Alta come un gigante, di metallo color ottone, la macchina sputò vapore bollente.
Il ragazzo sgusciò dietro
a un tubo idraulico e scoccò una freccia. La punta rimbalzò contro l’armatura
del centurione, dando alla freccia un momento rotatorio che s’arrestò contro
una delle pareti.
I capelli del ragazzo
erano strinati e i suoi abiti anneriti dal fumo.
Richiamò la magia nella
mano sinistra e lasciò scaturire dei fulmini ramificati contro il mostro.
Il centurione gemeva di
metallo e pistoni idraulici a ogni passo.
La ayleide femmina puntò
il bastone e richiamò la forma di lupo spettrale. Il lupo s’avventò sul
centurione, mentre il ragazzo continuava a colpirlo con una catena di fulmini.
Sperava così che i
delicati ingranaggi si rompessero, bloccandolo.
Sentì le zanne del lupo
stridere sulla corazza d’ottone, poi vide la mano sinistra del centurione (a
forma d’ascia) abbattersi sul lupo e farlo evaporare: il legame che lo
confinava in questo mondo s’era spezzato.
Il ragazzo portò una
freccia all’orecchio. Nel suo campo visivo rimbalzò sulla palpebra protettiva
della dinamo. Nel centurione, la dinamo era alloggiata al centro del petto e
schermata da una lamina di metallo dwemer.
Però…
All’altezza delle
clavicole, schermati parzialmente dagli enormi spallacci curvi, si aprivano due
sfiatatoi di vapore.
Ma gli ingegneri dwemer
dovevano aver previsto un’eventualità del genere, di sicuro. O forse no! Forse,
nessuno si sarebbe mai sognato che un temerario armato d’arco e con poche
possibilità contro quella macchina, avrebbe cercato di colpire gli sfiatatoi.
Frattanto, un altro lupo
di vapore era scaturito dalla punta del bastone e stava galoppando verso il
mostro.
Il braccio destro, a
martello, del centurione vorticò per aria, mancando la silhouette del lupo. Gli
artigli della belva stridettero sulla corazza. Getti di vapore uscirono dagli
sfiatatoi, avvolgendo l’elmo del centurione in una nuvola di fumo.
Con la coda dell’occhio,
il ragazzo vide l’ayleide avanzare, chiusa nell’armatura, con una spada in
mano.
Poi il centurione vomitò
una nube di vapore bollente.
Il ragazzo richiamò a sé
il potere della telecinesi: aprì la mano e fletté le dita. Cercò la dinamo con
gli occhi della mente e percorse, con dita invisibili, la distanza fisica che
lo separava da essa.
Poi tirò.
La dinamo sbatté contro la
lamina e il soffio di vapore venne meno. Il centurione rallentò la marcia. Poi
ci fu un colpo. Fu come se un ingranaggio interno si fosse messo a girare più
veloce. il vapore scaturì dagli sfiatatoi con un sibilo prolungato e il centurione
riprese a camminare.
L’ascia descrisse un arco
e tracciò scintille contro la parete per abbattersi addosso all’ayleide.
Che non era lì a ricevere
il colpo.
Il lupo di vapore aveva
cambiato posizione e si trovava ora sulla clavicola sinistra del centurione. Le
sue linee traslucide si confondevano con il getto sputato dal motore del
mostro.
Il ragazzo impugnò l’arco
con la destra (la sua mano dominante nel tiro), avvicinò gli impennaggi della
freccia all’occhio sinistro e chiuse il destro. Sulla linea visiva del sinistro
fece collimare il bersaglio (lo sfiatatoio di destra) e l’indice della mano
destra (che gli serviva da mirino).
Seguì lo sfiatatoio man
mano che questo si spostava. Per una lunga frazione di secondo, tutto fu
ridimensionato a quell’unica nicchia oscura da cui usciva un potente getto
d’aria calda.
Non vide l’ascia spaccare
il paranaso dell’elmo e l’osso etmoidale dell’aleyde, né i brandelli di
cervello rianimato fuoriuscire come una specie di poltiglia marrone.
Trattenne il respiro, tese
l’arco al massimo, espirò e tirò.
Vide la freccia, punta,
asta e piuma, sparire nello sfiatatoio.
***
Nei giorni oltre la
memoria, quando i primi uomini camminavano per le terre di Skyrim, nacque nella
città di Saarthal un grande incantatore. Da ragazzo, il suo dono per la magia fu
evidente agli occhi dei suoi tutori. Come un uomo, la sua abilità superò tutti.
