martedì 1 ottobre 2013

Wuuthrad - un racconto su Skyrim




Alta come un gigante, di metallo color ottone, la macchina sputò vapore bollente.
Il ragazzo sgusciò dietro a un tubo idraulico e scoccò una freccia. La punta rimbalzò contro l’armatura del centurione, dando alla freccia un momento rotatorio che s’arrestò contro una delle pareti.
I capelli del ragazzo erano strinati e i suoi abiti anneriti dal fumo.
Richiamò la magia nella mano sinistra e lasciò scaturire dei fulmini ramificati contro il mostro.
Il centurione gemeva di metallo e pistoni idraulici a ogni passo.
La ayleide femmina puntò il bastone e richiamò la forma di lupo spettrale. Il lupo s’avventò sul centurione, mentre il ragazzo continuava a colpirlo con una catena di fulmini.
Sperava così che i delicati ingranaggi si rompessero, bloccandolo.
Sentì le zanne del lupo stridere sulla corazza d’ottone, poi vide la mano sinistra del centurione (a forma d’ascia) abbattersi sul lupo e farlo evaporare: il legame che lo confinava in questo mondo s’era spezzato.
Il ragazzo portò una freccia all’orecchio. Nel suo campo visivo rimbalzò sulla palpebra protettiva della dinamo. Nel centurione, la dinamo era alloggiata al centro del petto e schermata da una lamina di metallo dwemer.
Però…
All’altezza delle clavicole, schermati parzialmente dagli enormi spallacci curvi, si aprivano due sfiatatoi di vapore.
Se fosse riuscito a colpirli, forse…
Ma gli ingegneri dwemer dovevano aver previsto un’eventualità del genere, di sicuro. O forse no! Forse, nessuno si sarebbe mai sognato che un temerario armato d’arco e con poche possibilità contro quella macchina, avrebbe cercato di colpire gli sfiatatoi.
Frattanto, un altro lupo di vapore era scaturito dalla punta del bastone e stava galoppando verso il mostro.
Il braccio destro, a martello, del centurione vorticò per aria, mancando la silhouette del lupo. Gli artigli della belva stridettero sulla corazza. Getti di vapore uscirono dagli sfiatatoi, avvolgendo l’elmo del centurione in una nuvola di fumo.
Con la coda dell’occhio, il ragazzo vide l’ayleide avanzare, chiusa nell’armatura, con una spada in mano.
Poi il centurione vomitò una nube di vapore bollente.
Il ragazzo richiamò a sé il potere della telecinesi: aprì la mano e fletté le dita. Cercò la dinamo con gli occhi della mente e percorse, con dita invisibili, la distanza fisica che lo separava da essa.
Poi tirò.
La dinamo sbatté contro la lamina e il soffio di vapore venne meno. Il centurione rallentò la marcia. Poi ci fu un colpo. Fu come se un ingranaggio interno si fosse messo a girare più veloce. il vapore scaturì dagli sfiatatoi con un sibilo prolungato e il centurione riprese a camminare.
L’ascia descrisse un arco e tracciò scintille contro la parete per abbattersi addosso all’ayleide.
Che non era lì a ricevere il colpo.
Il lupo di vapore aveva cambiato posizione e si trovava ora sulla clavicola sinistra del centurione. Le sue linee traslucide si confondevano con il getto sputato dal motore del mostro.
Il ragazzo impugnò l’arco con la destra (la sua mano dominante nel tiro), avvicinò gli impennaggi della freccia all’occhio sinistro e chiuse il destro. Sulla linea visiva del sinistro fece collimare il bersaglio (lo sfiatatoio di destra) e l’indice della mano destra (che gli serviva da mirino).
Seguì lo sfiatatoio man mano che questo si spostava. Per una lunga frazione di secondo, tutto fu ridimensionato a quell’unica nicchia oscura da cui usciva un potente getto d’aria calda.
Non vide l’ascia spaccare il paranaso dell’elmo e l’osso etmoidale dell’aleyde, né i brandelli di cervello rianimato fuoriuscire come una specie di poltiglia marrone.
Trattenne il respiro, tese l’arco al massimo, espirò e tirò.
Vide la freccia, punta, asta e piuma, sparire nello sfiatatoio.

