"ma quante ne so!" |
Torino, 11 febbraio 1859.
Camillo Benso, conte di
Cavour, sedeva nel suo gabinetto, meditando ad alta voce sui libri contabili
del Regno.
«Servono soldi! Con la
guerra abbiamo accumulato un debito di un miliardo di lire, e gran parte di
questo denaro bisognerà restituirlo alla Gran Bretagna.»
Quando bussarono alla
porta, il Conte disse: «Entrate.» si tolse gli occhiali a pince-nez e passò due
dita sulle palpebre stanche.
«Conte, buonasera.» non
aveva bisogno d’essere annunciato l’uomo che entrò nel gabinetto di Cavour.
Aveva un paio di baffi lunghi e all’insù, un viso largo, dai tratti nanoidi e
due occhi piccoli, da faina. Il volto era incorniciato da una raggera di
capelli ondulati, tenuti assieme in una pettinatura rigida da chissà quale
pomata.
«Vostra Maestà, buonasera
a voi.»
«Facevate i conti?»
domandò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando
Tommaso di Savoia.
Cavour si concesse un
attimo, prima di rispondere. Era quasi sicuro che quell’uomo, tracagnotto e
sanguigno, non fosse figlio del re Carlo Alberto, magro e alto due metri, ma di
un popolano, un certo Tanaca, un macellaio toscano a cui era scomparso il primogenito
e che, in seguito, era divenuto molto, molto ricco. Il Conte rammentò
dell’incendio nel palazzo fiorentino, dove la famiglia reale risiedeva, e della
presunta morte del figlio di Carlo Alberto. Gli sarebbe servito più tempo per
provare quella faccenda, ma le sue spie erano al lavoro.
«Sì, Maestà. E sarò
franco: nelle casse c’è un buco grande quanto il battistero di Firenze.»
«E bisogna tapparlo,
allora!» il Re posò due dita sul tavolo del Conte. Cavour sapeva dell’odio
viscerale di quell’ometto per la matematica, l’algebra e qualsiasi cosa avesse
a che fare coi libri. Toccava a lui perdere gli occhi sulle cifre e districarsi
nella delicata arte della diplomazia. Lui
aveva spinto la diffusione di quel romanzo, I
promessi sposi, come mezzo di propaganda anti-austriaca alla vigilia della
guerra del Quarantotto. S’era anche preso la briga di leggerlo e l’aveva
giudicato efficace, ma terribilmente stupido. Nei circoli e nei club, ad ogni
modo, avrebbero compreso il parallelismo fra gli spagnoli della storia e gli
austriaci attuali.
Non ho dato io all’Austria
settantacinquemila franchi per rifonderle i danni della guerra!, avrebbe voluto
dire Cavour al Re.
«Quella stupidità della
guerra con l’Austria che fece mio padre!» esclamò Vittorio Emanuele. «E io che,
per appianare i dissidi, dovetti sborsare un mucchio soldi. Ora non venitemi ad
accusare di nulla. Dovremmo far guerre su guerre, che diavolo! E invece ce ne
stiamo qui, sui libri!»
«Vostra Maestà…» Cavour si alzò e andò alla parete delle mappe. Erano
preziose e redatte con grande cura. «Il Regno delle Due Sicilie è lo stato dalle
finanze più solide di tutta l’Europa. Il loro debito pubblico è…»
«Non parlatemi di numeri!»
sbottò il Sovrano, alzando due dita. «Ditemi se si può fare e basta.»
Cavour ammiccò e fece un
sospiro. «Stasera, Vostra Maestà, incontrerò chi potrebbe permetterci un passo
del genere.»
«Chi?»
«Il conte di Clarendon,
eminente membro del partito dei Whig.»
«Clarendon! È un voltagabbana!
Me lo avete detto voi stesso!» protestò il Re.
«Si tratta dell’unica
strada percorribile, Vostra Maestà. Dobbiamo già alla Gran Bretagna parecchi
milioni, perciò…»
«Certo, con l’appoggio
militare inglese, la questione si pone sotto una luce diversa.» il Re si tirò i
baffi e tamburellò con le dita sul tavolo di Cavour. «La guerra in Crimea, che
voi m’avete suggerito di fare, ci ha dissanguati, conte.» aggiunse.
«Era l’unica strada per
evitare il tracollo, Maestà.» ribatté Cavour. «Al proposito di cui si parlava
prima, vorrei presentarvi un decreto, che già ho redatto, per l’istituzione di
un corpo militare.» il conte tornò al tavolo e prese un foglio dal cassetto,
quindi lo porse al Re affinché leggesse.
«I Cacciatori delle Alpi?
E al comando, Garibaldi, Cosenz e Medici?»
Cavour si limitò ad
annuire.
«Con questi straccioni
pensiamo di prenderci la Lombardia?» domandò Vittorio Emanuele.
