sabato 21 settembre 2019

Hulk fanfiction - racconto di fanfiction sui personaggi marvel


Hulk fanfiction

 

di Marcello Nicolini

disclaimer: tutti i personaggi Marvel e le robe Marvel sono di proprietà della Marvel.



«Signore, abbiamo un codice rosso.»

Il segretario di stato guardò il presidente con aria grave.

«Alle 1800 ora di New York, Red Ronin è comparso a Manhattan e ha cominciato a devastarla.»

Il presidente sgranò gli occhi: era una donna di sessant’anni, affascinante, con i capelli a caschetto color argento.

«Red Ronin? Pensavo che avessimo mandato in pensione quel robot» disse, impugnando la cornetta rossa, che si trovava sul suo tavolo.

«Direttore Fury…»

«Signor Presidente» le rispose una voce cupa.

«Immagina il motivo della mia chiamata?» chiese la donna.

«È alto trenta metri e sta calpestando Manhattan?» disse Nick Fury, direttore dello S.H.I.E.L.D..

«Ero a conoscenza della dismissione di quell’affare. Il mio predecessore-»

«Con tutto il rispetto, signora, il suo predecessore avrebbe anche dovuto rispedire Godzilla negli abissi.»

Il presidente strinse le labbra.

«Spero si occuperà del problema» disse.

«Lo sto già facendo, o meglio, lo sta facendo Bruce Banner…»



 

Un quinjet sorvolò Central Park, abbassandosi sulla Quinta Strada, dove un enorme samurai rosso aveva appena scagliato la sua spada sul consolato francese. La spada centrò l’edificio e lo divise in due, dal tetto alle fondamenta.

Ai comandi del jet, la bionda agente Sharon Carter aprì un canale di comunicazione con chiunque fosse dentro il robot.

«Attenzione, qui è lo S.H.I.E.L.D.! Ti intimiamo di spegnere Red Ronin e uscire con le mani in alto.»

Alla comunicazione non ci fu risposta, ma il robot voltò l’enorme corpo verso il jet e alzò il braccio sormontato da uno scudo. Esso si mise a pulsare di energia e Sharon sentì il segnale di pericolo rimbombare nella cabina.




«Ci ha agganciati!» disse al dottor Bruce Banner, che era in piedi nel vano da carico. Le mani del dottore strinsero il sostegno di metallo a cui si aggrappava.

«Ecco la sua risposta, agente Carter.» Banner schiacciò il bottone di apertura d’emergenza e lasciò che il pannello del quinjet scorresse lateralmente, per poi saltare nel vuoto.

Banner iniziò un salto di quaranta metri e lo terminò come Hulk. I suoi enormi piedi spaccarono l’asfalto e le sue mani si chiusero a pugno.

Sopra di lui, Red Ronin lanciava una raffica di raggi ultravioletti verso il jet.

Sharon mosse la cloche e fece spostare il velivolo, schivando i raggi che l’avrebbero abbattuta.

Hulk ringhiò e afferrò un taxi, lo sollevò e lo scagliò addosso al robot. La macchina volò come un proiettile e finì la sua corsa sulla cintura di Red Ronin, accartocciandosi e cadendo in pezzi.

Ronin alzò la spada e la calò sul gigante verde. La lama tagliò l’asfalto, dove Hulk si trovava poco prima.

Il gigante di giada si afferrò alle guglie di un palazzo e, da lì, spiccò un salto verso la testa del robot. La mano di Red Ronin lo mancò di poco, causando un tremendo spostamento d’aria, ma Hulk gli atterrò su una spalla. Il robot cercò di schiacciarlo, come una zanzara, ma Hulk era già in volo. Arrivò alla testa e si aggrappò a una delle corna dorate.

Red Ronin attivò le unità di propulsione atomica nelle gambe e si sollevò, generando la fiammata degna di un razzo Saturn, assieme a un’onda sonora da mille decibel. I vetri dei palazzi e delle auto andarono in frantumi e il robot si arrampicò in cielo.