***

Nei giorni oltre la memoria, quando i primi uomini camminavano per le terre di Skyrim, nacque nella città di Saarthal un grande incantatore. Da ragazzo, il suo dono per la magia fu evidente agli occhi dei suoi tutori. Come un uomo, la sua abilità superò tutti. E, non trovando più nulla da imparare presso la sua gente, lasciò moglie e figli, e si allenò sotto i maestri elfi. Un anno divennero due, poi tre. E quando finalmente il suo percorso lo portò indietro a Saarthal, vide solo rovine: gli elfi avevano saccheggiato la città, e tutti gli abitanti erano morti e sepolti. Tra la cenere, tra le rovine fumanti della sua casa, fece un terribile giuramento di vendetta. Da lì, il suo nome nella leggenda: Ahzidal, il distruttore amareggiato.
Halund Mantogrigio, La Discesa di Ahzidal.

***

Città portuale di Jylkurfyk, Atmora.
Tra il fumo dei bracieri e l’odore di idromele, Ysgramor stava in piedi a braccia conserte, enorme come un orso, a parlare agli uomini:
«Alcuni di voi mi chiamano “capo”…» disse, con la sua voce bassa e roboante,
«ma sapete che sono uno tra i pari, come sapete la mia storia e ciò che è accaduto su Mereth! Il tradimento dei mer e la distruzione di Saarthal… io sospettavo qualcosa del genere e… non ho fatto… non ho fatto abbastanza.
“Ma ora ho la possibilità di rimediare, perciò vi chiedo di venire con me e con i miei figli! Col disgelo, i venti saranno favorevoli e ci porteranno a Capo Hsaarik! Non voglio rimettere piede su Mereth per la mia gloria, per il mio onore… sono cose prive di senso ormai. C’è una ragione tangibile… i nostri bracieri sono sempre più caldi e nelle nostre case arde sempre più fuoco, perché fuori è dominio del gelo! I ghiacci che attanagliano Atmora stanno arrivando anche qui, a Jylkurfyk. Coi miei occhi ho visto immense isole fatte solo di gelo su questa sponda del mar dei Fantasmi. Alcuni capitani mi credono e altri lo faranno… presto! Non voglio comprare il vostro assenso, ma c’è una terra, sull’altra sponda, fertile e vasta! Non vi comando, non vi ordino nulla, solo… vi chiedo. Siete con me?»
«Siamo con te!» dissero alcuni. Altri rimasero in silenzio.
Altri ancora, borbottarono fra loro.
Da lunghi anni, ormai, gli uomini migravano verso le sponde di Mereth e da lunghi anni, morivano annegati durante la traversata o venivano uccisi dalle frecce mer, una volta sulla costa.
Qualche tempo prima, la più grande colonia umana su Mereth, Saarthal, era stata distrutta dai mer, e i suoi abitanti uccisi.
Ysgramor, i suoi figli e pochi altri (anche se i poeti – per ragioni prosaiche – cantavano che si fossero salvati solo Ysgramor e i figli) erano riusciti a fuggire e avevano guadagnato di nuovo le sponde di Atmora.
«Quello che ci chiedi potrebbe portarci alla morte.» disse un uomo alto, con i capelli castani, lunghi.
«È vero, Jeek.» ammise Ysgramor, chinando il capo.
«Avremmo bisogno di molte navi.» disse un uomo dal viso scuro, ragnato di rughe.
«Navi che uno come te, Manwe, potrebbe costruire alla perfezione.» intervenne uno dei figli di Ysgramor, il biondo Ylgar.
«Volete…» intervenne Yngol, il figlio maggiore di Ysgramor, «lasciare tutta quella terra a dei traditori?»
«Quel che tuo padre ci chiede di fare è troppo…» disse un altro dei presenti.
«Troppo cosa?» sbottò Yngol, «Troppo… grande?»
«Per Roeth nulla è troppo grande!» ribatté colui che aveva parlato, «E ho abbastanza inverni sulle spalle da non farmi fregare dal tuo gioco. Conoscere qualche segno mer non fa di te un uomo migliore di noi, Yngol.»
«Non era mia intenzione prenderti in giro, Roeth, né vantarmi del fatto che so scrivere. Ma, in effetti, questa mia abilità potrebbe risultare valida in battaglia, nella riconquista di Mereth.»
«E come? Batterai i mer della neve con lo stilo?»
«Sono felice che tu riesca a conservare un po’ di spirito, Roeth, visti i tempi che corrono,» disse Yngol, «ma “con lo stilo” si possono perfezionare i piani di battaglia, si possono inviare messaggi alle truppe e muovere con precisione interi schieramenti. Inoltre, mio padre non ci ha insegnato a scrivere perché quest’arte morisse con noi! Tutti, tutti dobbiamo imparare! Tu, Manwe e tu, Menro, costruttori di navi! Imparando a disegnare i suoni potreste mettere per iscritto ciò che sapete, potreste aiutare molti maestri d’ascia. Jylkurfyk diverrebbe un unico, gigantesco cantiere e darebbe alla luce le navi oceaniche più perfette del mondo!»
«E questo, con dei semplici segni?» domandò Manwe.
Yngol annuì e nella sala cadde il silenzio.
«Non lo so.» fece Roeth, alla fine, «Non so cosa troveremo all’approdo, né se il mar dei Fantasmi chiederà il suo tributo di uomini.»
«Lo chiederà!» disse Jeek.
«Lo chiederà anche il gelo di Atmora.» mormorò Ysgramor.

