Alduin dice "Yol" nella lingua dei draghi |
Una distesa verde
attraversata dal fiume e cerchiata dalle montagne che formano un anello
all’orizzonte, tutto attorno.
Su un colle piatto (una
specie di rampa di roccia) alcune case lunghe attorno a un’unica, imponente
dimora, a forma di nave rovesciata.
Il carro era massiccio. Le
ruote piene, niente più che sezioni di un tronco imperniate sui mozzi da cunei
di legno, sciaguattavano tra il fango e i piccoli fiori blu di montagna con
rumori ora secchi, ora sordi: un rullo di tamburi consistente e infinito.
A bordo, disteso sul fondo
e coperto da una pelle di pecora, Ysgramor lottava contro la febbre. Accanto a
lui, la sua scure da battaglia, l’enorme Wuuthrad.
Tredici cavalieri
scortavano il carro: erano umani d’Atmora, ma pure fra loro c’era qualche mer
dai capelli color della neve.
Uno di essi,
l’incappucciato Vyrl scrutava il cielo, di tanto in tanto e parlava al malato.
«Il profumo dei fiori blu…
è una delle cose più belle di questa terra…» disse Ysgramor, a un certo punto.
«Uh? Ah, sì… i fiori.»
Vyrl distolse gli occhi dal cielo: una delle ruote passò in quel momento su un
fiore blu, piegandolo e schiacciandolo.
«Sembri distratto.»
commentò Ysgramor.
«No… è che… sto pensando a
come guarirti, amico mio.» fece Vyrl.
L’enorme guerriero sorrise
e rabbrividì sotto le pelli.
«La cosa importante…»
disse Vyrl, girandosi a guardarlo, «è che nessuno venga a conoscenza del tuo
stato: potrebbe far sciogliere l’esercito di Atmora come ghiaccio sul fuoco.»
«E cosa diremo?» domandò
Ysgramor, tossendo.
«Non certo che hai la
febbre cerebrale! Diremo che stai combattendo da qualche parte, con la tua
Wuuthrad in pugno.»
«E come, se sono steso su
questo carro?»
«Guarda questi guerrieri:
forti, muscolosi, dediti alla tua causa!» Vyrl indicò gli uomini della scorta,
«Basta mettere Wuuthrad in mano a uno che ti somigli e mandarlo fra i ranghi
del tuo esercito.»
«Un falso!» disse
Ysgramor.
«Già… ma non meno del
funerale di tuo figlio e del ritardo calcolato di Ylgar in battaglia…» disse
Vyrl, «ricorda che stiamo facendo politica.»
Ysgramor aprì la bocca per
respirare e gonfiò il petto. Cominciò a prendere piccoli, furiosi respiri e poi
andò in apnea, la faccia ora rossa e quindi pallida. Poi tossì e sgranò gli
occhi.
Tornò a respirare
regolarmente, poi andò di nuovo in apnea.
«Maledette hagraven…»
disse Ysgramor, con un filo di voce. Ghermì la tunica di Vyrl e lo guardò:
«V-Vyrl…» disse, tra un
respiro e l’altro, «n-non… voglio… m-m…»
Prese un enorme respiro e…
***
«Abbiamo una
confederazione di elfi pronta a muovere sui nostri territori e il leader degli
atmorani morto.» disse Vyrl, presiedendo l’assemblea nella casa di Jeek del
Fiume, capitano della nave Jorrvaskr.
«Una cosa che Ylgar non
deve sapere nella maniera più assoluta.» commentò Jeek, sfiorandosi il mento
rasato di fresco, «o la prenderà come pretesto per sottrarci i suoi uomini.»
Vyrl sospirò e si mise a
guardare il soffitto. Enormi travi formavano l’ossatura della casa di Jeek e un
foro convogliava il fumo del focolare. Gli odori erano quelli dell’arrosto e
dell’idromele atmorano, ma sulla tavola dell’assemblea, c’erano anche dei
piccoli fiori blu di montagna.
Vyrl si rabbuiò.
«Allora prete, che cosa ci
consigli di fare?» disse Strom il Bianco, un enorme guerriero dai capelli
canuti, rivolgendosi a Vyrl.
Il mer si concesse un
momento per pensare. Studiò ancora il soffitto della casa, poi disse:
«La gente dice che tu
abbia costruito questa casa con le travi della tua nave, la Jorrvaskr.»
Jeek alzò le spalle: «Ma è
così, in effetti.» disse.