Hulk, tuttavia, si trovava ancora lì, sulla sua testa. In preda a una furia cieca, tirava pugni, per scardinare la corazza.

 



Sul quinjet, Sharon Carter sgranò gli occhi e diede potenza. L’aereo salì di quota, mettendosi dietro al robot.

«Agente Carter, com’è la situazione?» le gracchiò in cuffia la voce di Fury.

«Red Ronin ha preso il volo, con Banner attaccato addosso.»

«Ottimo. C’era da aspettarselo» fece il direttore dello S.H.I.E.L.D., «Dobbiamo farlo allontanare dalla città.»

«E Banner?»

«Penseremo poi a lui.»

Sharon accelerò, avvicinandosi al robot, ma stando attenta a non finire nelle fiamme dei suoi motori.

 

Hulk ammaccò un pannello dell’armatura, lo afferrò e lo staccò, scoprendo i meccanismi interni.

Il robot, allora, emise un impulso. Hulk perse la presa e cadde nel vuoto.

Banner aveva perso i sensi. Nessuno avrebbe potuto salvarlo, se non lui stesso.

Sharon lo vide andare giù, come un meteorite, verso Central Park: finì in un lago e sollevò una colonna d’acqua di sei metri.

 



«Banner è caduto nel Conservatory Water, signore» disse Sharon, sorvolando il lago. Red Ronin sembrava circondato da un’aura, adesso.

«Il robot gli ha scaricato contro una specie di impulso. I sistemi del quinjet lo registrano come una forza a lunghezza d’onda variabile» disse a Fury.

«Ricevuto. Dove si trova Red Ronin?»

«Ha sorvolato il parco ed è sulla Upper West Side.»

«Molto bene» disse Fury.

«Procedo ad abbatterlo, signore» replicò Sharon.

«Negativo» disse Fury.

Sharon si morse il labbro, poi manovrò il jet in modo da inquadrare Red Ronin nel mirino. Il robot stava sorvolando proprio allora il fiume. Sharon armò i missili, con un movimento del pollice, e li puntò su di esso.

«Missili armati» disse.

«Agente Carter!»

«Fuoco!» Il pollice premette il bottone e un paio di missili si separarono dallo scafo del quinjet e partirono verso Red Ronin. Ci fu una doppia esplosione e il robot venne avviluppato da una nube di fiamma.

«Abbattuto!» confermò Sharon.

«Negativo! Negativo! È ancora in piedi!»

«Ne è sicura?»

«Red Ronin è ancora operativo, direttore» disse Sharon.

 

Il samurai rosso era davanti a lei, circondato dall’alone d’energia. Le puntò addosso la mano sinistra, le cui dita si trasformarono in una sorta di fucile. L’allarme suonò nella cabina, un istante prima che Red Ronin scaricasse un impulso a elettroni sul jet. Sharon manovrò, cercando di togliersi dalla traiettoria, ma il raggio le bruciò uno dei motori.

L’aereo cominciò a girare forzando Sharon ad attivare il sistema per il volo verticale.

«Mayday! Sto precipitando» disse.

 

Al quartier generale dello S.H.I.E.L.D., oltre un corridoio pieno di agenti privi di sensi, colei che parlava con la voce di Nick Fury sorrise. Era una giovane, dalla pelle azzurra e dai capelli rossi, che indossava un abito così minuscolo da non lasciare niente all’immaginazione.

Alla sua destra, chiuso da tre barre d’acciaio piegate attorno al corpo, e con un pezzo di nastro adesivo sulla bocca, un afroamericano calvo e con un occhio solo la guardava pieno di rabbia.

Il telefono rosso sul tavolo squillò e Mystica prese la cornetta.

«Direttore, che diavolo succede? Le cose non stanno andando come previsto!» disse il presidente degli Stati Uniti.

Mystica sorrise e, con la voce di Fury, rispose:

«Oh sì, invece.» Poi riagganciò.

