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2. Bienvenida a casa!
La hachienda si
materializzò come un’aurora boreale bianca. Seth e Esmeralda stavano superando
un piccolo barrial quando videro le mura.
Era tutto stranamente
silenzioso, come se là dentro non si aspettassero un assalto di Don Manuel.
Seth mandò a mente la
grande casa colonica, gli alberi rinsecchiti con fiori color magnolia e il
piccolo campanile dipinto di bianco.
Giudicò la hacienda
costruita a modo dal punto di vista strategico. Sicuramente meglio della banca
di Abilene che aveva rapinato.
Poi vide i battenti del
portale divelti e sgranò gli occhi.
Entrarono adagio, sentendo
l’odore dolciastro di cadavere. I morti erano come masse scure sul terreno,
indistinguibili alla luce delle stelle.
Seth sentì che la vita
aveva abbandonato quel posto fino a nuovo ordine.
Non c’era niente.
I recinti del bestiame
erano vuoti e due grossi avvoltoi si stavano spartendo il cadavere di un
bracciante.
Poi Esmeralda cacciò un
urlo.
Si buttò giù da cavallo e
si mise a correre. Mentre correva, le lacrime le uscivano a dirotto dagli
occhi.
Seth vide un carro
rovesciato e un uomo crocifisso alla ruota. L’avevano scotennato: gli avevano
tolto la pelle del viso e del collo e l’avevano riempito di sale.
Seth smontò di sella e
afferrò il cavallo per le briglie. Camminò finché non raggiunse l’uomo.
Esmeralda gli dava le spalle: era inginocchiata e mormorava: «Padre!»
Seth le si avvicinò, si
inginocchiò e le cinse le spalle. Esmeralda si girò e nascose il volto
nell’incavo del braccio di lui.
Il cowboy colse un
movimento. La mano! la mano dell’uomo: le dita s’erano contratte. Si staccò
adagio da Esmeralda e accostò la guancia al petto dell’uomo. sentì, lieve, un
tum, tum. Dunque era vivo!
Si girò e andò al cavallo,
staccò la borraccia e la scosse: c’era poca acqua, ma c’era. Accostò la
borraccia alla bocca dell’uomo e versò qualche goccia.
Le palpebre, orribilmente
mutilate, fremettero, la bocca si aprì, leggermente. Poi Seth si ritrovò davanti
gli occhi neri come due olive d’un uomo che sta per morire.
Esmeralda, capito che suo
padre era vivo, scansò il cowboy e si mise davanti a lui.
«Padre!» le sue mani
avrebbero voluto carezzargli il viso e tremavano nell’impotenza. L’uomo, dalle
labbra ch’erano un’unica crosta di sangue, mormorò il nome di lei.
«Padre!» ripeté Esmeralda.
Gli occhi, già velati
nella morte, ebbero un fremito. L’uomo sospirò e disse:
«Fue Don Manuel ... mi
hermosa hija … »
Esmeralda avvicinò la
bocca a quella del padre.
«Esmeralda,» disse lui,
«en el galpon … fusil … »
Un’arma nel fienile: Seth
registrò l’informazione. Avrebbe voluto chiedere al moribondo se ci fossero dei
colpi, ma gli parve indelicato. Temeva che i bastardi che avevano fatto quello
scempio sarebbero tornati. Beh, lo avrebbero trovato pronto, fucile o no.
Seth guardò l’uomo morire
con il nome di Esmeralda sulle labbra, poi si alzò. La donna continuava a
piangere.
Seth disse: «Torneranno.»
Esmeralda lo guardò e non disse niente.
Lo seppellirono nel campo
dietro la casa: poche palate di terra e una croce coi raggi d’una ruota. Don
Alvaro Luna se ne andò così da questo mondo.
Seth aveva un fucile: era
una vecchia doppietta calibro dodici con dieci cartucce. Mentre la caricava,
vide qualcosa. Oltre il recinto della hacienda delle ombre colarono dal buio.
Un cavallo, lontano,
nitrì.
Eccoli, pensò Seth.
Corse da Esmeralda, tenendosi
basso. La donna era inginocchiata sulla tomba del padre e pregava. Pregava che
l’al di là avesse un po’ più di colore che il mondo d’ombre dove viviamo.
Seth la raggiunse:
«Là!» mormorò, indicando
la piccola torre campanaria. Esmeralda si irrigidì; gli occhi le si riempirono
di paura.
Seth la posò la mano
sinistra sulla spalla destra:
«Vamos.» disse.
Lei annuì e si lasciò
condurre. Salirono per una stretta scala, s’arrampicarono su un muretto merlato
e, da lì, dentro la minuscola torre.
