mercoledì 16 ottobre 2013

Alduin - un racconto su Skyrim




Alduin dice "Yol" nella lingua dei draghi


Una distesa verde attraversata dal fiume e cerchiata dalle montagne che formano un anello all’orizzonte, tutto attorno.
Su un colle piatto (una specie di rampa di roccia) alcune case lunghe attorno a un’unica, imponente dimora, a forma di nave rovesciata.
Il carro era massiccio. Le ruote piene, niente più che sezioni di un tronco imperniate sui mozzi da cunei di legno, sciaguattavano tra il fango e i piccoli fiori blu di montagna con rumori ora secchi, ora sordi: un rullo di tamburi consistente e infinito.
A bordo, disteso sul fondo e coperto da una pelle di pecora, Ysgramor lottava contro la febbre. Accanto a lui, la sua scure da battaglia, l’enorme Wuuthrad.
Tredici cavalieri scortavano il carro: erano umani d’Atmora, ma pure fra loro c’era qualche mer dai capelli color della neve.
Uno di essi, l’incappucciato Vyrl scrutava il cielo, di tanto in tanto e parlava al malato.
«Il profumo dei fiori blu… è una delle cose più belle di questa terra…» disse Ysgramor, a un certo punto.
«Uh? Ah, sì… i fiori.» Vyrl distolse gli occhi dal cielo: una delle ruote passò in quel momento su un fiore blu, piegandolo e schiacciandolo.
«Sembri distratto.» commentò Ysgramor.
«No… è che… sto pensando a come guarirti, amico mio.» fece Vyrl.
L’enorme guerriero sorrise e rabbrividì sotto le pelli.

«La cosa importante…» disse Vyrl, girandosi a guardarlo, «è che nessuno venga a conoscenza del tuo stato: potrebbe far sciogliere l’esercito di Atmora come ghiaccio sul fuoco.»
«E cosa diremo?» domandò Ysgramor, tossendo.
«Non certo che hai la febbre cerebrale! Diremo che stai combattendo da qualche parte, con la tua Wuuthrad in pugno.»
«E come, se sono steso su questo carro?»
«Guarda questi guerrieri: forti, muscolosi, dediti alla tua causa!» Vyrl indicò gli uomini della scorta, «Basta mettere Wuuthrad in mano a uno che ti somigli e mandarlo fra i ranghi del tuo esercito.»
«Un falso!» disse Ysgramor.
«Già… ma non meno del funerale di tuo figlio e del ritardo calcolato di Ylgar in battaglia…» disse Vyrl, «ricorda che stiamo facendo politica.»
Ysgramor aprì la bocca per respirare e gonfiò il petto. Cominciò a prendere piccoli, furiosi respiri e poi andò in apnea, la faccia ora rossa e quindi pallida. Poi tossì e sgranò gli occhi.
Tornò a respirare regolarmente, poi andò di nuovo in apnea.
«Maledette hagraven…» disse Ysgramor, con un filo di voce. Ghermì la tunica di Vyrl e lo guardò:
«V-Vyrl…» disse, tra un respiro e l’altro, «n-non… voglio… m-m…»
Prese un enorme respiro e…

***

«Abbiamo una confederazione di elfi pronta a muovere sui nostri territori e il leader degli atmorani morto.» disse Vyrl, presiedendo l’assemblea nella casa di Jeek del Fiume, capitano della nave Jorrvaskr.
«Una cosa che Ylgar non deve sapere nella maniera più assoluta.» commentò Jeek, sfiorandosi il mento rasato di fresco, «o la prenderà come pretesto per sottrarci i suoi uomini.»
Vyrl sospirò e si mise a guardare il soffitto. Enormi travi formavano l’ossatura della casa di Jeek e un foro convogliava il fumo del focolare. Gli odori erano quelli dell’arrosto e dell’idromele atmorano, ma sulla tavola dell’assemblea, c’erano anche dei piccoli fiori blu di montagna.
Vyrl si rabbuiò.
«Allora prete, che cosa ci consigli di fare?» disse Strom il Bianco, un enorme guerriero dai capelli canuti, rivolgendosi a Vyrl.
Il mer si concesse un momento per pensare. Studiò ancora il soffitto della casa, poi disse:
«La gente dice che tu abbia costruito questa casa con le travi della tua nave, la Jorrvaskr.»
Jeek alzò le spalle: «Ma è così, in effetti.» disse.
«Certo… e io sono il Principe delle Nevi!» ribatté Vyrl, «so abbastanza di navi per capire che la Jorrvaskr non arriva nemmeno alla metà di questa casa.»
«Dettagli,» disse Jeek, «che non è necessario sappiano tutti… e comunque dobbiamo preparare la strategia contro il Principe delle Nevi.»
«Mi spieghi perché guardi sempre il cielo?» domandò, d’un tratto, Strom a Vyrl.
Il mer sospirò e rispose:
«Per cercare la nostra strategia.»
Strom sbuffò.
Vyrl fissò Jeek:
«La scure di Ysgramor?» chiese.
«Seppellita con lui.» rispose il capitano.
«Beh, lasciamo in pace i morti,» disse Vyrl, «dimmi dove posso forgiarne un’altra.»
«Dietro di noi, sulla roccia, i nostri fabbri hanno posto una fucina.» spiegò Jeek.
«Bene e… un’altra cosa… comincia a farti crescere la barba, Jeek del Fiume.» disse il mer.