Accanto a lei apparve un uomo alto, dal viso rasato, spigoloso e dai capelli bianchi. Le mise una mano sulla spalla.

«Sei stata brava, figlia mia» disse.

Mystica lo guardò e sorrise, mentre il vero Fury si agitava sulla sedia. L’uomo dai capelli bianchi si girò verso di lui.

«Comprendo che tu non comprenda, Nicholas, ma vedi, tutto ciò fa parte di un grande piano.»

Fury mormorò qualcosa.

«Il sentimento è reciproco, Nicholas» disse l’uomo dai capelli bianchi.

 



Sharon Carter si lanciò dal quinjet e cominciò a scendere col paracadute. Vide il jet precipitare nel parco e poi osservò gli alberi tremare e gli uccelli innalzarsi in volo, come se fuggissero da qualcosa.

Sgranò gli occhi, vedendo un’enorme mano sollevarsi al di sopra di tutto e chiudere le dita in un pugno verde.

 

Un cavallo al pascolo alzò la testa e mosse le orecchie, quando un rombo turbò la quiete della cittadina di North Salem, Westchester, New York.

Un jet giallo e blu schizzò alla velocità del suono, con ai comandi il mutante più basso, forte e arrabbiato di sempre.

«Questo Aero-Slasher è un gran mezzo. Devo ricordarmi di ringraziare Stark» disse Wolverine, sogghignando.

Alto 1,60 m, con enormi spalle da lottatore, aveva avuto molti nomi, vissuto molte vite e accumulato più di cento anni d’esperienza nell’abbattere avversari.

Adesso, lanciato a tutta velocità verso la Grande Mela, fumava un sigaro che appestava l’abitacolo con una nube tossica.

Accelerò a mach uno, schiacciato al sedile, e avviò il radar. Due Strike Eagle della guardia nazionale lo intercettarono sopra Yonkers.

«Velivolo non identificato, questo è lo spazio aereo degli Stati Uniti. Ti scorteremo all’aeroporto militare più vicino» gli disse uno dei piloti.

Sigaro tra i denti, Wolverine ghignò.

«Occupatevi dei gatti sugli alberi e lasciate il resto a me.»

Accese il postbruciatore, scagliando l’Aero-Slasher a mach due e superando gli F-15.

Stava sorvolando il fiume, quando vide un’esplosione ingolfare Manhattan, alla sua sinistra. Corrugò la fronte, prima di strabuzzare gli occhi. Si era aspettato di dover combattere contro un enorme robot rosso e invece davanti a lui c’era un gigante… verde.

 

Hulk era alto trenta metri e i suoi piedi erano su entrambe le sponde del Conservatory Water. La sua testa sbucava dalle fronde degli alberi del parco. Stralunato per quella metamorfosi, aprì la bocca e urlò dalla rabbia. La sua voce provocò un’onda d’urto che distrusse i tronchi degli alberi più vicini e sfondò la facciata del Central Park Model Boat Sailing.

 

Il paracadute si era incastrato sui rami di una quercia, lasciando l’agente Carter a dondolare nel vuoto. Sotto di lei, gli animali del parco fuggivano e gli uccelli lanciavano i loro richiami di paura. Vide Hulk sorgere dal nulla e torreggiare come un dio primigenio sulla vegetazione.

Il gigante di giada aprì le braccia e urlò:

«HULK SPACCA!» L’onda d’urto distrusse l’albero e colpì Sharon con la forza di un camion, rompendole due costole e facendole esplodere il vetro del casco. La donna cadde e impattò sul terreno, cacciando un gemito di dolore.

 

A ottanta metri dal suolo, chi era alla guida di Red Ronin osservò il gigantesco Hulk e sorrise. Con indosso una maschera da teschio, tinta dalla Polvere Rossa, l’uomo chiamato Johann Schmidt sorrise.