Un uomo scavalcò il
recinto esterno e si accucciò. Un altro fece la stessa cosa. Si mossero come
ragni, facendo brevi corse e scivolando dietro gli abbeveratoi. Avevano o
fucili.
Uno dei due tornò
indietro, verso il portale divelto, si mise due dita in bocca e fece un breve
fischio.
Altri entrarono al galoppo. Quattro cavalieri.
Uno aveva una torcia in
pugno. La fiamma danzò sul naso a cui mancava la punta carnosa e sull’occhio
destro, ridotto a un bulbo grigio.
«Esteban!» mormorò
Esmeralda.
Esteban era un gigante di
sette piedi. Indossava una camicia bianca. Aveva al cinturone una pistola e un
coltello.
Benché il tono della voce
di Esmeralda non fosse stato più alto d’un fruscio, Esteban alzò il capo e si
guardò attorno.
Seth fece per alzarsi, ma
Esmeralda lo trattenne. Gli indicò la cisterna, oltre il corral e gli alloggi
dei braccianti.
Per arrivarci, il cowboy
avrebbe dovuto attraversare il cortile, arrampicarsi sul tetto dell’altro
edificio e da lì saltare sulla cisterna.
Annuì e si lasciò
scivolare giù dalla torre. Atterrò sul tetto della casa colonica con un rumore
di speroni.
Uno dei messicani alzò il
fucile.
Seth strisciò fino
all’orlo del tetto e si sporse. Il messicano era sotto di lui e si girava
cercando di capire da dove fosse arrivato il rumore.
Il gringo gli si lasciò
cadere addosso. Sentì una forte puzza d’aglio e di sudore emanate
dall’avversario. I due rotolarono a terra. Seth si trovò in breve col messicano
addosso e la doppietta in pugno. Mise l’arma di traverso e fece ruotare il
calcio. L’arma colpì il messicano alla base della mascella, strappandogli un
urlo.
«Allì!» urlò una voce
roca. Gli altri caballeros l’avevano
scoperto. Seth, seduto, puntò il calcio contro il terreno e armò uno dei due
cani. Il peon fece per urlare, poi la faccia gli esplose come un melone. Seth
sentì lo zing di una pallottola e un pezzo di silicato gli tagliò la guancia.
Rotolò a destra e armò il secondo cane. Gli parve di vedere una vecchia
conoscenza in sella: l’uomo col poncho bianco.
Il messicano spronò il cavallo
e, all’ultimo, si staccò dalla sella brandendo il pugnale. Seth sparò. La rosa
di pallini si aprì, investendo il messicano al braccio destro e a metà del
petto. Il poncho venne sforacchiato da decine di minuscole palle di piombo. Il
braccio si spaccò in una poltiglia sanguinolenta. L’uomo morse la terra, senza
nemmeno un gemito.
Seth montò in sella e si
tenne basso.
Avvertì un soffio tra i
capelli e vide lo stetson schizzare in avanti. Il cappello ora gli copriva la
visuale e il cavallo era lanciato al galoppo. Qualcuno doveva avergli sparato
alle spalle, mirando alto.
Spostò il cappello e vide
il muro bianco degli alloggi galoppargli incontro.
Sulla destra, si avvicinava
un morello con un cavaliere enorme: Esteban. Seth spronò il cavallo: era a un
paio di metri dal muro adesso.
Esteban puntò la sua sei-colpi.
E sparò.
Nel momento in cui Seth si
gettava sul fianco del cavallo. Il cowboy si lasciò andare e rotolò giù, a
terra. Stringeva ancora la doppietta. Sentì qualcosa scappargli dalle tasche
dei pantaloni e vide una cartuccia rotolare via.
Non aveva tempo per
questo. Saltò su un’aiuola e buttò il fucile oltre il parapetto merlato, prese
lo slancio e mise un piede sul davanzale di una finestra.
Un colpo sbrecciò il muro
a un palmo dalla sua mano. Seth si allungò, afferrò il parapetto e si issò.
Avvertì il rumore dello sparo e sentì come il morso d’un calabrone alla gamba
sinistra. Grugnì di dolore e si rotolò, afferrando la doppietta.
Da giù esplose la voce di
Esteban:
«Gringo estas muerto!» e poi, una risata.