***

Jeek sbuffò, tirando le redini del cavallo. La bestia: un enorme shire horse dagli zoccoli pelosi e dal manto pezzato, stronfiò e obbedì.
Erano passate tre stagioni dalla morte di Ysgramor, e una barba folta gli incorniciava il viso e fluiva da sotto l’elmo da battaglia. La scure Wuuthrad riposava agganciata alla sella e un arco dwemer stava nel pugno del guerriero.
La campagna non stava andando nel modo giusto: i mer avevano spazzato via i successi degli atmorani facilmente e la notizia della morte di Ysgramor circolava, al pari di quella che lo voleva a guidare gli eserciti con in pugno la sua “Macina Elfi”.
Quel mattino dal sole stinto, Jeek era alla testa di un piccolo contingente esplorativo, circondato da numerosi guerrieri delle Lingue.
Si trovava presso una roccia spruzzata dall’ultima neve, ad aspettare Vyrl.
«Salute a te, Ysgramor!» disse una voce. Jeek si girò e vide il mer incappucciato calare da un sentiero, in sella a una giumenta.
«Ahzidal!» disse Jeek, alzando l’arco a mo’ di saluto.
In pubblico, Jeek e Vyrl usavano sempre i nomi fittizi che il destino aveva assegnato loro. Jeek interpretava Ysgramor e Vyrl era Ahzidal, il Distruttore Amareggiato, il vendicatore del massacro di Saarthal.
E a volte, Vyrl si dimenticava d’essere un mer delle nevi e nel profondo credeva davvero di aver visto la luce tra gli atmorani e d’avere avuto una famiglia, una volta.
Anche Jeek credeva d’essere Ysgramor e credeva che la sua casa (distrutta da un incendio e ricostruita più grande) fosse Jorrvaskr, la nave con cui era arrivato lì da Atmora.
«Cosa siamo, se non menzogne?» aveva detto mesi addietro a Vyrl. Il mer aveva risposto con una sola parola:
«Strumenti.»
«E di che?» aveva chiesto Jeek.
«Meglio dire “di chi”.» era stata la risposta di Vyrl.
«Lasciateci!» ordinò Jeek alle guardie. Gli uomini obbedirono e lasciarono lui e Vyrl da soli.
«Allora, Distruttore Amareggiato… che mi dici del Principe delle Nevi?» domandò Jeek.
«Che lo stiamo pagando anche troppo profumatamente, Jeek… e che il territorio che ci lascia non dà frutti. Altrove, come sai, le nostre truppe si ritirano sotto l’avanzata dei suoi uomini.»
«Già, ma avevamo degli accordi!»
«Il Principe lo fa per salvare la faccia!» disse Vyrl.
Jeek annuì e agganciò l’arco alla sella:
«Mi sento schiacciato da tutto,» disse, «e le mie decisioni pesano sulle teste degli altri.»
«Sei arrivato alla maturità adesso?» chiese Vyrl.
Jeek scosse la testa: «Devo ancora arrivarci…»
Sospirò: «Per mano mia, per le mie azioni, per i miei ordini, uomini e mer moriranno…»
«Non te lo nascondo.» disse Vyrl.
«E nessuno saprà che è colpa mia… tranne il sottoscritto.» continuò Jeek.
«Per alcuni capi questo può essere un vantaggio, no?» azzardò il mer.
«Ma non capisci, Vyrl! Sono una menzogna! Gli dèi-bestia non possono guardare favorevolmente a me.» Jeek chiuse la mano a pugno.
«La responsabilità ti ha cambiato.» disse Vyrl.
«Guidare un popolo non è come guidare una nave.» disse Jeek.
«Non so… se ne sei convinto… a me pare che tu debba prendere decisioni sulle teste degli altri sia su una nave, sia qui, adesso.»
«Potrei non farcela, Vyrl.» disse Jeek, aprendo la mano e calando lo sguardo.
«Sei nel gioco, quindi và avanti in apnea, finché non finisce tutto: è l’unica cosa che puoi fare.» disse il mer.
«Non è possibile camminare all’indietro nel tempo con le tue magie?» chiese Jeek.
«Il passato non esiste più.» disse Vyrl.
«Già…» Jeek sospirò, «Ma… ho paura.»
«Ho paura anch’io,» disse il mer, «ma dobbiamo risolvere la questione… e, in un certo senso, non siamo del tutto privi d’aiuto.»
«Che vuoi dire?»
«Che c’è qualcuno dalla nostra parte, qualcuno che potremmo anche adorare al posto dei nostri inesistenti dèi.»
«Chi è questo qualcuno?» domandò Jeek.
Vyrl sospirò:
«Mi chiamano “prete” i tuoi e sai perché?»
«Sei diventato parte di una specie di culto, mi pare.» disse Jeek.
«Già: venero Alduin.»
«il Divoratore di Mondi! Un drago!» esclamò Jeek.
«Non dirmi che non ne sapevi niente… da quante stagioni le vostre “Lingue” apprendono l’idioma dei draghi?» domandò Vyrl.
Jeek strabuzzò gli occhi: «Sin da… vuoi dire che è Alduin il loro maestro?»
«Ed è venuto il momento di incontrarlo.» disse Vyrl.