«Dunque, le mie ricerche hanno dato frutto. L’alterazione al generatore del campo magnetico di difesa ha funzionato,» disse, «ho lasciato avvicinare quell’idiota tanto da toccare la corazza di Red Ronin e ne è stato investito in pieno. Peccato che il generatore non emetta più una forza repulsiva a lunghezza d’onda variabile, ma una barriera con altissime concentrazioni di raggi gamma, gli stessi che trasformarono il dottor Banner nella bestia conosciuta come Hulk.»

Schmidt chiuse gli occhi. Tramite il casco neurale, diede al robot un comando e lo fece allontanare da Manhattan.

 

Wolverine vide Hulk spiccare un balzo verso di lui e mosse la cloche per evitarlo. Le lame del suo Aero-Slasher, montate sulle ali, sfiorarono la pelle del gigante, graffiandola.

«Ehi, cocco, cerca di calmarti» disse il mutante, sputando una nube di fumo. Premette un bottone e lasciò che il suo velivolo cambiasse forma, diventando un umanoide metallico alto sei metri, con tre artigli sul dorso di ogni pugno.

«Vediamo cosa sa fare questa gigantesca action figure.»

Il robot giallo spiccò un salto, evitando un piede di Hulk e arrivandogli alla cintola. Gli abiti di Bruce Banner, in un tessuto speciale, si erano completamente disintegrati, nella trasformazione. Wolverine diresse il suo robot contro l’inguine, dove gli scaricò un pugno. Gli artigli bucarono la pelle del gigante, penetrandogli nel corpo e strappandogli un urlo di rabbia e dolore.

Hulk cercò di afferrare il piccolo robot, ma questo, puntando i piedi su di lui, spiccò un salto e si tolse dalla traiettoria della mano.

 

Intanto, nella cabina, dietro gli occhi vitrei di Red Ronin, Schmidt fermò la sua ascesa e scosse la testa:

«Stupido mutante! Devi lasciare che tutto si compia!»

Red Ronin alzò un braccio e lasciò che la sua gigantesca mano si staccasse dalla giuntura del polso e volasse verso Wolverine.

 

Le cinque dita afferrarono il robot giallo appena prima che si trasformasse in Aero-Slasher e lo strinsero come un bambino con una bambola. Wolverine digrignò i denti, mentre la cupola di vetro blindato si incrinava. Con una mossa, liberò un braccio del robot.

«Vediamo se resisti ai miei artigli!» disse, mozzando un dito e sgusciando via.

 

Johann Schmidt digrignò i denti.

«Quel Mega-Morph non può niente contro di me…» disse. La mano di Red Ronin si aprì e, dalle quattro dita, scaturirono gli impulsi a elettroni che investirono il robot giallo come una scarica.

 

Wolverine sentì l’energia bruciargli il corpo, dipanandosi dalle pareti del suo Mega-Morph. Ringhiò, tranciando il sigaro, e finì a sbattere contro la cloche. Il robot precipitò, descrivendo un arco e finendo nello Hudson.

 

«Ho fritto i circuiti del tuo robot,» disse Schmidt, sorridendo. Adagio, fece atterrare Red Ronin a Central Park. La mano attivò i retrorazzi sulle dita e si riagganciò al polso.

Hulk era davanti a lui e ringhiava, abbattendo a pugni un albero. Quando si accorse del robot, la sua ira esplose.

«HULK SPACCA!» Spiccò un balzo e gli si avventò addosso. Sollevò un enorme pugno e fece per abbatterlo sulla testa metallica.

 

Schmidt, gli occhi a fessura, sorrideva. Dagli occhi di Red Ronin, vide il pugno di Hulk ingrandirsi, poi scagliò l’impulso di raggi gamma.

Hulk fu proiettato via. Il suo corpo massiccio cadde a piombo nel fiume.

 



Nel quartier generale dello S.H.I.E.L.D., l’uomo dai capelli bianchi si avvicinò a Nick Fury e gli tolse il bavaglio.