«Certo… e io sono il Principe
delle Nevi!» ribatté Vyrl, «so abbastanza di navi per capire che la Jorrvaskr
non arriva nemmeno alla metà di questa casa.»
«Dettagli,» disse Jeek,
«che non è necessario sappiano tutti… e comunque dobbiamo preparare la
strategia contro il Principe delle Nevi.»
«Mi spieghi perché guardi
sempre il cielo?» domandò, d’un tratto, Strom a Vyrl.
Il mer sospirò e rispose:
«Per cercare la nostra
strategia.»
Strom sbuffò.
Vyrl fissò Jeek:
«La scure di Ysgramor?»
chiese.
«Seppellita con lui.»
rispose il capitano.
«Beh, lasciamo in pace i
morti,» disse Vyrl, «dimmi dove posso forgiarne un’altra.»
«Dietro di noi, sulla
roccia, i nostri fabbri hanno posto una fucina.» spiegò Jeek.
«Bene e… un’altra cosa…
comincia a farti crescere la barba, Jeek del Fiume.» disse il mer.
***
Jeek sbuffò, tirando le
redini del cavallo. La bestia: un enorme shire horse dagli zoccoli pelosi e dal
manto pezzato, stronfiò e obbedì.
Erano passate tre stagioni
dalla morte di Ysgramor, e una barba folta gli incorniciava il viso e fluiva da
sotto l’elmo da battaglia. La scure Wuuthrad riposava agganciata alla sella e un
arco dwemer stava nel pugno del guerriero.
La campagna non stava
andando nel modo giusto: i mer avevano spazzato via i successi degli atmorani
facilmente e la notizia della morte di Ysgramor circolava, al pari di quella
che lo voleva a guidare gli eserciti con in pugno la sua “Macina Elfi”.
Quel mattino dal sole
stinto, Jeek era alla testa di un piccolo contingente esplorativo, circondato
da numerosi guerrieri delle Lingue.
Si trovava presso una
roccia spruzzata dall’ultima neve, ad aspettare Vyrl.
«Salute a te, Ysgramor!»
disse una voce. Jeek si girò e vide il mer incappucciato calare da un sentiero,
in sella a una giumenta.
«Ahzidal!» disse Jeek,
alzando l’arco a mo’ di saluto.
In pubblico, Jeek e Vyrl
usavano sempre i nomi fittizi che il destino aveva assegnato loro. Jeek
interpretava Ysgramor e Vyrl era Ahzidal, il Distruttore Amareggiato, il
vendicatore del massacro di Saarthal.
E a volte, Vyrl si
dimenticava d’essere un mer delle nevi e nel profondo credeva davvero di aver
visto la luce tra gli atmorani e d’avere avuto una famiglia, una volta.
Anche Jeek credeva
d’essere Ysgramor e credeva che la sua casa (distrutta da un incendio e
ricostruita più grande) fosse Jorrvaskr, la nave con cui era arrivato lì da
Atmora.
«Cosa siamo, se non
menzogne?» aveva detto mesi addietro a Vyrl. Il mer aveva risposto con una sola
parola:
«Strumenti.»
«E di che?» aveva chiesto
Jeek.
«Meglio dire “di chi”.»
era stata la risposta di Vyrl.
«Lasciateci!» ordinò Jeek
alle guardie. Gli uomini obbedirono e lasciarono lui e Vyrl da soli.
«Allora, Distruttore
Amareggiato… che mi dici del Principe delle Nevi?» domandò Jeek.
«Che lo stiamo pagando
anche troppo profumatamente, Jeek… e che il territorio che ci lascia non dà
frutti. Altrove, come sai, le nostre truppe si ritirano sotto l’avanzata dei
suoi uomini.»
«Già, ma avevamo degli
accordi!»
«Il Principe lo fa per
salvare la faccia!» disse Vyrl.
Jeek annuì e agganciò
l’arco alla sella:
«Mi sento schiacciato da
tutto,» disse, «e le mie decisioni pesano sulle teste degli altri.»
«Sei arrivato alla
maturità adesso?» chiese Vyrl.
Jeek scosse la testa:
«Devo ancora arrivarci…»
Sospirò: «Per mano mia,
per le mie azioni, per i miei ordini, uomini e mer moriranno…»
«Non te lo nascondo.»
disse Vyrl.
«E nessuno saprà che è
colpa mia… tranne il sottoscritto.» continuò Jeek.
«Per alcuni capi questo
può essere un vantaggio, no?» azzardò il mer.
«Ma non capisci, Vyrl!
