt
dal proprio cinturone e ne guardò la canna, lunga e lucida. Sentì uno scatto
metallico e vide Bullock con in pugno la sua .45.
«Cristo!» il nero urlò,
facendo un salto e schizzando acqua.
Lo sceriffo lo guardò,
freddo, dalla canna della Colt. «Non lo faccia più, Farnum. Non giochi con quel
ferro.» disse.
«E lei beva meno caffè…»
borbottò il nero.
immagine originale qui. |
«Quell’idiota di Bullock è
saltato su con la pistola in pugno!» Farnum scosse la testa e fece un tiro di
sigaro, sputò il fumo, guardò il sigaro e disse: «Mica male.»
«Solo il meglio per gli
amici.» disse Al.
«Ah, stanno così le cose?»
«Mi ascolti, mister.»
disse Al. «Questa città è in espansione. Le miniere sulle Black Hills lavorano
a pieno ritmo. Fra qualche anno avremo la ferrovia e, come dice lei, diverremo
uno stato… il Sud Dakota. Ci sono molte opportunità, per un uomo che sappia
coglierle.»
«Cosa mi consiglia di
fare?» domandò Farnum.
«Beh, non dirò che lei non
sia una miniera d’oro. Faccia due conti: questa città ha circa quattromila
abitanti. Se ciascuno di essi le fa una domanda e lei guadagna mezzo dollaro a
domanda, beh avrà duemila dollari entro poco tempo. Vede, oggi è venuta un
sacco di gente e domani sarà lo stesso e così dopodomani. Lei farà duemila
dollari, ma potrebbe farne di più, in un paio di settimane, tre al massimo. Ci
potrebbe fare tre cose: investirli in un ranch, una miniera o una lavanderia.»
«Ehi, dov’è la fregatura?»
sbottò Farnum.
«Voglio essere chiaro con
lei. Se avvia un ranch deve metterci i soldi, ma le servirà uno di noi che
faccia da proprietario.»
«Cioè un bianco?»
«Proprio così. La stessa
cosa per una concessione mineraria, anche se, con le amicizie giuste, potrebbe
esserne socio.»
«E la lavanderia?»
«Ehi, sono tutte in mano
ai cinesi, perciò, si faccia avanti.» Al aprì le braccia e sorrise.
Farnum alzò un
sopracciglio e si mise a mordicchiare il sigaro.
«Quanto guadagna una di
queste lavanderie?» chiese.
«Dieci, quindici dollari
al giorno.» rispose Al.
«E per le spese di avvio?»
«Signor Farnum, una
baracca si tira su senza problemi. L’acqua del torrente e il legno della
foresta sono gratis.» disse Al.
Il nero annuì e s’appoggiò
allo schienale della sedia, con un ghigno sulla faccia.
«Swearengen…»
«Mi chiami “Al”.»
«Okay, Al, il 2085 è pieno
di gente come lei, il che vuol dire… non darmela a bere, amico. Il ranch, la
miniera, la lavanderia. Cosa ci guadagna lei?»
«Perspicace per un negro,
signor Farnum.» sghignazzò Al. «Mettiamola così, è ora che qualcuno rompa il
monopolio cinese delle lavanderie e quel qualcuno può essere lei.»
«E se poi questo qualcuno
le è anche amico…»
«L’ho detto, lei è
perspicace.»
«Per essere un negro. Sa,
Al, ho visto una montagna di pellicole sulla schiavitù e sulla segregazione
razziale, ma non mi ci sono mai trovato in mezzo, non finché quel bastardo di
giudice Pritcher mi ha condannato. Nel mio paese lei, Al, solo per aver detto
“negro” finirebbe in un mare di guai.»
«Oh, ma qui non siamo nel
suo paese, signor Farnum, qui è lei a doversi adattare a noi.» Al aprì le
braccia e sorrise.
«E lei, però, vuole avere
un amico nelle lavanderie.»
«Giusto.» disse Al.
«Ho fatto un discorso
all’avvocato Monahan,» disse Farnum. «gli ho detto che, essendo un tizio del
futuro, sarebbe meglio far rimanere la mia presenza un fatto locale, per
evitare le interferenze del governo o dei servizi segreti, non è d’accordo?»
«Dove vuole arrivare?» Al
guardò il nero in tralice.