E, non trovando più nulla da imparare presso la sua gente, lasciò moglie e
figli, e si allenò sotto i maestri elfi. Un anno divennero due, poi tre. E
quando finalmente il suo percorso lo portò indietro a Saarthal, vide solo
rovine: gli elfi avevano saccheggiato la città, e tutti gli abitanti erano
morti e sepolti. Tra la cenere, tra le rovine fumanti della sua casa, fece un
terribile giuramento di vendetta. Da lì, il suo nome nella leggenda: Ahzidal,
il distruttore amareggiato.
Halund Mantogrigio, La
Discesa di Ahzidal.
***
Città portuale di
Jylkurfyk, Atmora.
Tra il fumo dei bracieri e
l’odore di idromele, Ysgramor stava in piedi a braccia conserte, enorme come un
orso, a parlare agli uomini:
«Alcuni di voi mi chiamano
“capo”…» disse, con la sua voce bassa e roboante,
«ma sapete che sono uno
tra i pari, come sapete la mia storia e ciò che è accaduto su Mereth! Il tradimento
dei mer e la distruzione di Saarthal… io sospettavo qualcosa del genere e… non
ho fatto… non ho fatto abbastanza.
“Ma ora ho la possibilità
di rimediare, perciò vi chiedo di venire con me e con i miei figli! Col
disgelo, i venti saranno favorevoli e ci porteranno a Capo Hsaarik! Non voglio
rimettere piede su Mereth per la mia gloria, per il mio onore… sono cose prive
di senso ormai. C’è una ragione tangibile… i nostri bracieri sono sempre più
caldi e nelle nostre case arde sempre più fuoco, perché fuori è dominio del
gelo! I ghiacci che attanagliano Atmora stanno arrivando anche qui, a
Jylkurfyk. Coi miei occhi ho visto immense isole fatte solo di gelo su questa
sponda del mar dei Fantasmi. Alcuni capitani mi credono e altri lo faranno…
presto! Non voglio comprare il vostro assenso, ma c’è una terra, sull’altra
sponda, fertile e vasta! Non vi comando, non vi ordino nulla, solo… vi chiedo.
Siete con me?»
«Siamo con te!» dissero
alcuni. Altri rimasero in silenzio.
Altri ancora, borbottarono
fra loro.
Da lunghi anni, ormai, gli
uomini migravano verso le sponde di Mereth e da lunghi anni, morivano annegati
durante la traversata o venivano uccisi dalle frecce mer, una volta sulla
costa.
Qualche tempo prima, la
più grande colonia umana su Mereth, Saarthal, era stata distrutta dai mer, e i
suoi abitanti uccisi.
Ysgramor, i suoi figli e
pochi altri (anche se i poeti – per ragioni prosaiche – cantavano che si
fossero salvati solo Ysgramor e i figli) erano riusciti a fuggire e avevano
guadagnato di nuovo le sponde di Atmora.
«Quello che ci chiedi
potrebbe portarci alla morte.» disse un uomo alto, con i capelli castani,
lunghi.
«È vero, Jeek.» ammise
Ysgramor, chinando il capo.
«Avremmo bisogno di molte
navi.» disse un uomo dal viso scuro, ragnato di rughe.
«Navi che uno come te,
Manwe, potrebbe costruire alla perfezione.» intervenne uno dei figli di
Ysgramor, il biondo Ylgar.
«Volete…» intervenne
Yngol, il figlio maggiore di Ysgramor, «lasciare tutta quella terra a dei
traditori?»
«Quel che tuo padre ci
chiede di fare è troppo…» disse un altro dei presenti.
«Troppo cosa?» sbottò
Yngol, «Troppo… grande?»
«Per Roeth nulla è troppo
grande!» ribatté colui che aveva parlato, «E ho abbastanza inverni sulle spalle
da non farmi fregare dal tuo gioco. Conoscere qualche segno mer non fa di te un
uomo migliore di noi, Yngol.»
«Non era mia intenzione
prenderti in giro, Roeth, né vantarmi del fatto che so scrivere. Ma, in
effetti, questa mia abilità potrebbe risultare valida in battaglia, nella
riconquista di Mereth.»
«E come? Batterai i mer
della neve con lo stilo?»