Sono una menzogna! Gli dèi-bestia non possono guardare favorevolmente a me.»
Jeek chiuse la mano a pugno.
«La responsabilità ti ha
cambiato.» disse Vyrl.
«Guidare un popolo non è
come guidare una nave.» disse Jeek.
«Non so… se ne sei
convinto… a me pare che tu debba prendere decisioni sulle teste degli altri sia
su una nave, sia qui, adesso.»
«Potrei non farcela,
Vyrl.» disse Jeek, aprendo la mano e calando lo sguardo.
«Sei nel gioco, quindi và
avanti in apnea, finché non finisce tutto: è l’unica cosa che puoi fare.» disse
il mer.
«Non è possibile camminare
all’indietro nel tempo con le tue magie?» chiese Jeek.
«Il passato non esiste
più.» disse Vyrl.
«Già…» Jeek sospirò, «Ma…
ho paura.»
«Ho paura anch’io,» disse
il mer, «ma dobbiamo risolvere la questione… e, in un certo senso, non siamo
del tutto privi d’aiuto.»
«Che vuoi dire?»
«Che c’è qualcuno dalla
nostra parte, qualcuno che potremmo anche adorare al posto dei nostri
inesistenti dèi.»
«Chi è questo qualcuno?»
domandò Jeek.
Vyrl sospirò:
«Mi chiamano “prete” i
tuoi e sai perché?»
«Sei diventato parte di
una specie di culto, mi pare.» disse Jeek.
«Già: venero Alduin.»
«il Divoratore di Mondi!
Un drago!» esclamò Jeek.
«Non dirmi che non ne
sapevi niente… da quante stagioni le vostre “Lingue” apprendono l’idioma dei
draghi?» domandò Vyrl.
Jeek strabuzzò gli occhi:
«Sin da… vuoi dire che è Alduin il loro maestro?»
«Ed è venuto il momento di
incontrarlo.» disse Vyrl.
***
«Per quanto ancora
dobbiamo camminare?»
Jeek, chino in avanti, si
mise la mano su un ginocchio e sbuffò. Girandosi e guardando in basso, vide le
rocce affiorare come isole nel mare di nubi gelide che attanagliava quel luogo.
«Manca ancora molto.»
disse Vyrl, scivolando sulla roccia e cadendo in ginocchio.
La neve li colpiva come un
pugno, urlando nelle loro orecchie e bruciando la pelle di freddo. I fiocchi
turbinavano in una danza senza fine.
Coperto di pelliccia, il
corpo spalmato di grasso e una sciarpa di lana di pecora sulla bocca, Jeek
affondò il bastone per guadagnare un altro metro.
«Vuoi una mano?» chiese a
Vyrl.
«No, lascia stare.» disse
il mer.
«Ma… non può scendere
lui?» ribatté Jeek.
«Credo sia una prerogativa
degli esseri dall’ego smisurato…» urlò Vyrl.
«Cosa… risiedere in luoghi
inaccessibili?»
«Già… aspetta!» Vyrl,
risollevatosi, aprì la mano destra (lasciando cadere il bastone che anch’egli
portava) e fece scaturire uno scudo traslucido e tremulo, vibrante come campane
a vento.
Su di esso s’infransero i
pugni di un troll dei ghiacci.
Questo aveva un bel
collare d’oro, come fosse un animale domestico.
Vyrl cadde all’indietro e
urlò.
La reazione di Jeek fu più
pragmatica: l’uomo scagliò il bastone sul muso del troll. Il legno lo colpì sul
terzo occhio, costringendo la bestia a chiudere le palpebre.
Jeek aveva, come arma, una
robusta scure dwemer: la impugnò e superò Vyrl. Il troll si batté il petto e
fece un balzo con le gambe corte. Jeek affondò la scure e si ritrovò a terra,
disarmato. La lama della scure era conficcata nello stinco del troll.
La bestia gli diede un
pugno. Jeek sentì il respiro svanire e le costole raschiare contro i polmoni.
Lobi temporali e ippocampo
di Vyrl lavorarono velocemente per trasmettergli il ricordo di un incantesimo
di “cura”.
Il cervello non fece altro
che sintonizzare il campo elettromagnetico degli atomi che componevano Vyrl con
quello degli atomi di Jeek. Il mer aprì la mano sinistra: l’aria attorno alle
dita si saturò d’un colore rosato e luminescente. La mano sembrò vibrare con un
rumore di campane a vento, causato dallo spostamento di frequenze del campo
elettromagnetico di Vyrl.