***

«Per quanto ancora dobbiamo camminare?»
Jeek, chino in avanti, si mise la mano su un ginocchio e sbuffò. Girandosi e guardando in basso, vide le rocce affiorare come isole nel mare di nubi gelide che attanagliava quel luogo.
«Manca ancora molto.» disse Vyrl, scivolando sulla roccia e cadendo in ginocchio.
La neve li colpiva come un pugno, urlando nelle loro orecchie e bruciando la pelle di freddo. I fiocchi turbinavano in una danza senza fine.
Coperto di pelliccia, il corpo spalmato di grasso e una sciarpa di lana di pecora sulla bocca, Jeek affondò il bastone per guadagnare un altro metro.
«Vuoi una mano?» chiese a Vyrl.
«No, lascia stare.» disse il mer.
«Ma… non può scendere lui?» ribatté Jeek.
«Credo sia una prerogativa degli esseri dall’ego smisurato…» urlò Vyrl.
«Cosa… risiedere in luoghi inaccessibili?»
«Già… aspetta!» Vyrl, risollevatosi, aprì la mano destra (lasciando cadere il bastone che anch’egli portava) e fece scaturire uno scudo traslucido e tremulo, vibrante come campane a vento.
Su di esso s’infransero i pugni di un troll dei ghiacci.
Questo aveva un bel collare d’oro, come fosse un animale domestico.
Vyrl cadde all’indietro e urlò.
La reazione di Jeek fu più pragmatica: l’uomo scagliò il bastone sul muso del troll. Il legno lo colpì sul terzo occhio, costringendo la bestia a chiudere le palpebre.
Jeek aveva, come arma, una robusta scure dwemer: la impugnò e superò Vyrl. Il troll si batté il petto e fece un balzo con le gambe corte. Jeek affondò la scure e si ritrovò a terra, disarmato. La lama della scure era conficcata nello stinco del troll.
La bestia gli diede un pugno. Jeek sentì il respiro svanire e le costole raschiare contro i polmoni.
Lobi temporali e ippocampo di Vyrl lavorarono velocemente per trasmettergli il ricordo di un incantesimo di “cura”.
Il cervello non fece altro che sintonizzare il campo elettromagnetico degli atomi che componevano Vyrl con quello degli atomi di Jeek. Il mer aprì la mano sinistra: l’aria attorno alle dita si saturò d’un colore rosato e luminescente. La mano sembrò vibrare con un rumore di campane a vento, causato dallo spostamento di frequenze del campo elettromagnetico di Vyrl.
Il mer regolò il campo sui 7 Hertz.
Le costole di Jeek, adagio, ripresero la loro forma e si staccarono dai polmoni. L’aria ricominciò a fluire nel corpo del guerriero.
Vyrl regolò il campo sui 2 Hertz, intervenendo sui tessuti e sulla parte neurale di Jeek.
Ma questo avvenne in pochissimi secondi.
Così, Jeek si ritrovò da moribondo a sano senza nemmeno capire come.
Il pugno del troll frantumò la roccia, ma il guerriero si tuffò, recuperò la scure e rotolò per evitare un altro pugno.
Vyrl richiamò una magia di fuoco: le molecole attorno a lui impazzirono e la fiamma si formò dal nulla. Un cono di fuoco scaturì dalla mano di Vyrl e bruciò la schiena del troll. La pelliccia bianca arse, spandendo nell’aria un odore di scimmia arrosto.
Jeek alzò la scure e la conficcò nel polso del troll. La lama separò ossa e tessuti con un crac e colpì la neve sottostante.
Il troll, mutilato, sferrò un sinistro.
Con un urlo, Jeek cadde di sotto.
I tessuti del moncone del troll si convertirono rapidamente a uno stato embrionale e una nuova mano, molle e priva di peli, apparve dal polso.
Vyrl avrebbe avuto una sola occasione.
Il troll era sull’orlo dell’abisso, il suo cervello bestiale intento a capire dove fosse finito Jeek, quando Vyrl urlò.
Gli bastarono tre parole, nella lingua dei draghi.
Disse: «Forza! Equilibrio! Spinta!»
Il suono si propagò dalla sua gola, generando un’onda d’urto tremenda. Tutto ciò che il troll udì fu un grande boato e la sferza dell’aria mentre il suo corpo cadeva giù dalla montagna.
Vyrl prese un respiro e raccolse il proprio bastone. Si avvicinò all’orlo e guardò di sotto. Il troll era stato inghiottito dalle nuvole, mentre di Jeek non c’era traccia.
«Vyrl!» un urlo lo fece trasalire. Guardò in basso. Là, attaccato al costone, c’era Jeek. La barba e i capelli ondeggiavano, frustati dal vento.
Vyrl sorrise, poi chiuse gli occhi e richiamò un incantesimo di telecinesi.

