Ysgramor incrociò le
braccia e alzò la testa.
C’era qualcosa di
magnifico nella sfera. La sua perfezione, prima di tutto: mai nessun artigiano
sarebbe riuscito a riprodurla.
Era un globo, una specie
di occhio gigantesco sospeso in aria e pulsante di luce.
Lo sguardo dell’uomo si
posò sulla superficie liscia, color del mare, dove apparivano e svanivano
disegni di suoni, “segni”, come erano conosciuti fra i mer.
Pure l’oggetto aveva dei
rinforzi scuri, simili a strisce di metallo, che seguivano percorsi regolari e
bizzarri al tempo stesso.
«Un uomo ci potrebbe
entrare benissimo.» commentò Ylgar.
«Guarda quei segni!» fece
Yngol.
«Questo è un grande
potere…» disse il loro padre, stringendo gli occhi, «un potere che non
comprendiamo.»
«Dici che è sventura?»
domandò Yngol, girandosi verso Ysgramor.
«È al di là della
sventura, figlio.»
«Io non smetterei di
costruire la città solo per questa sfera azzurrognola.» commentò Ylgar.
«Non si potrebbe nemmeno a
volerlo.» fece Ysgramor, «la nostra gente ha smontato le navi per costruire
case: da qui a Capo Hsaarik è tutto portare legna, martellare, erigere muri.
No! Si rivolterebbero se gli dicessimo di lasciare Saarthal.»
«Rivoltarsi contro di noi?
E da quando siamo i loro capi?» domandò Ylgar.
«Non lo siamo, nessuno
l’ha detto, eppure si fidano e rispettano ogni nostra parola, ogni nostro
giudizio.»
«Credo tu abbia ragione,
padre.» disse Yngol.
«Certo che ho ragione! Ma
tuo fratello qui, non lo ammetterà mai.» Ysgramor scoppiò a ridere, fissando il
minore dei suoi figli, Ylgar, in tralice.
Poi riprese:
«Questa sfera mi ha dato
un’idea.»
«Sarei onorato di sentirla.»
disse Yngol.
Ysgramor annuì: «I segni
mi ricordano molto quelli dei mer. Ora, i mer hanno un’arma che noi non
abbiamo: disegnano i suoni.»
«Ma è una cosa terribile!»
protestò il figlio maggiore.
«Non c’è niente di
terribile, tutt’altro!» disse il padre.
«Uno di loro ha disegnato
il mio nome.» ammise Ylgar. Yngol rabbrividì: «Ora ha un potere su di te…»
«Smettila!» s’intromise
Ysgramor, «Il nome di Ylgar verrà ricordato fra molti anni, mentre i nostri si
perderanno con la rovina di Saarthal.»
«Padre, la città non è
ancora sorta e tu già la vedi in rovina?» obiettò Yngol.
«Sto parlando di qualcosa
di più grande di una città, qualcosa di più forte di un’ascia e più veloce di
una nave, qualcosa che viaggi e vada dove noi non possiamo.» Ysgramor si perse
con lo sguardo dentro la sfera.
«Ricordi i suoni del tuo
nome, Ylgar?»
«Sì, padre.»
«Allora usciamo di qui: ho
bisogno di sentire l’aria del mare.» disse Ysgramor.
Così volsero le spalle
alla sfera e percorsero i cunicoli gocciolanti d’umidità, mentre le loro torce
strappavano i ragni al buio e gli skeever al sonno.
«Guardate quella luce
lassù nella notte. È Harakk, figli miei.» Ysgramor puntò una stella.
«Alcuni non credevano
potessimo vederla dall’altra parte del Mar dei Fantasmi.» commentò Yngol.
Il padre annuì: «I segni
dei mer hanno il potere di Harakk e di Darumzu,» disse, «ora guardate! Guarda
Ylgar, sulla sabbia…»
Sguainò la spada e tracciò
dei segni per terra: «Ora, guarda!» disse, quand’ebbe finito.
Il figlio minore, adagio,
disse: «Y-l-gar. Ylgar. È il mio nome!» fece, stupito.
Ysgramor annuì e rinfoderò
la spada.
«Non credevo che fosse
ancora in me…» commentò il ragazzo.
«Incidi questi segni sulla
pietra, figlio, e il tuo nome verrà ricordato anche alla morte delle luci nel
cielo!»