Il mer regolò il campo sui
7 Hertz.
Le costole di Jeek,
adagio, ripresero la loro forma e si staccarono dai polmoni. L’aria ricominciò
a fluire nel corpo del guerriero.
Vyrl regolò il campo sui 2
Hertz, intervenendo sui tessuti e sulla parte neurale di Jeek.
Ma questo avvenne in
pochissimi secondi.
Così, Jeek si ritrovò da
moribondo a sano senza nemmeno capire come.
Il pugno del troll
frantumò la roccia, ma il guerriero si tuffò, recuperò la scure e rotolò per
evitare un altro pugno.
Vyrl richiamò una magia di
fuoco: le molecole attorno a lui impazzirono e la fiamma si formò dal nulla. Un
cono di fuoco scaturì dalla mano di Vyrl e bruciò la schiena del troll. La
pelliccia bianca arse, spandendo nell’aria un odore di scimmia arrosto.
Jeek alzò la scure e la
conficcò nel polso del troll. La lama separò ossa e tessuti con un crac e colpì la neve sottostante.
Il troll, mutilato, sferrò
un sinistro.
Con un urlo, Jeek cadde di
sotto.
I tessuti del moncone del
troll si convertirono rapidamente a uno stato embrionale e una nuova mano,
molle e priva di peli, apparve dal polso.
Vyrl avrebbe avuto una
sola occasione.
Il troll era sull’orlo
dell’abisso, il suo cervello bestiale intento a capire dove fosse finito Jeek,
quando Vyrl urlò.
Gli bastarono tre parole,
nella lingua dei draghi.
Disse: «Forza! Equilibrio!
Spinta!»
Il suono si propagò dalla
sua gola, generando un’onda d’urto tremenda. Tutto ciò che il troll udì fu un
grande boato e la sferza dell’aria mentre il suo corpo cadeva giù dalla
montagna.
Vyrl prese un respiro e
raccolse il proprio bastone. Si avvicinò all’orlo e guardò di sotto. Il troll
era stato inghiottito dalle nuvole, mentre di Jeek non c’era traccia.
«Vyrl!» un urlo lo fece
trasalire. Guardò in basso. Là, attaccato al costone, c’era Jeek. La barba e i
capelli ondeggiavano, frustati dal vento.
Vyrl sorrise, poi chiuse
gli occhi e richiamò un incantesimo di telecinesi.
***
«Da qui si vedrebbe tutta
Mereth.» disse Vyrl, indicando l’abisso che si stendeva sotto ai loro piedi.
Lui e Jeek erano arrivati
in cima.
Il guerriero sospirò,
cercando di respirare l’aria rarefatta.
«Dov’è?» chiese,
solamente.
Poi una voce profonda come
il nucleo del mondo disse: «Qui.»
A Jeek parve che
provenisse da ogni dove; si girò, cercando colui che aveva pronunciato quell’unica
parola.
Vide un pezzo di montagna
muoversi, un pezzo irto di spine e ossa, enorme come una nave. La pelle e le
molte corna avevano il colore del ferro e due occhi si aprivano nel buio come
enormi mozziconi di torcia accesa.
Lo spostamento impresso da
quella enorme massa all’aria avvolse l’uomo e il mer.
Alduin era molto più
vicino di quanto Jeek pensasse e molto più grande. Il suo becco, curvo,
sovrastava l’uomo.
«Ho sentito il tuo thu’um…» disse il drago, parlando a Vyrl
e fissando Jeek.
«Hai buttato di sotto il
mio troll…» aggiunse.
Vyrl non replicò, né fece
una mossa.
«Poco male!» c’era una
nota allegra nella voce di Alduin: «E ora… mi porti la scimmietta che comanda l’esercito
venuto da lontano…»
Jeek, pur sapendo che l’epiteto
“scimmietta” fosse riferito a lui, non rispose, ma si limitò a fissare gli
occhi rossi del mostro.
Alduin odorava di rettile
e di cose morte. Odorava di gelo e di pioggia.
Il suo alito sapeva di
piscio, di terra e di sangue.
Il drago sollevò la testa
e per Jeek fu come se una casa si fosse alzata su gambe invisibili e volesse
divorarlo con la sua ombra.
«Ysgramor…» disse, «aveva
cominciato ad adorarmi… com’è giusto che sia. E gli avevo insegnato alcune
parole nella mia lingua… vedete… voi adorate le bestie, mentre dovreste adorare
me… e io, con poche, semplici parole, vi darei la vittoria…»
Poi, la “casa” puntò le
sue “finestre rosse” verso l’alto e aprì la bocca.