«Sono felice che tu riesca
a conservare un po’ di spirito, Roeth, visti i tempi che corrono,» disse Yngol,
«ma “con lo stilo” si possono perfezionare i piani di battaglia, si possono
inviare messaggi alle truppe e muovere con precisione interi schieramenti.
Inoltre, mio padre non ci ha insegnato a scrivere perché quest’arte morisse con
noi! Tutti, tutti dobbiamo imparare! Tu, Manwe e tu, Menro, costruttori di
navi! Imparando a disegnare i suoni potreste mettere per iscritto ciò che
sapete, potreste aiutare molti maestri d’ascia. Jylkurfyk diverrebbe un unico,
gigantesco cantiere e darebbe alla luce le navi oceaniche più perfette del
mondo!»
«E questo, con dei
semplici segni?» domandò Manwe.
Yngol annuì e nella sala cadde
il silenzio.
«Non lo so.» fece Roeth,
alla fine, «Non so cosa troveremo all’approdo, né se il mar dei Fantasmi
chiederà il suo tributo di uomini.»
«Lo chiederà!» disse Jeek.
«Lo chiederà anche il gelo
di Atmora.» mormorò Ysgramor.
***
Fu la fame a farli
decidere.
Al disgelo, i venti
spazzavano sbuffi di neve sulle cime di ghiaccio, portando le temperature di
parecchi gradi sotto allo zero.
Gli animali morivano a
decine e, con loro, gli uomini.
Come aveva detto Yngol, la
città fu trasformata in un enorme cantiere.
Gli ultimi alberi d’Atmora
vennero abbattuti per dare la forma alle chiglie, agli scafi.
Una sera, quando Darumzu e
Harakk illuminavano il cielo con le altre stelle, Ysgramor studiava assieme a
Yngol una mappa della costa di Mereth e faceva piani di battaglia.
Ylgar aveva lasciato la
sua casa lunga per conferire col padre ed era appena entrato oltre la paratia
fatta di pelli con questa notizia:
«Ci sono delle guerriere,
padre, qui fuori.»
Ysgramor si alzò e
incrociò le braccia sotto la barba; Yngol si girò a mezzo e sollevò un
sopracciglio.
«Falle entrare!» disse
Ysgramor.
Ylgar chinò il capo e uscì
dalla casa, tornando con tre donne alte che portavano la spada al fianco.
Una aveva il viso segnato
dalle intemperie e i capelli pieni di fili bianchi e intrecciati in una coda
dietro alla schiena.
«Admirk, mio signore.» si
presentò, inginocchiandosi e chinando il capo, «Maestra-di-Guerra.»
«Le ho chiamate io,
padre,» rivelò Ylgar, «combatteranno per la nostra causa.»
«Per la causa di Atmora!»
lo corresse Ysgramor.
«Ma alzati, Admirk! Io non
sono un capo, ma un guerriero come te e non chiamarmi signore. Dimmi chi
conduci nella mia casa!» aggiunse.
Admirk si alzò e si girò
verso le due donne:
«Esse sono Froa e Grosta,
mie allieve e Sorelle-di-Scudo. Io le ho iniziate a danzare fra le spade.»
Ysgramor annuì.
«Sappiamo che tutti i
maestri d’ascia stanno costruendo navi pronte a salpare per Mereth.» disse
Admirk, «sappiamo che Ylgar ha chiamato la sua nave come la luce che brilla in
cielo, Darumzu, e Yngol come Harakk.
“Non siamo qui per il
desiderio di uccidere i mer, Ysgramor, ma perché la nostra gente muore di fame
e se alle nevi non segue il disgelo, vuol dire che una terra è condannata.
Ormai il cibo è un ricordo e non vediamo perché su Mereth non si possa vivere
in armonia noi e i mer.»
Ysgramor annuì:
«Lo stesso sentimento
anima me.» disse.
«Allora è deciso!» disse
Admirk, «noi verremo con te e io recluterò tutti gli studenti sotto il mio
comando e li farò imbarcare su una delle navi. Sono giovani e non si sono
ancora fatti un nome in battaglia, ma preferirebbero morire uccisi dai mer, che
rimanere qui.»
«È deciso.» disse
Ysgramor.
***
Capo Hsaarik, Mereth.
«Ancora adesso mi sembra
magia.» Jeek del Fiume guardò Ysgramor vergare leggeri segni runici su una
pergamena di pelle di pecora all’ombra di una lanterna ricavata da un corno.