***

«Da qui si vedrebbe tutta Mereth.» disse Vyrl, indicando l’abisso che si stendeva sotto ai loro piedi.
Lui e Jeek erano arrivati in cima.
Il guerriero sospirò, cercando di respirare l’aria rarefatta.
«Dov’è?» chiese, solamente.
Poi una voce profonda come il nucleo del mondo disse: «Qui.»
A Jeek parve che provenisse da ogni dove; si girò, cercando colui che aveva pronunciato quell’unica parola.
Vide un pezzo di montagna muoversi, un pezzo irto di spine e ossa, enorme come una nave. La pelle e le molte corna avevano il colore del ferro e due occhi si aprivano nel buio come enormi mozziconi di torcia accesa.
Lo spostamento impresso da quella enorme massa all’aria avvolse l’uomo e il mer.
Alduin era molto più vicino di quanto Jeek pensasse e molto più grande. Il suo becco, curvo, sovrastava l’uomo.
«Ho sentito il tuo thu’um…» disse il drago, parlando a Vyrl e fissando Jeek.
«Hai buttato di sotto il mio troll…» aggiunse.
Vyrl non replicò, né fece una mossa.
«Poco male!» c’era una nota allegra nella voce di Alduin: «E ora… mi porti la scimmietta che comanda l’esercito venuto da lontano…»
Jeek, pur sapendo che l’epiteto “scimmietta” fosse riferito a lui, non rispose, ma si limitò a fissare gli occhi rossi del mostro.
Alduin odorava di rettile e di cose morte. Odorava di gelo e di pioggia.
Il suo alito sapeva di piscio, di terra e di sangue.
Il drago sollevò la testa e per Jeek fu come se una casa si fosse alzata su gambe invisibili e volesse divorarlo con la sua ombra.
«Ysgramor…» disse, «aveva cominciato ad adorarmi… com’è giusto che sia. E gli avevo insegnato alcune parole nella mia lingua… vedete… voi adorate le bestie, mentre dovreste adorare me… e io, con poche, semplici parole, vi darei la vittoria…»
Poi, la “casa” puntò le sue “finestre rosse” verso l’alto e aprì la bocca.
Alduin disse: «Yol!»
Un cono di fuoco esplose dalla gola del drago e colorò la pancia gravida delle nubi.
La terra tremò e Jeek cadde di schiena, mentre una pioggia di sassi batté sul suo elmo. Il guerriero avvertì un intenso calore sulla parte destra del corpo e sentì peli e capelli strinarsi e odorare di gallina bruciata.
Perfino il cielo parve vibrare sotto l’urlo del drago.
Poi Alduin tacque e tirò giù la testa dagli abissi delle nuvole: ora guardava Jeek e sorrideva.
«Ho detto “fuoco” nella mia lingua.» spiegò.
Jeek lo fissava incredulo, con gli occhi sgranati.
Alduin se ne avvide, perché spostò le spire immense del suo corpo e alzò la testa, guardando l’uomo dall’alto in basso.
«Una mia parola può distruggere ogni esercito.» disse.
Jeek non trovò niente da ribattere.