Alduin disse: «Yol!»
Un cono di fuoco esplose
dalla gola del drago e colorò la pancia gravida delle nubi.
La terra tremò e Jeek
cadde di schiena, mentre una pioggia di sassi batté sul suo elmo. Il guerriero
avvertì un intenso calore sulla parte destra del corpo e sentì peli e capelli
strinarsi e odorare di gallina bruciata.
Perfino il cielo parve
vibrare sotto l’urlo del drago.
Poi Alduin tacque e tirò
giù la testa dagli abissi delle nuvole: ora guardava Jeek e sorrideva.
«Ho detto “fuoco” nella
mia lingua.» spiegò.
Jeek lo fissava incredulo,
con gli occhi sgranati.
Alduin se ne avvide,
perché spostò le spire immense del suo corpo e alzò la testa, guardando l’uomo
dall’alto in basso.
«Una mia parola può
distruggere ogni esercito.» disse.
Jeek non trovò niente da
ribattere.
***
Jeek apprese della morte
del Principe delle Nevi quando scese dalla montagna.
«Pare sia morto d’una
febbre.» gli disse Strom.
«Le malattie sono il
nostro migliore alleato, ancora più delle spade, mio signore Ysgramor.»
commentò Vyrl, che era lì di fianco, rivolto a Jeek.
«In effetti,» disse
questi, «in più di un caso hanno distrutto interi eserciti mer.»
«E voi?» domandò Strom,
«Siete stati lassù?» alzò il mento, indicando la montagna.
«Abbiamo parlato con
Alduin.» ammise Jeek.
«Voi ci avete… parlato?» chiese l’enorme guerriero,
sgranando gli occhi.
Jeek annuì.
«Può dunque egli, un dio,
parlare?»
«Un dio può tutto.» disse
Vyrl.
Strom lo fissò: «Hai
ragione, prete.» disse.
***
«Il nostro dio, Alduin,
non ci aiuterà se tra di noi abiteranno ancora gli adoratori delle false
bestie!»
Uno degli accoliti di
Vyrl, un nuovo prete, parlava alla folla radunata davanti a Jorrvaskr. Dietro di
lui, assiso su un trono di legno (preparato per l’occasione) Ysgramor stava in
silenzio, con l’enorme Wuuthrad sulle ginocchia. L’elmo lo faceva sembrare un
demone alto e cornuto.
Più in basso, con la testa
su un ceppo, stava un uomo.
Il prete lo indicò:
«Hai confessato di adorare
lupi e orsi! Essi sono bestie comuni e non dèi!»
«Sono animali! Sono parte
della natura… proprio come noi!» urlò il condannato, con voce roca.
«E tu veneri degli animali
come nostri spiriti guida?» domandò il prete.
Jeek si mosse sulla sedia
e alzò un sopracciglio. Quel trono era scomodo, com’era scomodo reggere
Wuuthrad sulle ginocchia.
Quei deficienti di preti
volevano sangue e sangue lui gli avrebbe dato… a patto che Alduin continuasse a
guidarli e a farli prosperare.
Nonostante la versione
ufficiale, che lo voleva fervido credente, Jeek non adorava Alduin nel vero
senso della parola: un drago, per quanto potente, era pur sempre un animale,
una normalissima creatura.
Gli dèi sono ben altro…, pensò.
Scosso da foschi presagi,
si alzò e si avvicinò al ceppo; non udendo nemmeno il blaterare del prete,
sollevò la scure e guardò per un attimo l’uomo negli occhi.
Un altro che muore per colpa mia…, si disse.
Poi abbassò la scure.
Finita l’esecuzione, gettò
Wuuthrad ai piedi del prete e girò le spalle alla sua gente. Camminò fino all’ingresso
di Jorrvaskr e si chiuse la tenda di pelli alle spalle.
Ciò che lo preoccupava,
per il momento, era quel Principe delle Nevi.
Dopo l’annuncio di Strom,
altri capitani avevano detto di averlo visto vivo e vegeto, a comandare gli
eserciti nemici.
Se questo era vero, il
Principe non aveva rispettato gli accordi e stava conquistando un insediamento
dopo l’altro.
Bisognava ucciderlo e
bisognava farlo in maniera spettacolare.
Jeek si tolse l’elmo e lo
gettò a terra, poi si sedette sul tavolo e prese l’arma che era stata del suo
predecessore: la penna.
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