La luce gettava delle
vaste ombre sul volto corrucciato dell’uomo.
Senza smettere di
scrivere, Ysgramor disse:
«Arriverà il tempo… in cui
tutti conosceranno… questa magia.»
Jeek annuì e strinse le
labbra.
«I guerrieri cominciano a
mormorare.» disse, infine.
«Ah sì?» domandò
distrattamente Ysgramor.
«Alcuni dicono che il loro
condottiero si sia fatto stregare dai malefici mer e che non voglia più
combattere: ma insomma, perché non ti fai vedere? L’esercito ne sarebbe
felice!» disse Jeek.
«Mio figlio Yngol è morto,
e questo lo sai. Quella tempesta che ci ha separati… la Harakk… l’ho vista
andare a picco! Lui e gli altri guerrieri… morti senza possibilità di fare
niente.» mormorò Ysgramor, frenando la penna.
«Non capisco,» Jeek
corrugò la fronte, «Yngol è stato ucciso dai Fantasmi che tormentano quel mare…
e tu… tu hai combattuto contro di loro e hai cercato di salvarlo… il suo corpo
è qui, su Mereth e…»
«E verrà tumulato domani.»
terminò Ysgramor per Jeek, «Ma sono tutte menzogne!»
«Ma… perché?»
«Per lasciarle ai
posteri!» il grande orso alzò la barba dal foglio, «Perché credi che me ne stia
rintanato qui a scrivere? È mio compito dare una storia alla nostra gente! È
mio compito edulcorare le cose in modo che una morte da topi per annegamento
venga cantata dai bardi come piena di gloria!»
«Edulcorare! Ma come
parli? Però ancora… non capisco.» ammise Jeek.
«La scrittura ha un doppio
taglio… come le spade. Si para col filo falso e si uccide col taglio forte. Io
sto facendo questo, per infondere coraggio nella nostra gente!»
«Ma cosa scriverai?»
domandò Jeek.
«Necessarie… bugie.» rispose Ysgramor.
Jeek chiuse gli occhi per
un momento e sospirò.
***
«Rintanati qui sotto,
negli animolocutori dwemer!» sbottò un mer delle nevi, osservando l’immagine
traslucida del Principe, evocata dalla magia.
«Quantomeno, Vyrl, quel
tuo ragazzo è morto.» aggiunse un altro.
Era stato Vyrl a trovare
il cadavere, all’ingresso dell’animolocutorio. Accanto, c’erano un arco e il
corpo di una femmina ayleide, vestita d’una complicata armatura.
Alle proteste di Vyrl, il
Capo Architetto Yagrom Mzahnch aveva risposto con un gesto vago, aggiungendo:
«Il ragazzo aveva perpetrato
un’effrazione nel nostro animolocutorio… una delle nostre macchine deve aver
cercato di fermarlo.»
Yagrom aveva detto di aver
rinvenuto numerosi resti di ragni meccanici e un centurione danneggiato.
«Il ragazzo gli aveva
sparato una freccia nello sfiatatoio.» aveva detto, con un sorriso, «Come se
una cosa del genere potesse fermare un centurione!»
Ora Vyrl e gli altri mer
delle nevi si trovavano a dover fronteggiare gli enormi eserciti umani,
alleandosi ai dwemer.
«Forse quel “mio ragazzo”
era l’ultimo nostro baluardo!» mormorò Vyrl, tremando dalla rabbia.
«L’ultimo nostro baluardo
sono le mura fortificate di Saarthal!» disse il Principe.
«Gli umani masticheranno
le mura e ce le risputeranno contro.» dichiarò Vyrl, «Ma ci sono fazioni tra
loro, come quella di Ysgramor, che scenderebbero volentieri a patti con noi.»
«Tradire la nostra causa?»
disse, allegro, il Principe.
«Non è la nostra causa!
Non c’è una nostra causa!» sbottò Vyrl, «Dobbiamo accettare le cose!»
«E quali sarebbero?»
domandò uno dei mer.
«Che gli uomini sono qui
per restare.»
«Allora, forse, quella dei
mer non è più la tua causa, Vyrl.» suggerì il Principe.
«Voi siete solo attaccati
a quel che c’è nei sotterranei di Saarthal.» li accusò Vyrl.
«Voi! Noi! Ti ascolti
quando parli?» chiese il Principe.