«Erik Magnus Lehnsherr… avrei dovuto immaginarlo che c’eri tu dietro questo casino.» L’unico occhio del direttore fulminò l’uomo dai capelli bianchi.

Erik sorrise.

«Vedi, Nicholas-»

«Fury.»

«Come?»

«Solo “Fury”.»

Erik aprì le braccia.

«Tua madre non ti chiamava “Nicholas”, “Nicky”, “Nick”?»

L’occhio del direttore pareva volersi staccare dall’orbita e mangiare quell’uomo.

«Mia madre, che riposi in pace, mi chiamava “Fury”.»

Erik sorrise. Con un movimento della mano, piegò una delle sbarre, liberandogli le braccia.

«Ci tieni così poco alla vita?» chiese il direttore.

«una bella domanda» rispose Erik, «Che ormai è priva di importanza. Guarda tu stesso.» Mostrò qualcosa allo schermo.

Un Hulk di novanta metri torreggiava su Manhattan, circondato da elicotteri da combattimento.

«Che diavolo hai fatto?» ringhiò Fury.

Con un sorriso sornione, Erik disse:

«Credo che voi cristiani lo chiamiate “Armageddon”.» E aprì le braccia, come per afferrare qualcosa di gigantesco.

 



Sul fondo dello Hudson, Wolverine riprese i sensi. Un rivolo d’acqua gli si riversava addosso da una fessura nella cupola.

Il suo corpo, bruciato dalla scarica d’energia, stava guarendo rapidamente, grazie al fattore di rigenerazione. I tessuti e i muscoli si saldavano, la pelle si ricomponeva… e lo stesso faceva il suo Mega-Morph. Gli strumenti di bordo, coi circuiti fritti dalla scarica, tornarono a funzionare a uno a uno. La cupola si riparò. Il sigaro, invece, rimase spappolato ai suoi piedi.

Digrignando i denti, Wolverine spinse la cloche e il robot balzò fuori dal fiume.

Quel che vide fu assurdo.

Hulk stava distruggendo tutto. Tutto.

Un elicottero fu colpito dal suo pugno verde e cominciò a roteare, piombando nel fiume.

Il gigante inquadrò Red Ronin e gli si avventò contro.

Wolverine vide un impulso d’energia scaturire dal robot e colpire Hulk. Vide il gigante contorcersi per il dolore e… ingrandirsi.

 

«300 metri.» Erik sorrise, indicando Hulk sullo schermo.

«Armageddon! Che intendi fare?» domandò Nick Fury. Seduta alla sua scrivania, Mystica si trasformò nell’esatta copia del direttore, guardò Erik e disse:

«Già, che intendi fare?»

Erik Magnus Lehnsherr agitò una mano verso lo schermo.

«Osserva quel piccolo robot giallo» disse, indicando il Mega-Morph di Wolverine.

«La fine è vicina e tu, Nicholas, hai solo… lui.»

Fury scosse la testa.

«Hulk distruggerà tutto.»

Erik annuì.

«Ed è ciò che spero.» Si passò una mano sul mento. «Il campo di forza di Red Ronin genera un’incredibile potenza in raggi gamma. Ogni volta che Hulk viene colpito, triplica le sue dimensioni. Presto diverrà tanto grande da risultare invincibile.»

«Tu non capisci» disse Fury, «Non sto parlando di Manhattan, ma del mondo intero. Hulk distruggerà tutto!»

«Credo sia inevitabile» mormorò Erik.

 

«Ogni volta che tocca quel robot, viene colpito da una scarica che lo fa ingigantire.» Wolverine aveva trasformato il suo Mega-Morph in aereo e sorvolava la zona.

Manhattan era in fiamme, devastata da Hulk, che ormai torreggiava sul Chrysler Building. Red Ronin gli stava vicino, volando coi suoi reattori atomici sotto i piedi.

«Hulk gli si scaglierà contro all’infinito» disse, dirigendosi sul robot rosso. «Devo allontanarlo.»