«Uhm, delle luci nel cielo
non so, ma di Saarthal di sicuro!» commentò Ylgar.
Poi rimasero in silenzio,
guardando i fuochi della piccola, buia città.
* * *
«Rharlok?»
Ysgramor scosse la testa e
fissò la spiaggia rocciosa di Capo Hsaarik diluirsi con la bruma che veniva dal
mare.
Davanti a lui, la
creatura, Vyrl, sorrise con gli occhi bianchi.
«Vi attaccheremo, Ysgramor
di Atmora: io ho orecchie per sentire. Niente contro di te, anzi, ti considero
quel che voi dite “amiaoc”, ma credimi, i mer vi attaccheranno.»
«È “amico”.» disse l’uomo,
ridendo per l’imprecisione di Vyrl.
«Siete strani,» disse il
mer delle nevi, «la vostra vita si consuma nel giro di pochi cicli e non sapete
scrivere, né leggere, eppure avete una grande arma.»
«Quale?» chiese Ysgramor,
accigliandosi.
«I figli! Ne fate molti e
rapidamente.» Vyrl spalancò le braccia pallide e sorrise, «E avete un desiderio
di conoscenza incredibile! Prendi quel ragazzo, quello che mi sta sempre
appresso e che vuole apprendere la magia: nessun mer ha una volontà così
forte.»
«Effimeri e potenti.»
commentò Ysgramor, incrociando le braccia e annuendo.
«Gli altri mer usano
“pericolosi” al posto di “potenti”.» disse Vyrl.
«Ed è questa la ragione
per cui ci attaccheranno?
“Rharlok non si lascia
convincere: dice che abbiamo sempre avuto buoni rapporti con voi e che non
bisogna guastarli; Saarthal senza il commercio coi mer è destinata a sparire.
«Rharlok è stupido: Saarthal
svanirà se attaccheremo.»
«Io ti ringrazio, ma non
posso far altro che parlargli di nuovo e avvertire chi ha intenzione
d’ascoltarmi.» replicò l’uomo.
«Credevo fossi una specie
di capo…» commentò Vyrl.
«Ce ne sono molti di
“specie di capi” fra la mia gente. Diciamo che io sono un po’ più “capo” degli
altri, ma se qualcuno come Rharlok si oppone… non mi resta granché da fare.»
Rimasero in silenzio,
l’uomo a osservare le forme della nebbia e il mer ad annusare l’aria con le sue
narici a taglio.
«Quasi dimenticavo!» fece
Vyrl, a un tratto, «Di quel tuo progetto…»
«Vorremmo disegnare i
suoni.» dichiarò Ysgramor.
«Scrivere.» fece il mer delle nevi. L’uomo annuì.
Vyrl si lanciò con un
salto e atterrò vicino all’amico:
«I segni sono importanti e
possono essere incisi sul legno, sulla pietra, sul ferro o disegnati su pelli
di capra per esempio.» disse.
«Ogni segno può
corrispondere a un singolo suono, privo di significato, come nel nostro caso,
oppure, a ciascun segno può corrispondere una parola che esprime un determinato
concetto. Ora vieni, andiamo a fare lezione.»
«Sulla spiaggia?» domandò
Ysgramor.
Vyrl sorrise: «Certo! È la
nostra aula da sempre…»
* * *
«Sveglia!»
La grande mano di Ysgramor
scosse il biondo Ylgar. Nella casa, c’era odore di fumo e ombre lunghe danzavano
sulle pareti.
«Padre…» il bruno Yngol
gettò di lato la coperta e scese dal letto: aveva già indosso l’armatura e
impugnava un’ascia da battaglia.
Ysgramor si girò verso il
figlio maggiore e annuì, poi continuò a scuotere Ylgar.
«Padre?» il giovane aprì
un occhio e sbuffò, guardò l’espressione grave del gigantesco uomo barbuto che
sedeva sul suo letto e chiese:
«Attaccano?»
Ysgramor annuì: «Già sento
urla e clangore di spade.» disse.
Ylgar annusò l’aria: «E
puzza di fumo.» disse, «Stanno incendiando Saarthal!»
Yngol afferrò il suo elmo
da battaglia e se lo mise in testa, poi staccò lo scudo dalla parete.
Il fratello saltò giù dal
letto e cominciò a infilarsi l’armatura.