Vyrl guardò quell’immagine
traslucida e disse:
«Sì!»
***
«Sempre perso a scrivere e
disegnare, padre?»
Ylgar allargò le braccia e
sorrise, avanzando verso Ysgramor. Questi, chino su una pergamena, intinse la
penna in un piccolo calamaio.
«È quella sostanza che fa
quest’odore?» Ylgar indicò il calamaio.
Ysgramor annuì e, vergando
un’altra runa, disse: «Sono rami di biancospino, raccolti e fatti seccare in
primavera. La corteccia viene tritata e messa in acqua per otto giorni. poi si
bolle l’acqua fino a che non s’addensa e diventa nera, s’aggiunge il vino e si
lascia asciugare al sole in sacche speciali. Poi si mescola ancora con vino e
con sali di ferro.»
Ylgar alzò un sopracciglio
e si sedette sulla lunga panca della casa di Ysgramor.
«Admirk e gli studenti si
stanno guadagnando un nome in battaglia! I nostri capitani combattono con
valore e Jeek con la sua Jorrvaskr ha navigato fino…»
«E tuo padre rimane in
casa a scrivere! È questo che vuoi dire?» Ysgramor lasciò la penna. Per la
prima volta, i suoi occhi incrociarono quelli del figlio.
Ylgar sostenne lo sguardo
e scosse la testa, poi aprì le braccia:
«E mio fratello? Riposa
davvero in quel tumulo?»
«Tu che credi?» domandò
Ysgramor.
«A ciò che ho visto!»
«E cosa hai visto?»
«Che mio padre ha
sacrificato dozzine di bestie su quelle pietre.»
«Ed è ciò che è successo.»
dichiarò Ysgramor.
«Anch’io ho visto
qualcosa… Ylgar.» continuò l’uomo, «Mille e più navi sulle spiagge di Mereth e
innumerevoli guerrieri della nostra gente.»
«Darumzu, la tua nave, non
c’era.» aggiunse.
Ylgar deglutì e incrociò
le braccia:
«Quella tempesta! Ci ha…
separati dalla flotta… puoi dubitare del valore dei miei guerrieri?»
Finalmente Ysgramor si
alzò e lasciò cadere la penna:
«Non metto in dubbio né il
tuo, né il loro valore: è stata la tempesta… è ciò che ho scritto!»
Ylgar abbassò gli occhi:
«Cos’è tutto questo?»
chiese, allargando le braccia.
Il padre si sedette e
prese la penna:
«Politica.» disse.
***
«Abbiamo un migliaio di
uomini e cento Lingue.» Ysgramor saggiò il filo della spada e annusò l’aria
fredda.
Davanti a lui, le mura di
Saarthal sembravano ritagliate dal cielo bianco.
«Potrei usare contro di te
queste informazioni.» disse una figura ammantata, in piedi accanto a lui.
«Sei disgustato dalla tua
gente almeno quanto io lo sono da ciò che sto per fare, Vyrl.» disse Ysgramor.
«Forse…» il mer si sfiorò
il naso, «Hai parlato di “lingue”… in che senso?»
«Stai a guardare!» disse
Ysgramor, «Corri dietro di me.»
«Dove?» chiese Vyrl.
Ysgramor non rispose, ma
indicò una figura solitaria, dai capelli castani:
«Jeek del Fiume ha dato
l’ordine… ora le Lingue avanzano!»
In effetti, in un
turbinare di teste bionde ed elmi cornuti, parecchi guerrieri si misero a cuneo
e cominciarono a battere le asce sugli scudi. Dalle mura, i mer li guardavano.
Poi le Lingue (perché è
quello ciò che erano quegli uomini) si misero a correre, mantenendo la
formazione al suono di enormi tamburi.
Cento uomini vanno all’attacco di un portale senza
macchine d’assedio?, pensò Vyrl.
E perché sono muti?, si chiese.
In effetti le Lingue
correvano in silenzio, con le asce in pugno e le barbe ritte, ma mentre i loro
compagni (quelli fermi, nel grosso dell’esercito) li incitavano urlando e
cantando, le Lingue avanzavano in silenzio.
I mer tirarono su di loro
e qualche testa bionda sparì dai ranghi, poi fecero cadere un enorme macigno:
il cuneo ondeggiò.
Sembrava che i guerrieri
volessero sfondare le porte con quell’unica, terribile carica.