L’Aero-Slasher cercò di tagliare la testa di Red Ronin, ma la barriera entrò in funzione, scagliandolo via e facendo perdere il controllo a Wolverine.

Schiacciato dalla tremenda accelerazione, il mutante strinse i denti. Trasformò il jet in umanoide ed estrasse gli artigli, poi atterrò sul tetto di un palazzo.

«A noi due, cocco.»

Spiccò un salto, cercando di arrivare alla testa del robot.

 
Nella cabina di pilotaggio, Johann Schmidt lanciò un comando mentale. Red Ronin fece ruotare lo scudo sul braccio destro e sparò una raffica di raggi ultravioletti. Uno di essi tagliò la giuntura della spalla del Mega-Morph, staccandola dal corpo. La mano sinistra di Red Ronin si sganciò dal polso e fece per afferrare il robot.

 

«Ho un solo modo per entrare in quel campo di forza» disse Wolverine, togliendosi la cintura di sicurezza e aprendo la cupola.

Un istante prima che la mano di Red Ronin stritolasse il suo robot, il mutante spiccò un salto e s’infilò nel dito che le aveva mozzato.

 

Schmidt vide la mano accartocciare il Mega-Morph. Le fece aprire le dita e lasciò che i pezzi del piccolo robot piovessero giù sulla strada.

Il pugno, coi tre artigli, si conficcò per terra, davanti allo Hyatt di New York, la testa cadde su una macchina e la schiacciò completamente, facendo partire l’allarme.

Dietro la sua maschera, l’uomo sorrise, per poi richiamare la mano di Red Ronin.

 

«Tu non sei la mente dietro tutto questo.» Nick Fury si massaggiò i polsi indolenziti, squadrando Erik.

Quello sorrise e aprì le braccia.

«Hai ragione… beh, quasi. Non sono da solo.»

«Il tizio che ha preso Red Ronin?»

«Oh, certo, Nicholas. Vuoi sapere chi sia?» Erik fece un movimento delle dita e le sbarre tornarono a stringere i polsi del direttore dello S.H.I.E.L.D..

«Si tratta di una tua vecchia conoscenza, che poi è anche una mia vecchia conoscenza» disse, indicandosi.

«Io sono ebreo, Nicholas, un ebreo tedesco, mentre lui, beh, era dall’altra parte. Se ti dico Johann Schmidt?»

Fury sputò per terra.

«Ti sei alleato con Teschio Rosso?» chiese, «Sei così pazzo?»

Erik scosse la testa.

«Non conosci il quadro generale, Nicholas» disse, «Io e il signor Schmidt abbiamo trovato un obiettivo comune. Il fatto che abbia servito Hitler e contribuito ad uccidere la mia gente non ha importanza ora… non più.»

«Stai parlando di Teschio Rosso! Colui che aiutò il barone Von Strucker a fondare l’Hydra. Ha dato la caccia anche ai tuoi mutanti… o sbaglio?»

Erik annuì e sorrise.

«Ironico, vero? Ebrei e mutanti… entrambi i miei popoli sono stati perseguitati dalla stessa gente e per gli stessi motivi.»

«Allora… perché tutto questo?»

«Non ha importanza ormai» disse Erik, allargando le braccia e librandosi in volo.  

Il suo potere piegò ogni metallo, disintegrando la struttura e facendo crollare ogni cosa.

«Non ha più importanza» mormorò, prima che l’intero S.H.I.E.L.D. crollasse su di lui e su Nick Fury.

 

Grazie alle sue piccole dimensioni, Wolverine era riuscito a farsi strada nella mano di Red Ronin, affettando i macchinari con gli artigli di adamantio.

Aveva superato la giuntura del polso e si stava spingendo verso il braccio, quando il robot fu di nuovo attaccato da Hulk.

 



Il gigante di giada si gettò su Red Ronin e lo afferrò tra le mani. Il robot fece scaturire l’impulso, che colpì Hulk per l’ennesima volta.