***

Fu la fame a farli decidere.
Al disgelo, i venti spazzavano sbuffi di neve sulle cime di ghiaccio, portando le temperature di parecchi gradi sotto allo zero.
Gli animali morivano a decine e, con loro, gli uomini.
Come aveva detto Yngol, la città fu trasformata in un enorme cantiere.
Gli ultimi alberi d’Atmora vennero abbattuti per dare la forma alle chiglie, agli scafi.
Una sera, quando Darumzu e Harakk illuminavano il cielo con le altre stelle, Ysgramor studiava assieme a Yngol una mappa della costa di Mereth e faceva piani di battaglia.
Ylgar aveva lasciato la sua casa lunga per conferire col padre ed era appena entrato oltre la paratia fatta di pelli con questa notizia:
«Ci sono delle guerriere, padre, qui fuori.»
Ysgramor si alzò e incrociò le braccia sotto la barba; Yngol si girò a mezzo e sollevò un sopracciglio.
«Falle entrare!» disse Ysgramor.
Ylgar chinò il capo e uscì dalla casa, tornando con tre donne alte che portavano la spada al fianco.
Una aveva il viso segnato dalle intemperie e i capelli pieni di fili bianchi e intrecciati in una coda dietro alla schiena.
«Admirk, mio signore.» si presentò, inginocchiandosi e chinando il capo, «Maestra-di-Guerra.»
«Le ho chiamate io, padre,» rivelò Ylgar, «combatteranno per la nostra causa.»
«Per la causa di Atmora!» lo corresse Ysgramor.
«Ma alzati, Admirk! Io non sono un capo, ma un guerriero come te e non chiamarmi signore. Dimmi chi conduci nella mia casa!» aggiunse.
Admirk si alzò e si girò verso le due donne:
«Esse sono Froa e Grosta, mie allieve e Sorelle-di-Scudo. Io le ho iniziate a danzare fra le spade.»
Ysgramor annuì.
«Sappiamo che tutti i maestri d’ascia stanno costruendo navi pronte a salpare per Mereth.» disse Admirk, «sappiamo che Ylgar ha chiamato la sua nave come la luce che brilla in cielo, Darumzu, e Yngol come Harakk.
“Non siamo qui per il desiderio di uccidere i mer, Ysgramor, ma perché la nostra gente muore di fame e se alle nevi non segue il disgelo, vuol dire che una terra è condannata. Ormai il cibo è un ricordo e non vediamo perché su Mereth non si possa vivere in armonia noi e i mer.»
Ysgramor annuì:
«Lo stesso sentimento anima me.» disse.
«Allora è deciso!» disse Admirk, «noi verremo con te e io recluterò tutti gli studenti sotto il mio comando e li farò imbarcare su una delle navi. Sono giovani e non si sono ancora fatti un nome in battaglia, ma preferirebbero morire uccisi dai mer, che rimanere qui.»
«È deciso.» disse Ysgramor.

