giovedì 25 settembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 3




 
Il polpo si era lasciato cadere mollemente sui tentacoli, sdrucciolando lungo la parete. Aveva evitato la tana della polpessa e puntava per il fondale sabbioso, appena illuminato dagli ultimi raggi del sole. Era un tipo cauto e non faceva che cambiare colore. Si adattava ai toni dei coralli rapidamente, stava fermo per un po’, per assicurarsi che nessuno facesse caso a lui, e riprendeva a scendere. Sapeva dell’aragosta dalla grande corazza, ma non la giudicava un obiettivo fattibile, non per il momento. E poi quella viveva sulle rocce, fra i coralli, nella sua tana piccola piccola.
In quattro anni, il polpo più volte aveva osservato un fenomeno interessante. Sul fondo, in mezzo a una distesa deserta di sabbia, c’erano due enormi rocce. Erano cadute lì da chissà quanto – per il polpo c’erano sempre state – e avevano la superficie coperta da piccoli buchi senza uscita. Le aragoste più piccole le usavano come tana. C’erano famiglie intere di crostacei che vivevano lì. Il polpo si lasciò cadere e scese al livello del fondale. Esplorò per un po’ i dintorni e poi si nascose fra le due rocce. In mezzo, c’era una vasta distesa di sabbia. Il polpo aspettò fino e ben oltre il limite del suo orario di caccia. Rimase lì e vide, da sotto la sabbia, i raggi del sole che adagio adagio svanivano, per relegare gli abissi nel buio profondo.

martedì 23 settembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 2




Lo squalo avvertì un tremito involontario dal suo piccolo pilota all’avvicinarsi di una lampuga. Questa era un pesce predatore, simile a una specie di piccolo tonno e molto vorace. Quell’esemplare era lungo due metri e, come lo squalo, era femmina. Il corpo era lungo, compresso ai fianchi, con la parte frontale sporgente e simile a una mano chiusa a pugno. Ce n’erano molte come essa e nuotavano in branco sull’orlo della barriera. Erano arrivate da qualche giorno e avevano messo in allerta i pesci pilota. Lo squalo scivolò di fianco a un pesce pappagallo talmente addormentato e ben nascosto, da essere ricoperto da una pellicola di muco, risalì l’orlo della barriera e planò di pancia in uno dei numerosi, piccoli canali. Proseguì lasciandosi sfiorare dai coralli e salendo di poco. Ora la pinna spuntava dall’acqua, mentre la pancia sdrucciolava sul fondo sabbioso. Doveva sicuramente esserci qualcosa lì nascosta: tanti squali giovani incrociavano in quelle acque giorno e notte, preferendo trenta centimetri di spazio alla profondità dell’orlo della barriera.

martedì 2 settembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 1




Il plancton galleggiava nell’acqua, trasportato dal movimento delle onde. Era una grande massa, composta da unità di varie dimensioni, l’una quasi totalmente dissimile dall’altra. C’erano i virus, i batteri – che si nutrivano decomponendo le altre forme di plancton – e poi le forme più grosse, come il mesoplancton, che poteva arrivare fino ai due centimetri di grandezza. Al limite del gruppo, il megaplancton – che poteva essere considerato plancton per il rotto della cuffia, una vera specie di bestioni che arrivavano fino ai due metri. Certe meduse rientravano in quel gruppo.
I batteri planctonici non erano alla base della catena alimentare del plancton, il fitoplancton sì. Il fitoplancton era composto per la maggior parte da alghe monocellulari che riuscivano a sintetizzare la materia organica attraverso la radiazione solare e certe sostante disciolte nell’acqua. Poi c’era lo zooplancton, composto per lo più da protozoi. Questi protozoi erano uno diverso dall’altro e si spostavano appena muovendo piccoli flagelli. Erano traslucidi e pulsanti, vibranti d’acqua e di vita. Si spostavano come una ricca massa sulla pellicola delle onde.