 

Wolverine si trovava allo scoperto, ora. L’attacco di Hulk aveva concluso l’opera distruttiva iniziata da lui, stritolando il braccio del robot. L’impulso aveva agito per l’ultima volta, regalando al mondo un Hulk di novecento metri.

A forza di artigli, Wolverine scalò il moncherino e, spiccando un balzo, si aggrappò alla spalla del robot.

Chi guidava Red Ronin, tuttavia, aveva molti assi nella manica.

Il robot fece apparire, dallo scudo, la grande lama. Dapprima flessibile, si solidificò in metallo lucente. Red Ronin la calò contro la propria spalla.

Wolverine sentì un dolore sordo, quando la lama gli tranciò il braccio sinistro e glielo staccò dal corpo.

Ringhiando, per non svenire, spiccò un balzo e ululò di rabbia. La testa di Red Ronin si avvicinava e si ingrandiva, ma il mutante sbagliò traiettoria. Sbilanciato dal non avere più un braccio, finì addosso a un corno dell’elmo. Vi conficcò gli artigli e si ancorò coi piedi.

 

Teschio Rosso chiuse gli occhi. Allungò una mano e aprì un alloggiamento nella cabina del robot. Una luce azzurra gli inondò il viso e gli fece risplendere gli occhi. Lì, pulsava l’oggetto che aveva alimentato il generatore di Red Ronin, l’artefatto che aveva investito Bruce Banner con una pioggia di raggi gamma.

«Il cubo cosmico…» mormorò, staccandolo dal supporto, dai cavi e stringendolo fra le dita, «un dispositivo così potente da riuscire a trasformare la realtà secondo i desideri di chi lo impugna…»

Se lo portò davanti al viso, venendo inondato dalla sua luce.

Con un ultimo comando mentale, sganciò la testa di Red Ronin e la fece arrampicare in cielo, come un razzo… un razzo a cui era attaccato Wolverine.

 



La rigenerazione di un mutante di classe “a” è pazzesca. Wolverine, quando aprì come una scatola di sardine la testa di Red Ronin, aveva di nuovo due braccia e sei artigli.

«Teschio Rosso!» ringhiò, vedendo Schmidt sul sedile, col cubo in mano.

«Buonasera a te, scherzo della natura.» Schmidt dovette gridare, per farsi sentire al di sopra del frastuono.

«Sto per sacrificare ciò a cui tengo di più affinché tutto si compia.»

«Sei un idiota delirante» disse Wolverine.

Teschio Rosso scoppiò a ridere. Attorno a lui, l’aria si faceva fredda, i cavi e i pannelli si sganciavano e cadevano nel vuoto.

«Il cubo cosmico, che ho cercato per tutta la vita! Lo sacrificherò! Emetterà un ultimo, potente impulso!»

«Non ci contare!» Wolverine ringhiò e attaccò Schmidt con gli artigli ma, all’improvviso, Teschio Rosso sollevò il cubo. Gli artigli di adamantio lo intercettarono e ne incrinarono la superficie.

«Nessuno ucciderà metà del popolo del nostro mondo,» disse Schmidt, «non se lo faremo noi prima, per mezzo di Hulk!»

«Che diavolo blateri?» gridò Wolverine.

«Thanos, il Titano Pazzo! Ha in progetto di impadronirsi delle gemme dell’infinito e usarle per uccidere metà della popolazione dell’universo con uno schiocco di dita.»

Wolverine alzò la mano artigliata, pronto a calarla sull’avversario.

«Per mezzo di Hulk, farò io una selezione casuale!» disse Teschio Rosso, mettendosi a ridere, «e la Terra sarà salva.»

Il cubo pulsò con una luce sempre più forte.

Quindi, esplose, generando un oceano di raggi gamma.

 

Giù, a centinaia di metri, in mezzo a un Central Park devastato, Sharon Carter rinvenne appena in tempo per vedere Hulk crescere a dismisura.

 

fine

  

 

Nessun commento:

Posta un commento