***

Jeek apprese della morte del Principe delle Nevi quando scese dalla montagna.
«Pare sia morto d’una febbre.» gli disse Strom.
«Le malattie sono il nostro migliore alleato, ancora più delle spade, mio signore Ysgramor.» commentò Vyrl, che era lì di fianco, rivolto a Jeek.
«In effetti,» disse questi, «in più di un caso hanno distrutto interi eserciti mer.»
«E voi?» domandò Strom, «Siete stati lassù?» alzò il mento, indicando la montagna.
«Abbiamo parlato con Alduin.» ammise Jeek.
«Voi ci avete… parlato?» chiese l’enorme guerriero, sgranando gli occhi.
Jeek annuì.
«Può dunque egli, un dio, parlare?»
«Un dio può tutto.» disse Vyrl.
Strom lo fissò: «Hai ragione, prete.» disse.

***

«Il nostro dio, Alduin, non ci aiuterà se tra di noi abiteranno ancora gli adoratori delle false bestie!»
Uno degli accoliti di Vyrl, un nuovo prete, parlava alla folla radunata davanti a Jorrvaskr. Dietro di lui, assiso su un trono di legno (preparato per l’occasione) Ysgramor stava in silenzio, con l’enorme Wuuthrad sulle ginocchia. L’elmo lo faceva sembrare un demone alto e cornuto.
Più in basso, con la testa su un ceppo, stava un uomo.
Il prete lo indicò:
«Hai confessato di adorare lupi e orsi! Essi sono bestie comuni e non dèi!»
«Sono animali! Sono parte della natura… proprio come noi!» urlò il condannato, con voce roca.
«E tu veneri degli animali come nostri spiriti guida?» domandò il prete.
Jeek si mosse sulla sedia e alzò un sopracciglio. Quel trono era scomodo, com’era scomodo reggere Wuuthrad sulle ginocchia.
Quei deficienti di preti volevano sangue e sangue lui gli avrebbe dato… a patto che Alduin continuasse a guidarli e a farli prosperare.
Nonostante la versione ufficiale, che lo voleva fervido credente, Jeek non adorava Alduin nel vero senso della parola: un drago, per quanto potente, era pur sempre un animale, una normalissima creatura.
Gli dèi sono ben altro…, pensò.
Scosso da foschi presagi, si alzò e si avvicinò al ceppo; non udendo nemmeno il blaterare del prete, sollevò la scure e guardò per un attimo l’uomo negli occhi.
Un altro che muore per colpa mia…, si disse.
Poi abbassò la scure.
Finita l’esecuzione, gettò Wuuthrad ai piedi del prete e girò le spalle alla sua gente. Camminò fino all’ingresso di Jorrvaskr e si chiuse la tenda di pelli alle spalle.
Ciò che lo preoccupava, per il momento, era quel Principe delle Nevi.
Dopo l’annuncio di Strom, altri capitani avevano detto di averlo visto vivo e vegeto, a comandare gli eserciti nemici.
Se questo era vero, il Principe non aveva rispettato gli accordi e stava conquistando un insediamento dopo l’altro.
Bisognava ucciderlo e bisognava farlo in maniera spettacolare.
Jeek si tolse l’elmo e lo gettò a terra, poi si sedette sul tavolo e prese l’arma che era stata del suo predecessore: la penna.

Nessun commento:

Posta un commento