***

Capo Hsaarik, Mereth.
«Ancora adesso mi sembra magia.» Jeek del Fiume guardò Ysgramor vergare leggeri segni runici su una pergamena di pelle di pecora all’ombra di una lanterna ricavata da un corno.
La luce gettava delle vaste ombre sul volto corrucciato dell’uomo.
Senza smettere di scrivere, Ysgramor disse:
«Arriverà il tempo… in cui tutti conosceranno… questa magia.»
Jeek annuì e strinse le labbra.
«I guerrieri cominciano a mormorare.» disse, infine.
«Ah sì?» domandò distrattamente Ysgramor.
«Alcuni dicono che il loro condottiero si sia fatto stregare dai malefici mer e che non voglia più combattere: ma insomma, perché non ti fai vedere? L’esercito ne sarebbe felice!» disse Jeek.
«Mio figlio Yngol è morto, e questo lo sai. Quella tempesta che ci ha separati… la Harakk… l’ho vista andare a picco! Lui e gli altri guerrieri… morti senza possibilità di fare niente.» mormorò Ysgramor, frenando la penna.
«Non capisco,» Jeek corrugò la fronte, «Yngol è stato ucciso dai Fantasmi che tormentano quel mare… e tu… tu hai combattuto contro di loro e hai cercato di salvarlo… il suo corpo è qui, su Mereth e…»
«E verrà tumulato domani.» terminò Ysgramor per Jeek, «Ma sono tutte menzogne!»
«Ma… perché?»
«Per lasciarle ai posteri!» il grande orso alzò la barba dal foglio, «Perché credi che me ne stia rintanato qui a scrivere? È mio compito dare una storia alla nostra gente! È mio compito edulcorare le cose in modo che una morte da topi per annegamento venga cantata dai bardi come piena di gloria!»
«Edulcorare! Ma come parli? Però ancora… non capisco.» ammise Jeek.
«La scrittura ha un doppio taglio… come le spade. Si para col filo falso e si uccide col taglio forte. Io sto facendo questo, per infondere coraggio nella nostra gente!»
«Ma cosa scriverai?» domandò Jeek.
«Necessarie… bugie.» rispose Ysgramor.
Jeek chiuse gli occhi per un momento e sospirò.

***
«Rintanati qui sotto, negli animolocutori dwemer!» sbottò un mer delle nevi, osservando l’immagine traslucida del Principe, evocata dalla magia.
«Quantomeno, Vyrl, quel tuo ragazzo è morto.» aggiunse un altro.
Era stato Vyrl a trovare il cadavere, all’ingresso dell’animolocutorio. Accanto, c’erano un arco e il corpo di una femmina ayleide, vestita d’una complicata armatura.
Alle proteste di Vyrl, il Capo Architetto Yagrom Mzahnch aveva risposto con un gesto vago, aggiungendo:
«Il ragazzo aveva perpetrato un’effrazione nel nostro animolocutorio… una delle nostre macchine deve aver cercato di fermarlo.»
Yagrom aveva detto di aver rinvenuto numerosi resti di ragni meccanici e un centurione danneggiato.
«Il ragazzo gli aveva sparato una freccia nello sfiatatoio.» aveva detto, con un sorriso, «Come se una cosa del genere potesse fermare un centurione!»
Ora Vyrl e gli altri mer delle nevi si trovavano a dover fronteggiare gli enormi eserciti umani, alleandosi ai dwemer.
«Forse quel “mio ragazzo” era l’ultimo nostro baluardo!» mormorò Vyrl, tremando dalla rabbia.
«L’ultimo nostro baluardo sono le mura fortificate di Saarthal!» disse il Principe.
«Gli umani masticheranno le mura e ce le risputeranno contro.» dichiarò Vyrl, «Ma ci sono fazioni tra loro, come quella di Ysgramor, che scenderebbero volentieri a patti con noi.»
«Tradire la nostra causa?» disse, allegro, il Principe.
«Non è la nostra causa! Non c’è una nostra causa!» sbottò Vyrl, «Dobbiamo accettare le cose!»
«E quali sarebbero?» domandò uno dei mer.
«Che gli uomini sono qui per restare.»
«Allora, forse, quella dei mer non è più la tua causa, Vyrl.» suggerì il Principe.
«Voi siete solo attaccati a quel che c’è nei sotterranei di Saarthal.» li accusò Vyrl.
«Voi! Noi! Ti ascolti quando parli?» chiese il Principe.
Vyrl guardò quell’immagine traslucida e disse:
«Sì!»