La porta si aprì:
«Ysgramor!» un uomo in
lacrime, col viso acceso dalla luce e dalle ombre d’una torcia, stava sulla
soglia.
L’armatura e il martello
di Rharlok erano sporchi di sangue.
«Stanno attaccando!»
gemette l’uomo e, scuotendo la testa, chiese: «Perché?»
Poi crollò in avanti,
sbattendo violentemente contro l’assito. Dalla nuca sporgeva l’asta di una
freccia.
Ysgramor imbracciò lo
scudo e sguainò la spada. Ylgar si allacciò una faretra e staccò il suo arco
dal muro.
«Usciamo!» disse.
Ysgramor scavalcò Rharlok.
Il mondo esterno era fatto di buio, di … era fatto di spade e urla.
Ombre s’accavallavano su
ombre.
Urla e sussurri nella
lingua dei mer.
Una lancia rimbalzò contro
lo scudo di Ysgramor. L’uomo si spostò di lato, alzò e abbassò la spada. Il
ferro tagliò la carne bianca del mer e gli strappò un grido.
Dietro di lui, Ylgar
scaricò l’arco e incoccò un’altra freccia.
Un mer cadde, stringendosi
la gola.
Un altissimo e pallido
guerriero sfondò, col proprio cavallo, una casa e ne uscì, appiccandovi il
fuoco.
Una donna mer, mulinando
due spade, decapitò un uomo.
Yngol corse e impattò con
lo scudo contro lo scudo di un nemico. Il fragore fu assordante.
Il figlio di Ysgramor
fissò gli occhi del mer, spinse col braccio sinistro e, sfruttando il peso
maggiore e i muscoli forti, sbilanciò l’avversario. La sua ascia si alzò e si
abbassò, spaccando l’elmo e l’osso etmoidale del mer.
Una freccia vibrò sull’architrave
della porta. Ysgramor alzò gli occhi e si riparò dietro lo scudo.
«Sou tam Welkynd!» un urlo
in lingua mer, da un cavaliere che impugnava un grande arco.
“È il vostro tramonto,
figli del cielo!”
Ysgramor vide la
resistenza umana sbaragliata, vide femmine e maschi mer accanirsi sugli uomini
e sulle donne di Saarthal.
Molte case erano in
fiamme. E colonne di fumo viscido appestavano il buio.
Colui che aveva urlato
scivolò di sella: una freccia di Ylgar gli sporgeva dalla fronte.
Una spada colpì l’elmo di
Ysgramor. L’uomo ebbe un capogiro e si appoggiò allo stipite; col piede, spinse
la donna mer che lo aveva attaccato.
Quella gli sferrò un colpo
in diagonale, che Ysgramor parò col taglio della spada. Un altro colpo gli fece
vibrare lo scudo e un terzo gli graffiò il pettorale di ferro.
L’uomo si chiuse come una
testuggine, colpendo la mer al fianco col bordo dello scudo. Sopra l’orlo di
quella protezione, erano visibili i suoi occhi azzurri. Un rivolo di sudore
scivolò sotto il paraguance.
La mer lo costrinse a fare
due passi indietro e a parare con la spada. Il guanto di ferro gli salvò
l’indice e il medio dai morsi del metallo nemico.
La mer diede una
sforbiciata con entrambe le spade (Ysgramor alzò lo scudo) e fece una piroetta.
La punta di una delle lame tagliò la carne sotto lo zigomo del guerriero e gli
provocò un dolore elettrico, improvviso. L’occhio cominciò a lacrimare e un
fastidioso prurito gli esplose nel naso.
Ysgramor abbassò la testa
e colpì l’elmo della mer; vide un varco nella guardia e affondò la spada.
Il ferro sfondò l’armatura
color ebano, penetrando tra due piastre a forma di foglia. La spada trasmise al
braccio le vibrazioni convulse del corpo ferito. Sulla bocca della mer apparve
uno sbaffo di sangue.
La donna sorrise; gli
occhi le rotearono verso l’alto. Ysgramor lasciò cadere quel corpo rigido e
caricò un alto mer. Il guerriero nemico parò, alzando l’elsa di taglio al viso,
e mettendo la punta in basso, poi aprì una mano e la appoggiò al petto
dell’uomo.
Ci fu uno scoppio.
Ysgramor sentì un’ondata
di gelo mordergli la carne e una forza invisibile spingerlo a terra.
