domenica 25 settembre 2011

Scena assurda

«Comincerò a pregare cinque volte al giorno, pregherò il Profeta. Volevo un po’ di intimità, di spazio e mi ritrovo qui dove non c’è niente. Sono di Bombay e lì viviamo in cinque o più persone in appartamenti piccoli; spesso non si ha l’intimità di stare insieme. Alcuni allora vanno in spiaggia, non per il mare, ma per stare da soli o con la ragazza.» l’indiano alzò un gigantesco trapano da ghiaccio e lo mise in posizione.
«Ora mi ritrovo qui. È Allah che mi punisce.»
«Non sei da solo, ci sono altre famiglie indù.» disse l’europeo dai capelli biondi.
«Miscredenti! Sono l’unico fedele nei dintorni, e non c’è neanche una moschea! Dimmi, come faccio? Eh? Come?»
«Io sono islamico, lo sai bene Patak.» disse un terzo uomo, basso e dai tratti asiatici.
«Da dove vieni?» gli chiese l’europeo.
«Dal Mindanao.» disse l’asiatico.
L’indiano scosse la testa prima di parlare. «Ecco, appunto, è quello il tuo problema; non sei di Bombay.»
«Boh. Non dovresti selezionare così i tuoi amici, Patak, rimarrai senza, specialmente in un posto del genere.» l’europeo indicò l’enorme fiume di ghiaccio spazzato dal vento.
L’indiano azionò il trapano, forando la superficie ghiacciata. Praticò un buco grande quanto un pugno e tolse il trapano.
«Che facevi a Bombay?» gli domandò l’asiatico.
«Beh, ricerche di mercato su un integratore per problemi alla prostata. Ecco, chiamavo i clienti e mi accertavo che, una volta preso il nostro integratore, riuscissero a pisciare e a scopare. Passami la lenza, Mutalib.»
L’asiatico prese la lenza e gliela passò.
«E voi non pescate?» chiese Patak.
«È l’ora della preghiera.» si scusò Mutalib. «Dovresti pregare anche tu, visto che vuoi fare il buon mussulmano.»
«Io,» disse l’europeo, «faccio la sentinella.»
«La sentinella?» Patak lo guardò stupito.
«Contro gli orsi polari.» rispose l’europeo.
L’altro allargò le braccia. «Ma qui non ci sono orsi polari!»
«Beh, intendevo gli orsi polari che vengono dalla luna.» replicò l’europeo.
«Ah, certo.» Patak annuì e immerse la lenza nel buco.
«Mi domando che intenzioni abbia il nostro datore di lavoro.» disse, corrugando la fronte.
«Boh. Vuole creare una corrida sul fiume ghiacciato.» disse l’europeo.
«È la “festa do boi”, una corsa che si fa coi tori e i bastoni.» spiegò Mutalib. «Dice che esserci dentro farà scordare alla gente il mutuo e le bollette, cose così.»
«Ma qui nessuno ha il mutuo o le bollette.» disse Patak. «Non c’è niente!»
«Credo parlasse dei turisti.» replicò Mutalib.
«Ma qui non ci sono turisti!» disse Patak.
L’europeo si chinò sulla sella della motoslitta ed estrasse un fucile. «Non sarei così pignolo.» disse all’indiano.
Mutalib guardò il fucile. «Orsi?»
«Nah. Quebecchesi.»
«Uomini o donne?»
«Boh. Gruppo misto.» rispose l’europeo; imbracciò il fucile e disse: «Li vedo uscire da quella macchia d’alberi… armati.»
«Che si disarmino! Sto pescando!» disse Patak.
«Non saprei.» disse Mutalib.
«Non sapresti cosa? Oh, cielo! Credo di aver lasciato il tè sul fuoco.» Patak si diede una manata sulla fronte.
«Ormai tutta la baracca starà bruciando.» disse Mutalib.
«Può darsi, con questo vento.» commentò l’europeo.
Patak diede uno strattone alla lenza. «Sapete come vanno le borse asiatiche?»
«Credo siano a picco.» disse l’europeo, sparando un colpo. La detonazione corse sul fiume ghiacciato e i quebecchesi si fermarono.
«Dovete andarvene!» urlò uno dei loro uomini, agitando un fucile da caccia.
«Cosa state facendo sul nostro fiume?» chiese una donna.