Poi, a un tratto, urlarono
tutti con una sola voce.
E le porte di Saarthal
furono divelte dai cardini, mentre le Lingue, riparandosi con gli scudi, passarono
sotto una tempesta di frecce.
«Che è successo?» domandò
Vyrl.
Ysgramor disse solo:
«Funziona!»
***
«Fra le rovine di
Saarthal… per la seconda volta…»
Ysgramor toccò la trave
annerita di quella che era stata la sua casa. Fece un sospiro.
I mer erano stati battuti.
Molti cadaveri punteggiavano le strade, coperti dall’ultima, tenace neve.
Il fumo dei bivacchi
s’involava in riccioli velenosi, appestando le narici e bruciando le gole.
«Il potere della Voce… non
credevo esistesse niente di simile.» Vyrl si avvicinò, rasentando un gruppo di
cadaveri allineati e pronti per i rituali di sepoltura.
Ysgramor non rispose, ma
guardò accigliato il mer e l’ascia che questi impugnava: era, in verità, una
scure (ossia col taglio parallelo al manico) bipenne; aveva l’altezza di un
uomo e la testa di metallo brunito, con un intaglio decorativo.
«È il viso di un mer quello?»
domandò Ysgramor, fissando l’intaglio.
«Un mer spaventato a
morte.» ammise Vyrl, tendendogli la scure.
«A che mi serve?» domandò
il condottiero.
«L’ho forgiata per te, con
le mie arti magiche.» disse Vyrl.
«Un’arma a due mani non la
porto in battaglia, mi impaccerebbe,» disse Ysgramor, «senza contare che scuri
così e spadoni non puoi metterteli semplicemente a tracolla e neanche in un
fodero: devi bilanciarteli sulle spalle e usarli con tanto spazio.»
«Ascolta, amico mio, hai
imparato a scrivere e hai usato le lettere per fare tutto questo, mi hai
insegnato il potere della politica, il valore dei simboli… ora… questa scure è
un simbolo: i tuoi atmorani adorano le armi grosse e impossibili da sollevare,
quindi brandiscila!» Vyrl gettò la scure ai piedi di Ysgramor.
«Voi uomini amate dare
nomi perfino alle nocciole degli scoiattoli, perciò ti suggerisco di darne uno
anche a lei.» aggiunse.
Ysgramor raccolse la scure
e sorrise:
«E scommetto che hai un
consiglio.» disse.
Vyrl ricambiò il sorriso:
«Wuuthrad!» disse,
cercando di pronunciare bene le parole in atmorano.
Il guerriero si accigliò e
poi, adagio, un’espressione sorniona gli apparve sul viso.
Soppesò la scure,
mormorando:
«Wuuthrad, la Macina
Elfi.»
Vyrl annuì e allargò le
braccia: «Vedi come suona bene?»
Ysgramor sorrise e scosse
la testa.
«E tu?» chiese, «Ho
sentito che te ne vai in giro con tunica e cappuccio, ammantato di uno strano
nome.»
«Oh, io sono Ahzidal, il
Distruttore Amareggiato.» dichiarò Vyrl, scimmiottando un tono solenne.
«Amareggiato da cosa?»
Per tutta risposta, Vyrl
chinò il capo:
«Ti racconto una storia:
al seguito della gente di Atmora viveva a Saarthal un giovane dotato di grande
talento magico, un giovane a cui ormai nessuno dei suoi aveva più nulla da
insegnare.
“Egli lasciò sua moglie e
i suoi figli e andò a studiare dai mer. Imparò in poco tempo cose che fra gli
atmorani gli avrebbero richiesto anni, secoli! Poi… fece ritorno a Saarthal,
solo per trovarla distrutta dai mer traditori: la sua famiglia era stata
spazzata via dalle spade. Allora il giovane vagò e vagò, studiando le arti dei
dwemer e degli ayleidi. Vagò fino a quando non s’ebbe notizia del ritorno del
leggendario Ysgramor e dei suoi figli… il resto lo sai.
«Quel ragazzo che studiava
con te!» esclamò il guerriero.
«Ho trovato il suo corpo
all’interno di un animolocutorio dwemer… e ora quel ragazzo sono io.» spiegò
Vyrl.
Ysgramor scosse la testa:
«Propaganda!»
«Già e ne avremo bisogno
contro il Principe delle Nevi.» ammise Vyrl.
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