***

«Sempre perso a scrivere e disegnare, padre?»
Ylgar allargò le braccia e sorrise, avanzando verso Ysgramor. Questi, chino su una pergamena, intinse la penna in un piccolo calamaio.
«È quella sostanza che fa quest’odore?» Ylgar indicò il calamaio.
Ysgramor annuì e, vergando un’altra runa, disse: «Sono rami di biancospino, raccolti e fatti seccare in primavera. La corteccia viene tritata e messa in acqua per otto giorni. poi si bolle l’acqua fino a che non s’addensa e diventa nera, s’aggiunge il vino e si lascia asciugare al sole in sacche speciali. Poi si mescola ancora con vino e con sali di ferro.»
Ylgar alzò un sopracciglio e si sedette sulla lunga panca della casa di Ysgramor.
«Admirk e gli studenti si stanno guadagnando un nome in battaglia! I nostri capitani combattono con valore e Jeek con la sua Jorrvaskr ha navigato fino…»
«E tuo padre rimane in casa a scrivere! È questo che vuoi dire?» Ysgramor lasciò la penna. Per la prima volta, i suoi occhi incrociarono quelli del figlio.
Ylgar sostenne lo sguardo e scosse la testa, poi aprì le braccia:
«E mio fratello? Riposa davvero in quel tumulo?»
«Tu che credi?» domandò Ysgramor.
«A ciò che ho visto!»
«E cosa hai visto?»
«Che mio padre ha sacrificato dozzine di bestie su quelle pietre.»
«Ed è ciò che è successo.» dichiarò Ysgramor.
«Anch’io ho visto qualcosa… Ylgar.» continuò l’uomo, «Mille e più navi sulle spiagge di Mereth e innumerevoli guerrieri della nostra gente.»
«Darumzu, la tua nave, non c’era.» aggiunse.
Ylgar deglutì e incrociò le braccia:
«Quella tempesta! Ci ha… separati dalla flotta… puoi dubitare del valore dei miei guerrieri?»
Finalmente Ysgramor si alzò e lasciò cadere la penna:
«Non metto in dubbio né il tuo, né il loro valore: è stata la tempesta… è ciò che ho scritto!»
Ylgar abbassò gli occhi:
«Cos’è tutto questo?» chiese, allargando le braccia.
Il padre si sedette e prese la penna:
«Politica.» disse.

***

«Abbiamo un migliaio di uomini e cento Lingue.» Ysgramor saggiò il filo della spada e annusò l’aria fredda.
Davanti a lui, le mura di Saarthal sembravano ritagliate dal cielo bianco.
«Potrei usare contro di te queste informazioni.» disse una figura ammantata, in piedi accanto a lui.
«Sei disgustato dalla tua gente almeno quanto io lo sono da ciò che sto per fare, Vyrl.» disse Ysgramor.
«Forse…» il mer si sfiorò il naso, «Hai parlato di “lingue”… in che senso?»
«Stai a guardare!» disse Ysgramor, «Corri dietro di me.»
«Dove?» chiese Vyrl.
Ysgramor non rispose, ma indicò una figura solitaria, dai capelli castani:
«Jeek del Fiume ha dato l’ordine… ora le Lingue avanzano!»
In effetti, in un turbinare di teste bionde ed elmi cornuti, parecchi guerrieri si misero a cuneo e cominciarono a battere le asce sugli scudi. Dalle mura, i mer li guardavano.
Poi le Lingue (perché è quello ciò che erano quegli uomini) si misero a correre, mantenendo la formazione al suono di enormi tamburi.
Cento uomini vanno all’attacco di un portale senza macchine d’assedio?, pensò Vyrl.
E perché sono muti?, si chiese.
In effetti le Lingue correvano in silenzio, con le asce in pugno e le barbe ritte, ma mentre i loro compagni (quelli fermi, nel grosso dell’esercito) li incitavano urlando e cantando, le Lingue avanzavano in silenzio.
I mer tirarono su di loro e qualche testa bionda sparì dai ranghi, poi fecero cadere un enorme macigno: il cuneo ondeggiò.
Sembrava che i guerrieri volessero sfondare le porte con quell’unica, terribile carica.
Poi, a un tratto, urlarono tutti con una sola voce.
E le porte di Saarthal furono divelte dai cardini, mentre le Lingue, riparandosi con gli scudi, passarono sotto una tempesta di frecce.
«Che è successo?» domandò Vyrl.
Ysgramor disse solo: «Funziona!»