«Avete presente la marcia della morte dei celti? Che al tramonto andavano a capo Finisterre?» domandò l’europeo.
«No.» dissero i quebecchesi.
«Meglio, perché non è quel che stiamo facendo.»
«Ma, capo Finisterre non è sul cammino di Santiago?» chiese ancora la donna.
«Sì.» rispose l’europeo.
«Io ho fatto il cammino.» disse la donna.
«Anch’io, in due puntate.» replicò l’europeo.
Patak smise un attimo di pescare e guardò il biondo. «Questo non ce l’avevi detto.»
«Vi conosco da mezz’ora, non credo ce ne sia stato il tempo.»
«Eppure cambia tutto.» disse Patak. «Vero, Mutalib?»
L’asiatico non rispose; era girato e guardava qualcosa.
«Mutalib?» disse Patak.
«Oh, c’è un fuoco all’orizzonte, bello grosso. Credo tu abbia lasciato i fornelli accesi.» disse Mutalib.
«Ad ogni modo,» disse l’europeo, «abbiamo neutralizzato i quebecchesi, siamo tutti fratelli nel “cammino”, vero ragazzi? Non ci sparerete, spero.»
«Un attimo, ecco che arriva il pranzo!» Mutalib sorrise e si girò.
Lungo il fiume camminava un gatto trainando una slitta. Una mini-slitta. Il carico consisteva in tre contenitori di plastica verde. Il gatto era imbragato come un husky e aveva dei buffi campanellini al collo.
Era il gatto del pranzo.
Non sembrava felice di quella occupazione: pativa con dignità e stile.
Mutalib si accovacciò a terra e lo chiamò: «Gormitz! Qui, bello!»
«Non è un cane, stupido!» disse Patak.
Il filippino assunse un’aria meditabonda.
Il gatto lo guardò, si fermò, stette un momento a leccarsi la punta del naso, e proseguì.
«Gormitz.» disse l’europeo. «Il gatto si chiama… Gormitz.»
«Questo è il suo nome.» fece Patak, con un sorriso tutto indiano.
L’altro alzò un sopracciglio. «Gormitz.» disse.
Miao, fece il gatto.
Qualcuno si lamenterà per tale frase, dicendo che avrei dovuto scrivela così:
«Miao.» fece il gatto.
Mi additeranno come un negazionista dei diritti dei gatti in campo letterario; diranno che per me non hanno la stessa valenza discorsiva degli uomini; scriveranno un saggio sul fatto che io abbia usato la prima frase. Vedo già il titolo:
“Miao, fece il gatto: un’apartheid letteraria”.
Ebbene, onestamente non so proprio quale forma utilizzare; forse dovremmo chiederlo a Gormitz.
Meglio di no: non mentre lavora.
Potrebbe distrarsi e ribaltare la slitta e allora i pranzi verrebbero mischiati e nessuno più saprebbe qual è il proprio. Non che ci sia molta differenza; vedete, prima dell’inizio di questa storia, il capo di Patak, Mutalib e dell’europeo aveva vinto a carte, da un giapponese ubriaco, una grossa partita di “fugu”, pesce palla. Siccome Dominic, il capo di Patak, Mutalib e dell’europeo, non sapeva che diavolo farsene (in Quebec non ho mai visto nessuno mangiare il pesce palla) lo sbolognava quotidianamente ai suoi uomini.
C’era il pesce palla fritto, il pesce palla con gli aromi, il pesce palla e basta.
A colazione c’era pesce palla, a pranzo, pesce palla e a cena, pesce palla.
«Non ne posso più di mangiare quella roba!» sbottò Patak, guardando verso la slitta di Gormitz. «Oggi mi farò un bel pesce quebecchese affumicato, diamine!» disse, riprendendo a muovere la lenza.
«Che cos’è?» domandò l’europeo.
Mutalib fece una carezza a Gormitz e gli disse: «Bravo cane.» poi sganciò la slitta e prese il primo contenitore per Patak – il primo era sempre suo – poi prese il secondo per sé e infine diede il terzo all’europeo.
Gormitz miagolò e si leccò la punta del naso.
«Avrà fame.» disse l’europeo.
«Quella roba non la mangia di certo!» fece Patak, scuotendosi tutto. «Non è mica un gatto stupido!»
«Ma di che si tratta?» chiese l’europeo.
«È fugu: pesce palla.» disse Mutalib, prendendo dal contenitore un paio di bacchette.