Un guerriero di Saarthal
corse, brandendo un’ascia a due mani: il mer gli scagliò un dardo di gelo e
l’uomo cadde.
Ysgramor si rialzò e
scosse la testa violentemente.
Vide suo figlio Yngol
gettarsi contro il mer. L’ascia del giovane bruno incontrò la spada; il mer gli
diede un pugno in faccia aiutandosi con l’elsa e Yngol si sbilanciò, aprendo la
guardia.
Ylgar – aveva appena
scaricato l’arco – incoccò un’altra freccia e sparò quasi alla cieca. Il mer
ebbe un sussulto: la freccia s’era infilata tra le maglie della corazza ed era
ferma allo strato di cuoio.
Urlando, un guerriero
nemico si gettò addosso a Ylgar. Il giovane parò con l’arco e sferrò un pugno
sul fianco al mer. la creatura, cercando di riprendere fiato, fece un passo
indietro. Il figlio di Ysgramor gettò l’arco e sguainò la spada.
Il mer tornò all’attacco:
le due lame s’incrociarono. Poi Ylgar spinse indietro l’avversario, alzò la
spada e l’abbatté in un arco.
Il ferro recise la pelle,
le arterie e le ossa. In uno spruzzo di sangue, la testa bianca del mer venne
via.
Ovunque attorno a Yngol e
al suo avversario danzavano le fiamme.
Il giovane sanguinava da
una ferita al braccio: il tricipite destro era squarciato. Yngol parò una
raffica di colpi, quindi sferrò un calcio agli stinchi del mer. sbilanciato,
l’avversario barcollò e, ruggendo, il guerriero lo abbatté con un colpo di
scudo.
Già Ysgramor aveva sentito
l’urlo, terribile, farsi strada nella sua testa e ora, ora che no c’erano più
nemici attorno, esso risuonò come una tempesta:
«Le navi bruciano!»
«Yngol! Ylgar!» il
guerriero chiamò i figli.
«Dobbiamo raggiungere la
spiaggia!»
Ylgar annuì e recuperò uno
scudo.
«Yngol!» Ysgramor chiamò
suo figlio.
«La città brucia, padre…»
disse il giovane guerriero scrutando l’orizzonte in fiamme.
«Ne arrivano altri!» urlò
il fratello biondo, facendosi sentire sopra il ruggito del fuoco.
«Di là!» Ysgramor indicò
un varco tra due case con la spada.
I tre si mossero.
Raggiunsero le case e
scivolarono nel passaggio. Videro un’ombra agitarsi nel buio. Ysgramor allargò
le braccia e fece fermare i figli.
«Uno dei nostri.» disse. Camminò
adagio sino all’uomo. Una lancia lo inchiodava alla parete e gli faceva
sgocciolare via la vita dal corpo, piano piano.
Gli occhi dell’uomo
fissarono il viso barbuto dell’enorme guerriero; la sua bocca s’aprì e disse:
«Vendetta!»
«Vendetta, fratello!»
mormorò Ysgramor, poi il suo sguardo spaziò in cielo:
«Presto!» disse, «Dobbiamo
trovare una nave intatta, poi seguiremo le stelle fino ad Atmora.»
«Atmora, casa.» disse
Yngol, con nostalgia.
«È questa casa nostra,
figlio.» ribatté Ysgramor.
«Andiamo! Li sento! Arrivano!»
mormorò Ylgar.
Suo padre lanciò un ultimo
sguardo alle fiamme, alle case, a quella città che gli uomini venuti dal mare
avevano costruito con la fatica e il legno delle loro navi,
poi
rinsaldò la presa sulla spada e fronteggiò il buio.... continua con Ahzidal
Se avete giocato a Skyrim avrete sentito parlare di Ysgramor.
RispondiEliminaYsgramor di qua, Ysgramor di là. Nel gioco non lo vedrete mai - non credo, almeno - perché è vissuto cinquemila anni prima dei fatti giocabili in "Skyrim".
Qui c'è un pezzo della sua storia e della primissima colonia umana su Skyrim, allora popolata solo dai "mer", ovvero, gli elfi.
Saludos!
Nel gioco lo vedi, lo vedi.
EliminaMi fido mi fido ;) è che sono ancora al Bastone di Magnus, figurati!
EliminaMi sono detto: "Magari con i tre asterischi * * * il testo si legge meglio!"
RispondiElimina:)