«Oh, a niente. Lavanderia,
amico, zero cinesi, zero governo e niente parola “negro” o trattamenti
diversi.»
«Capisco. Lo trovo
ragionevole.»
«E voglio poter comprare
la mia terra.» aggiunse Farnum.
«Credo si possa fare anche
questo, ma le servirà un amico… come me.»
«Già…» il nero annuì,
mordicchiando il sigaro.
Quella sera, Ethan Farnum
uscì a passeggiare. Un uomo che non conosceva lo salutò. Passò un carro e
alcuni cowboy si toccarono la tesa del cappello nella sua direzione.
Farnum sorrise e inclinò
la bombetta nuova di lato, mise in bocca il sigaro e controllò la cipolla
d’argento. Le 21.44.
Una pianola automatica
suonava al Liberty saloon, mentre alcuni ubriachi oziavano sul portico del No.
1.
Farnum sentì il cigolio di
una pompa. Più giù su Main Street, un uomo raccoglieva l’acqua in un secchio. Il
nero lo guardò e lo salutò.
«’sera, monsieur.» disse
quello. Farnum si avvicinò, facendo tintinnare gli speroni nuovi.
L’uomo era di colore.
Vestiva con una camicia sporca e calzoni larghi tenuti su da un paio di
bretelle.
«Buonasera a lei.» disse
Farnum.
Il nero sorrise. «L’ho
vista con monsieur Swearengen.»
«Allora sai chi sono.»
«Certo, signore, lei è
l’uomo del Sud Dakota.»
«E lei è?»
«Anton Dupree. Sono un
fabbro e lavoro laggiù.» indicò un edificio di legno.
«Ferri i cavalli?»
«Sissignore.» disse
Dupree. «E riparo pistole e fucili.»
«Sai sparare?» chiese
Farnum.
«Sissignore.» Dupree chinò
il capo. «Ha una bella pistola, signor Farnum.»
«Già!» l’uomo del futuro
snudò l’arma e la fece girare con un dito sul ponticello del grilletto.
«Una Colt a canna lunga
dal calcio in avorio. L’ho venduta io a monsieur Swearengen, signore.»
«Sei francese?»
«Vengo dalla Louisiana. Un
bel posto, se vuol saperlo.» disse Dupree.
«Signor Farnum!» qualcuno
chiamò dal Gem. Al era apparso sulla porta e sfumacchiava un sigaro.
Si avvicinò, sorridente.
«Vedo che fa conoscenza coi cittadini. Bene!» disse.
Dupree abbozzò un sorriso
e abbassò gli occhi. Al non lo degnò che di uno sguardo, prima di rivolgersi
totalmente a Farnum.
«Ho già notato la sua
straordinaria costituzione fisica, signore.» disse, squadrandolo.
«Giocavo a football,
all’università.» spiegò Farnum.
«Football? Non è quello
sport che praticano in Inghilterra?»
«Diamine! Palla ovale,
Super Bowl?»
«Sono cose che non mi
dicono niente. Ma ascolti, Farnum, pratichiamo anche noi degli “sport”, qui al
Gem. Sa tirare di pugni?»
«Fare a pugni? Ho fatto parecchio
a pugni da ragazzo.»
«Beh, potrebbe vincere il
premio di stasera, cento bei verdoni, se batte Mountain Ox.» disse Al.
«Che, a giudicare dal
nome, sarà un bue di due metri e sarà il favorito. Se io vinco, mi becco quei
miseri cento dollari, mentre lei, Al, dandomi vincente cinque a uno, sbancherà
quegli stupidi polli, dico bene?»
«Ha molte fiducia nelle
sue capacità, signor Farnum.» Al fece un sorriso da squalo.
Dupree si tolse il
cappello e ne strinse la tesa con entrambe le mani. «Non vada, monsieur! Quel
Mountain Ox sa davvero tirar pugni.» disse.
Farnum sorrise e si tolse
la giacca. «Vedremo.»
Mountain Ox era un
irlandese di due metri con una bombetta, troppo piccola per la sua testa, e un
paio di favoriti color rame. Sudava e puzzava come una botte di whisky.
Farnum si presentò nella
sala del Gem a petto nudo e senza stivali. Al loro posto, calzava un paio di
strane scarpe, bianche e leggere. Ox era a piedi nudi.