«Velenoso?» domandò l’europeo.
Il filippino fece un’alzata di spalle. «A volte.» disse.
«Certo che è velenoso!» disse Patak. «Una volta ho cominciato a sentire un formicolio alle dita, che cavolo! Quel Dominic pretende che lo mangiamo ogni giorno!»
L’europeo alzò un sopracciglio. «Com’è che se n’è andato il mio predecessore?»
Tra Mutalib e Patak scese il silenzio.
Gormitz scosse i campanellini e miagolò.
Il filippino prese il contenitore dell’europeo. «Questo è per te, Oyven.» disse.
«Boh. E se muoio?» fece Oyven.
«Avanti! Non vorrai ascoltare quel vecchio gufo?»
«Boh. Forse hai ragione. Da’ qua.» disse l’europeo, prendendo il contenitore dalle mani di Mutalib.
«Nel caso lui muoia, tu sai fare la guardia agli orsi polari lunari?» domandò Patak al filippino.
Mutalib sorrise e guardò Oyven. «Per questo sei stato assunto?»
L’europeo annuì. «Faccio da sentinella contro gli orsi polari che vengono dalla Luna.»
«Sempre meglio di chiamare a casa la gente per vedere se ha fatto cilecca o meno con la moglie!» commentò Mutalib, sogghignando.
«Era un’occupazione dignitosa!» disse Patak, tirando su la lenza. «E comunque, i vostri quebecchesi agitano i pugni.» aggiunse.
Oyven si girò verso il gruppo di persone. Avevano imbracciato i fucili.
«Avete sparato a Bisteccone!» disse uno, prendendo la mira.
«E chi diavolo è?» fece Patak.
«Avete sparato al mio cane!» continuò l’uomo.
«Bisteccone?» disse Oyven.
«Che c’è biondino, sei sordo?» fece l’uomo.
Oyven alzò un sopracciglio e poi disse: «Bisteccone… »
«Cosa c’è che non va?» fece l’uomo; indossava una camicia di lana a quadri rossi, unta d’olio di pesce. «E comunque avete combinato un bel casino! Bisteccone era la star e voi l’avete fatto secco!»
«La star di cosa?» domandò Oyven.
«Beh, del remake di Zanna Bianca, no?» fece l’uomo.
«Fanno un remake di Zanna Bianca?» chiese, sottovoce, Oyven a Mutalib.
«Così pare.»
«Ah, e dove?»
«Qui.» il filippino indicò il punto dove si trovavano loro.
«Stiamo pescando sulla location del remake di Zanna Bianca?» domandò Oyven.
«Sissignore.» disse Mutalib.
«Un attimo!» urlò Patak. «Credo di aver preso qualcosa!» tirò la lenza e venne fuori una targa.
«È della Florida.» constatò Oyven.
«Che cavolo!» Patak diede un calcio in aria.
«Interessante, pescare una targa della Florida.» disse Mutalib.
«Boh. Non saprei.» fece Oyven. «Tutti pescano targhe della Florida nei fiumi ghiacciati.»
«Già.» disse Mutalib, dopo un attimo.
«Al diavolo la targa! Io vi faccio un buco in testa!» urlò il quebecchese con la camicia a quadri.
«Boh. Vediamo.» disse Oyven.
«Vediamo? E cosa?»
«Boh. Possiamo far fare Zanna Bianca a Gormitz.» l’europeo indicò il gatto.
«Impossibile!» esclamò Patak. «Gormitz è il gatto del pranzo e non può andarsene in giro a fare Zanna Bianca!»
«Hey, invece il gatto farà Zanna Bianca!» ruggì l’uomo con la camicia a quadri. «Quel dannato produttore americano mi avrebbe pagato un sacco di soldi per Bisteccone e ora che voi l’avete fatto fuori, è giusto che il vostro cavolo di gatto ne prenda il posto… ovviamente i soldi li terrò io.»
«Ho già detto che Gormitz non può essere rimosso dalla mansione di gatto del pranzo.» fece Patak.
Mutalib si avvicinò a Oyven e sottovoce gli disse: «Riusciamo a fuggire con la motoslitta?»
L’altro si passò una mano sul mento ispido. «Boh. Ha più cavalli il mio rasoio.» rispose.
Mutalib lo guardò. «Ti sei fatto la barba stamattina? Anzi, non dirmelo… è meglio.»

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