Sentì dei rumori, di
sotto. Qualcuno si stava arrampicando. Aprì le culatte del fucile e cercò le
cartucce. Gliene scapparono tre dalle tasche. Ne afferrò una e fece per
inserirla. Poi vide la testa di un uomo far capolino dalle merlature del
soffitto. Seth snudò il coltello e pregò che la gamba reggesse. Poi si gettò
addosso all’uomo. sentì uno sparo. La camicia gli si appiccicò al corpo per lo
spostamento d’aria e una merlatura andò in frantumi. Alzò il coltello e menò un
affondo. Il messicano gli bloccò il polso. Seth gli sferrò un sinistro
all’orecchio, una testata. Il messicano lasciò la presa. Il gringo affondò il
coltello. La lama scivolò sotto la clavicola. E il messicano scivolò, morto,
nella notte.
Portandosi dietro il
fucile.
Dannazione.
Seth rimise il coltello
nel fodero e afferrò la doppietta, caricò due colpi e rimise in tasca il terzo.
Si tastò l’altra tasca, trovandola vuota. Nella colluttazione cinque degli otto
colpi rimasti dovevano essergli caduti.
La solita fortuna dei Corbin,
pensò, come ad Abilene.
«Caballeros!» sentì
Esteban gracchiare.
Seth vide la grossa sagoma
della cisterna verso est e vi si trascinò più rapidamente che poté. Le stelle
giocavano mandando riflessi sui rivetti di ferro.
La cisterna era di legno. Seth sperava fosse piena.
Arrivò all’orlo del tetto
e guardò avanti. Un paio di metri lo separavano dalla piattaforma della
cisterna. Un paio di metri e una gamba piena di piombo.
Ma forse, ci sarebbe
riuscito anche da lì.
Sentì dei rumori alle
spalle e fece un calcolo: dovevano esserci tre uomini in forze là sotto,
compreso il gigante sfigurato.
Se fosse riuscito ad
attirarli sotto la cisterna avrebbe potuto riversar loro addosso litri e litri
d’acqua.
Si fece vedere oltre
l’orlo e sentì uno sparo. Individuò un cavaliere dalla vampa della sua pistola.
Un altro uomo, sulla
destra, stava incendiando un carro con una torcia. il terzo, sempre a cavallo,
aveva sfondato l’ingresso agli alloggi dei braccianti.
Il fuoco divampò sull’erba
secca. Divampò sul legno riarso dal sole. Si levò in fiamme alte. E con esso,
un grido: «No!»
«Esmeralda!» disse Seth.
Anche Esteban la udì; il gigante fece voltare il morello e trottò verso il
campanile.
Seth si morse il labbro,
imprecò, si girò verso la cisterna, armò entrambi i cani e fece partire due
colpi in successione. Schegge di legno volarono come lapilli.
Seth caricò l’ultima
cartuccia, chiuse la culatta e armò il cane. Si trascinò verso l’orlo opposto
del tetto.
Una sagoma enorme si stava
arrampicando sulla casa colonica. Il gringo imprecò: Esteban era troppo lontano
per venir centrato dalla rosa di pallini.
Seth sospettava che, se si
fosse lasciato cadere nel corral, si sarebbe rotto la gamba. Perciò urlò,
rischiando di attirare l’attenzione degli altri due caballeros.
Esteban si issò sul tetto
della casa e si girò verso di lui, puntò la pistola e sparò.
«Mancato!» disse Seth. Per
un soffio.
Scorse un balenio
d’acciaio alla sinistra del gigante. Esmeralda! S’era calata dal piccolo
campanile e aveva alzato il coltello verso il suo aguzzino.
Seth non poteva colpire
Esteban, ma almeno poteva distrarlo. Mentre la donna calava il pugnale, egli
sparò. Il gigante girò la testa, esitando per una frazione di secondo.
La lama del coltello gli
entrò nello stomaco. Esteban urlò come un demone d’inferno. Si strappò il
coltello dal ventre, fece un passo indietro, inciampò sulla merlatura.
E cadde nel vuoto.
Poi, ci fu un tuono. Come
un rombo sommesso, come mille zoccoli d’una mandria di cavalli.
Uno degli uomini di Don Manuel
uscì dagli alloggi dei braccianti gridando qualcosa.
L’altro fece impennare il
cavallo e partì al galoppo.
L’acqua lo intercettò a
mezza via, facendogli scivolare il cavallo da sotto l’arcione e gettandolo a
terra.
Esmeralda si lasciò cadere
dal tetto della casa. Seth la vide chinarsi a terra e rialzarsi subito dopo con
qualcosa in pugno.
La pistola di Esteban. Il
caballero ancora in sella fece per armare il fucile. Ma Esmeralda fu più
veloce. Il cavallo crollò sopra il cavaliere.
Esmeralda si avvicinò, urlando. Sparò alla bestia,
agonizzante. Poi puntò e sparò al messicano.... continua
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