***

«Fra le rovine di Saarthal… per la seconda volta…»
Ysgramor toccò la trave annerita di quella che era stata la sua casa. Fece un sospiro.
I mer erano stati battuti. Molti cadaveri punteggiavano le strade, coperti dall’ultima, tenace neve.
Il fumo dei bivacchi s’involava in riccioli velenosi, appestando le narici e bruciando le gole.
«Il potere della Voce… non credevo esistesse niente di simile.» Vyrl si avvicinò, rasentando un gruppo di cadaveri allineati e pronti per i rituali di sepoltura.
Ysgramor non rispose, ma guardò accigliato il mer e l’ascia che questi impugnava: era, in verità, una scure (ossia col taglio parallelo al manico) bipenne; aveva l’altezza di un uomo e la testa di metallo brunito, con un intaglio decorativo.
«È il viso di un mer quello?» domandò Ysgramor, fissando l’intaglio.
«Un mer spaventato a morte.» ammise Vyrl, tendendogli la scure.
«A che mi serve?» domandò il condottiero.
«L’ho forgiata per te, con le mie arti magiche.» disse Vyrl.
«Un’arma a due mani non la porto in battaglia, mi impaccerebbe,» disse Ysgramor, «senza contare che scuri così e spadoni non puoi metterteli semplicemente a tracolla e neanche in un fodero: devi bilanciarteli sulle spalle e usarli con tanto spazio.»
«Ascolta, amico mio, hai imparato a scrivere e hai usato le lettere per fare tutto questo, mi hai insegnato il potere della politica, il valore dei simboli… ora… questa scure è un simbolo: i tuoi atmorani adorano le armi grosse e impossibili da sollevare, quindi brandiscila!» Vyrl gettò la scure ai piedi di Ysgramor.
«Voi uomini amate dare nomi perfino alle nocciole degli scoiattoli, perciò ti suggerisco di darne uno anche a lei.» aggiunse.
Ysgramor raccolse la scure e sorrise:
«E scommetto che hai un consiglio.» disse.
Vyrl ricambiò il sorriso:
«Wuuthrad!» disse, cercando di pronunciare bene le parole in atmorano.
Il guerriero si accigliò e poi, adagio, un’espressione sorniona gli apparve sul viso.
Soppesò la scure, mormorando:
«Wuuthrad, la Macina Elfi.»
Vyrl annuì e allargò le braccia: «Vedi come suona bene?»
Ysgramor sorrise e scosse la testa.
«E tu?» chiese, «Ho sentito che te ne vai in giro con tunica e cappuccio, ammantato di uno strano nome.»
«Oh, io sono Ahzidal, il Distruttore Amareggiato.» dichiarò Vyrl, scimmiottando un tono solenne.
«Amareggiato da cosa?»
Per tutta risposta, Vyrl chinò il capo:
«Ti racconto una storia: al seguito della gente di Atmora viveva a Saarthal un giovane dotato di grande talento magico, un giovane a cui ormai nessuno dei suoi aveva più nulla da insegnare.
“Egli lasciò sua moglie e i suoi figli e andò a studiare dai mer. Imparò in poco tempo cose che fra gli atmorani gli avrebbero richiesto anni, secoli! Poi… fece ritorno a Saarthal, solo per trovarla distrutta dai mer traditori: la sua famiglia era stata spazzata via dalle spade. Allora il giovane vagò e vagò, studiando le arti dei dwemer e degli ayleidi. Vagò fino a quando non s’ebbe notizia del ritorno del leggendario Ysgramor e dei suoi figli… il resto lo sai.
«Quel ragazzo che studiava con te!» esclamò il guerriero.
«Ho trovato il suo corpo all’interno di un animolocutorio dwemer… e ora quel ragazzo sono io.» spiegò Vyrl.
Ysgramor scosse la testa:
«Propaganda!»
«Già e ne avremo bisogno contro il Principe delle Nevi.» ammise Vyrl.

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