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Alla stazione centrale, Fausto cercò di nascondersi in mezzo alla folla fatta di cappotti, di sporte, di volti mal rasati e occhi stanchi. Fuori, le camionette dei tedeschi e i soldati di guardia con le pistole-mitragliatrici.
Alla stazione centrale, Fausto cercò di nascondersi in mezzo alla folla fatta di cappotti, di sporte, di volti mal rasati e occhi stanchi. Fuori, le camionette dei tedeschi e i soldati di guardia con le pistole-mitragliatrici.
Qualcuno gli toccò il braccio. «Mi scusi.» disse, in italiano. Accento locale.
Fausto si girò: davanti agli occhi aveva un uomo alto con i capelli neri e un cappotto verde scuro. Aveva il viso lungo, sbarbato e le mani ossute e nodose come rami d’albero.
Arrivando in treno, Fausto aveva visto Milano apparirgli come una bestia moribonda che cerchi di farsi forza nonostante le ferite. Macerie, ovunque, camionette tedesche.
«Lei è un militare?» gli domandò l’uomo.
Fausto non sapeva cosa rispondere. E poi chi era quell’altro? Perché faceva domande? Nella mente scossa dalla logica di guerra, non c’era posto per un naturale gesto di cortesia tra gentiluomini.
«Guardi che i tedeschi stanno cercando militari sbandati.» disse l’uomo.
Ma ancora Fausto non si fidava. Un detto siciliano recita: “chi si guardò, si salvò”.
«Lei ha qualcuno da cui andare?»
Finalmente, i mesi di incertezza, di stanchezza, ebbero la meglio su Fausto e gli fecero dire: «Uno zio, in un paese qui vicino.»
«Bene,» disse l’uomo, «ha dei soldi?»
Fausto scosse la testa.
«Venga con me.» disse l’uomo, come se si fosse già aspettato la risposta. «Le comprerò qualcosa da mangiare e un biglietto ferroviario… mi deve solo dire il nome del paese.»
Quello si rivelò un problema: Fausto non ricordava bene dove abitasse suo zio Cesare, ma dopo molte prove enunciando nomi di località lombarde, sia lui che l’uomo convennero su Lomazzo.
«Bene, non è troppo distante.» disse l’uomo. «Ora lei mi aspetti, mentre vado a comprare il biglietto.»
Fausto annuì e si sedette su una panchina.
Un treno, un enorme mostro d’acciaio, arrivò sotto la cupola vomitando fumo. Lo stridere dei freni rammentò al giovane sergente il sibilo delle granate in volo. Chiuse gli occhi, aspettando un’esplosione che non sarebbe mai arrivata.
Quando li riaprì, l’uomo era davanti a lui, con un biglietto in mano.
Fausto cercò di sorridere, ma non ci riuscì; disse solo: «Grazie.» e strinse i polsi all’uomo.
Sul treno, si asciugò le lacrime e si sedette, e guardò fuori dal finestrino.
Vide passargli accanto dei vagoni piombati dall’aspetto sinistro. Chi c’era dentro? Soldati? Ebrei? Chi?
Non lui.
Si stropicciò gli occhi, pensò all’uomo e disse: «Grazie.»continua
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