Farnum entrò nel cerchio
di minatori, cittadini e puttane, sorridendo e flettendo i muscoli. Fece
scrocchiare il pugno sinistro e avvertì, per un attimo, il dolore all’indice,
vecchio incidente di football. Pensò a com’era ridotta la mano dopo quella
maledetta partita, pensò alla corsa in ospedale, alle tre operazioni e
all’allenatore che gli aveva stroncato la carriera.
Si pompò di rabbia e
squadrò Mountain Ox, che gli disse: «Ti darò una bella battuta, negro!»
Farnum fece un paio di
saltelli sul posto. Non dormiva da due notti, ma si sentiva pieno di forze. Non
capita tutti i giorni che una sentenza di morte non venga eseguita.
Attorno a lui, la gente
scommetteva e urlava. Al Swearengen era lì in mezzo, con un bicchiere di whisky
e un sigaro in mano. «Signore e signori, gentiluomini e puttane! Ecco a voi
Ethan Farnum, l’uomo del futuro, che sfida il campione di pugilato locale,
mister Mountain Ox.»
Qualcuno scaricò la
pistola in aria, eccitando ulteriormente gli animi. Qualcun altro disse:
«Forza, negro!»
E Mountain Ox colpì.
Farnum non si accorse quasi del movimento, ma sentì una mazzata tremenda al
viso, che lo mandò a terra. Quel bestione era rapido, per la sua stazza.
Tuttavia, Farnum aveva
giocato a football ed era avvezzo a botte del genere. Quando un difensore di
centocinquanta chili ti butta giù, e riesci a rialzarti, puoi sopportare anche
il pugno di Mountain Ox.
Così Farnum, di nuovo in
piedi, aspettò che quello si avvicinasse e schivò il suo uno-due. Ox gli rifilò
una mazzata al fianco, che gli tolse il fiato e Farnum dovette indietreggiare.
«Avanti, negro!» urlò
qualcuno.
Ox avanzò, con un ghigno
negli occhi porcini. Farnum fece una finta, ma l’altro non si lasciò ingannare
e sferrò un destro. Farnum schivò, uscì a sinistra e gli rifilò un gancio. Ox
ne fu sorpreso: era la prima volta che veniva colpito.
Il nero indietreggiò e
riprese fiato. L’altro scattò come un serpente, sganciando un destro. Farnum se
lo lasciò passare sopra la spalla, ma Ox lo sgambettò da dietro. Farnum piombò
a terra. Si rimise in piedi. Ox gli sferrò un sinistro con tutto il suo peso.
Quella massa di carne piombò sullo stomaco del nero, mozzandogli il fiato e
schiantandolo a terra.
I piedi di Farnum erano
già in alto, quando l’irlandese gli si gettò addosso, con la chiara intenzione
di strangolarlo. Con le suole ben piantate sul grasso di Ox, Farnum spinse e
mandò il bestione a volare contro gli spettatori. Ci furono urla e uno
schianto. Quando Farnum si alzò, vide Ox tirarsi su da un tavolo distrutto.
L’irlandese sanguinava da un brutto taglio alla fronte e zoppicava con la gamba
destra.
Si avventò su Farnum più
lento di prima e sferrò un sinistro. Il nero deviò il colpo con l’avambraccio
destro e gli rifilò un gancio all’orecchio. Ox indietreggiò e Farnum lo
martellò con un destro al fegato. Ma quando fece partire il sinistro, sentì una
fitta al dito. Urlò. Ox gli diede una
spallata e lo spinse contro un tavolo. Farnum riprese fiato e schivò un
sinistro, rovesciò il tavolo e si spostò indietro. L’irlandese fece volare via
il mobile e caricò il nero a testa bassa. Farnum agguantò Ox per la cintura e
lo scagliò via con una mossa di aikido.
Il bestione colpì uno
degli spettatori e rovinò a terra. Farnum prese due ampie boccate d’aria e
avanzò, mentre Ox si rialzava.
«Forza, negro! Finiscilo!»
ruggì la folla.
L’irlandese aveva la bocca
insanguinata, ma era combattivo. S’avventò su Farnum con un urlo. Il nero lo
fermò con una mazzata al fegato e un gancio allo zigomo. La faccia di Ox
esplose di sangue. Farnum sganciò un montante.
E il bestione finì al tappeto.