«Dobbiamo farlo, per
forza. Non riusciremo a iniziare alcuna ostilità contro il Borbone se non ci assicuriamo
il Nord.» spiegò il Conte.
«Con cosa li armeremo?»
sghignazzò il Re, tamburellando sul decreto.
«Di propaganda, in maniera
principale, e di certi nuovi fucili Colt.» spiegò Cavour. «Garibaldi sta
organizzando una raccolta di fondi tra i nostri sostenitori.» aggiunse.
«Conte, io sono un uomo
d’azione, ma ho già speso troppo a ricucire i rapporti con Vienna e non intendo
fare fiasco un’altra volta.»
«Vostra Maestà, vedete, il
Borbone ha perso la maggior parte degli appoggi in Europa. La sua marina, è
vero, ammonta quasi alle diecimila unità, ma le sue mire interferiscono con
quelle inglesi, e parliamo dei lavori per il canale di Suez, dunque pur se
schierasse dieci volte i nostri effettivi, con l’aiuto di Londra, cadrà di
sicuro e noi…»
«Avremmo i fondi necessari
per coprire quel buco.» finì il Re per Cavour.
prima ferrovia italiana: la Napoli-Portici, costruita dal Regno delle Due Sicilie |
«I nostri sudditi hanno
una pressione fiscale alta.» riprese il Conte. «E la rendita di un acro delle
terre dei contadini del nord è risibile in confronto a quella dei grandi
appezzamenti meridionali.» aggiunse.
«Gli inglesi hanno già
voltato bandiera, caro conte.» protestò il Re.
«C’è la questione dello
zolfo, Vostra Maestà.» disse Cavour. «Ferdinando ha in mente di nuovo di
cessare il contratto che permette a Londra di sfruttare i giacimenti siciliani.
Come sapete, l’ottanta percento dello zolfo inglese viene dal Regno delle Due
Sicilie.»
«Quel maiale ci tentò già
una volta!» disse il Re. «Mi ricordo la questione della Taix Aycard francese e
di come finì.»
«Clarendon e Palmerston ci
appoggeranno.» tagliò corto Cavour.
«Lo voglio nero su
bianco.» disse il Re.
«Datelo già per fatto,
Vostra Maestà. E ora, avremmo la questione del popolo.»
«Di che parlate?» domandò
Vittorio Emanuele.
«Tralasciando Garibaldi e
l’Austria e andando alla guerra col Borbone, sarebbe meglio preparare il
terreno. Ho già stretto accordi con le logge che operano a Napoli e Palermo e
con gli eserciti privati dei baroni siciliani. Sapete, Vostra Maestà, che in
Sicilia comandano loro e che il re non può nulla senza questi baroni.»
«Ferdinando mi pare che
possa ciò che vuole.» commentò Vittorio Emanuele.
«Il Borbone è l’unico che
è riuscito a governare sull’isola, ma si è inimicato i baroni.» spiegò Cavour.
«Che potremo usare come
testa di ponte.» aggiunse il Re, facendo svolazzare il decreto.
«Certo, Vostra Maestà.
Molti generali borbonici sono sul nostro libro paga, sapete.»
«Dare soldi a quei porci
aumenterà il buco.» disse Vittorio Emanuele.
«Si tratterà solo di
vincere la guerra. Il Regno delle Due Sicilie è ricco: potremo diminuire la pressione
fiscale in Piemonte e in Lombardia e raddoppiarla, triplicarla lì. Ripagheremo tutte le spese di
guerra.» spiegò Cavour.
«Ci vorrà un piano a lungo
termine.» disse Vittorio Emanuele.
Il Conte sorrise e si pulì
gli occhiali. «Lasciate a me i numeri.
Ci volessero anche duecent’anni, faremo ripagare al Sud le spese di questa
guerra.»
Vittorio Emanuele si tirò
i baffi e annuì.
non credo sia troppo lontano dalla realtà...purtroppo!
RispondiEliminaEsatto!
EliminaEd è impensabile che a scuola ci diano da studiare solo propaganda.
Saludos!
Da dove proviene questo "racconto"? Molto interessante da leggere, complimenti ;)
EliminaCiao Maria!
Eliminal'ho scritto io, dopo essermi documentato (negli anni) parecchio. Il primo sentore che la storia d'Italia non fosse come ce la raccontano me l'ha dato un mio amico di Lodi che mi ha detto: "La storia dell'unità d'Italia è la storia di come un piccolo, indebitato stato abbia fatto, con l'appoggio della Gran Bretagna, una guerra d'aggressione contro il Regno delle Due Sicilie".
Poi ho letto Terroni di Pino Aprile e ho visto un documentario di uno storico inglese (non ricordo il nome, ma lo troverò) che dimostrava il valore storico di queste tesi.
Spero ti sia piaciuto e spero serva a farci scavare a fondo sulla vera storia del meridione.
Saludos!
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina... nostri politici,baroni dei giorni nostri!!
RispondiEliminaConcordo, Stanislao!
EliminaSaludos!