Ethan Farnum rimase lì,
trasognato, e sghignazzò. Più tardi avrebbe sentito male ovunque, ma adesso era
felice, felice e forte.
Attorno a lui, la folla
esplose in urla di gioia. Si udirono alcuni colpi di pistola. Qualcuno fracassò
una bottiglia.
Al sorrideva e contava i
soldi. Strizzò l’occhio a Farnum e gli batté una mano sulla spalla.
«Offro da bere a tutti!»
disse.
Pesto e malconcio, Farnum
s’incamminò verso il Gran Central Hotel, lasciando Swearengen alle sue glorie e
ai suoi soldi. Cento dollari gli andavano bene, per ora.
«Signor Farnum, Ethan!» lo
chiamò Al. Il nero si girò e vide l’altro appoggiato al portico del Gem, con un
sigaro in mano. Sorrideva.
«L’ha proprio steso, quel
bue!» disse.
«Gliel’ho detto che
giocavo a football.» replicò Farnum. «Beh, l’ho vista muoversi e… quelle strane
calzature sono favolose.» disse Al, indicando i piedi del nero col sigaro.
«Sono scarpe da
ginnastica.» spiegò Farnum. «Un’altra invenzione del 2085?» Al aprì le braccia
e sorrise.
«Esistono da molto prima.»
«Sarebbe interessante
metterci degli speroni. Le faccio preparare un letto?»
«Oh, andrò in albergo.»
disse Farnum, indicando l’altra parte della strada.
«Dal vecchio EB?» Al
sghignazzò. «Le farò mandare su qualche donna.»
«Così mi becco sifilide e
aids in un colpo.» disse Farnum. «Lasci stare, Al.»
«E per quanto riguarda la
nostra chiacchierata?»
«Mi lasci dormire e ne
riparliamo.»
«Non ci dorma troppo su,
però, signor Farnum.» ora nella voce di Al c’era qualcosa, una leggera nota più
fredda.
Il nero salutò alzando tre
dita e attraversò la strada.
Il Grand Central Hotel
aveva l’aria da saloon che s’è dato una ripulita, ma andava bene. Dopo due
notti insonni e una condanna a morte, qualunque cosa va bene.
Farnum andò al bancone,
dove il portiere gli spiegò che doveva registrarsi scrivendo il nome o
apponendo una croce.
«So scrivere meglio di
te.»
«Quanto desidera rimanere,
mister?»
«Pago una settimana, per
il momento.»
«Fanno diciassette
dollari, pagamento anticipato.»
«Qui c’è scritto 12,50.»
Farnum indicò un prezziario inchiodato al muro.
L’impiegato sorrise. «Beh,
signore, fanno diciassette dollari.»
Farnum scosse la testa e
mormorò: «Idioti razzisti. Pensi che non abbia diciassette pidocchiosi dollari?
Ce li ho, ma te ne do dodici e mi sconto cinquanta cent.» poi, tirò fuori la
pistola e la puntò addosso all’uomo.
«Devi armare il cane.»
disse una voce.
Farnum si girò e vide
Bullock, fermo sulla porta.
«Cristo, sceriffo! Non la
potete piantare d’essere razzisti per una notte?»
Bullock rise, poi fulminò
l’impiegato con lo sguardo. «Dai il resto per dodici dollari al signore. Io
metterò i cinquanta cent.»
«Mister Farnum non sarà
contento, sceriffo.» disse l’uomo.
«Digli di venire a
parlarmi.» fece Bullock.
Nella camera c’erano: un
letto, un catino, due asciugamani, un pezzo di sapone, una sedia, un cassone e
perfino un armadio. Una porta dava accesso alla balconata, da dove si aveva una
splendida vista sui pini e sul monte Moriah, dalla cima incappucciata di neve.
Farnum si era appena tolto
la bombetta, quando bussarono. «Chi è?»
«Il portiere, signor
Farnum.»
Il nero lo fece entrare.
Il portiere aveva in mano i suoi stivali e una scatola di sigari e cerini.
«Glieli manda il signor Swearengen.» disse.
«Mettili sul letto e
sparisci.»
«Sissignore.» quello chinò
il capo, obbedì e si chiuse la porta alle spalle.
Prese la sedia e la portò
sul balcone, dove rimase a fumare, guardando la luna.
fine
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