Che dire...
ah, qui non metto immagini: sono pigro e non ho voglia di cercarle e caricarle.
Non metto nemmeno hyperlink.
in Italia leggono in pochi - e questo è assodato dai vari sondaggi - e leggono stronzate.
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mercoledì 8 maggio 2019
De Re Letteratura italiana - pensiero
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venerdì 24 giugno 2016
Abbiamo? - articolo sui dialoghi
Ciao cari!
Avevo notato questa cosa da un po' di tempo e mi è saltata in mente di nuovo ieri, leggendo degli estratti da Amazon. Sui dialoghi.
Allora, magari forse forse magari passi per i personaggi americani stereotipati dai film, ma perché far dire a un personaggio italiano:
"Mi chiedo perché un fottutissimo analista della CIA debba... etc ect"?
Perché usare "fottuto" o "fottutissimo" o espressioni del genere? E non parlo di "parolacce" in senso generale, ma di termini che sentiamo quotidianamente nei film americani, tipo: "sei un fottuto stronzo". Vi pare che in Italia qualcuno direbbe mai "sei un fottuto stronzo" a qualcun'altro? Gli direbbe, invece: "Grandissimo cornuto" o "Figlio di troia" o "'A pucchiacchia 'e soreta". No?
mercoledì 28 gennaio 2015
Esemplare #131 - un racconto su wh40k
Esemplare #131 è ambientato nell'universo del wargame tridimensionale Warhammer 40.000.
Da Wikipedia:
Warhammer 40.000 (conosciuto anche come Warhammer 40K o semplicemente WH40K)
è un wargame tridimensionale futuristico, prodotto dalla inglese Games
Workshop. È incentrato su un'ambientazione futuristica che prende
ispirazione dal libro Fanteria dello spazio. Il gioco ruota intorno a
miniature in scala 1:65 cioè alte 28mm (originariamente erano in
20-25mm) prodotte dalla Citadel Miniatures, che rappresentano soldati,
creature e macchine da guerra. Il gioco richiede una basilare
comprensione della tattica delle piccole squadre e molta fortuna.
***
Lo Space
Marine si fermò davanti a una porta contrassegnata col numero centotrentuno.
Vicino, un uomo della guardia agitava il braccio, come se stesse richiamando un
gruppo di turisti.
«Mio
signore, sei l’Adeptus Astartes Marcus Astvan?»
L’uomo
sapeva già la risposta, ma l’Inquisizione dava molta importanza alla procedura.
«Affermativo.
Sono qui su ordine del mio capitolo.»
L’uomo
guardò l’armatura potenziata dell’altro, ancora dipinta del giallo dei Magli
Imperiali, e i simboli sugli spallacci contornati di rosso. Sul destro si
vedeva il pugno chiuso che dava il nome al capitolo; sul sinistro c’era una
freccia diretta verso l’alto con, all’interno, il numero tre in cifre romane.
Terza compagnia, squadra tattica, pensò l’uomo.
«Spero
ti piaccia il nero, perché dovrai ridipingere la tua armatura di quel colore. Avrai
probabilmente sentito di questo rituale della Deathwatch.» disse. «Sai cosa c’è
dietro la porta?»
Il
Marine non aveva apprezzato il tono, ma finse il contrario e fece un semplice gesto
di diniego.
«Il tuo
secondo battesimo del fuoco. Periodicamente dovrai superare prove come questa,
combattendo contro esemplari alieni di mondi perduti. Servirà a prepararti ad
affrontare qualsiasi xeno abbia la sfortuna di incontrare la tua squadra e il
volere dell’Imperatore. Dietro la porta, Marine, farai amicizia con l’esemplare centotrentuno. Non potrai uscire finché
non l’avrai ucciso o finché non sarai messo così male da non ricordarti il tuo
nome. Nell’ultimo caso, sarai curato e dovrai combatterlo di nuovo. Ti piacerà
sapere che nessuno è riuscito a sconfiggerlo al primo tentativo. Buona fortuna,
e che l’Imperatore ti aiuti.» prima di terminare, diede un pugno alla porta,
che cominciò ad aprirsi.
Astvan
osservò l’uomo, gli fece un ghigno dietro la maschera dell’elmo e disse: «Non
ho bisogno di fortuna: uscirò dalla stanza prima che tu abbia finito di fumare
il tuo bastoncino-lho.»
«Scommettiamo?»
disse l’altro e, per tutta risposta, tirò fuori la sigaretta del quarantunesimo
millennio: un cilindro di carta contenente una sostanza derivata da piante
aromatiche.
Nell’istante
in cui la porta chiuse dentro Astvan, un vox da parete attirò l’attenzione dell’uomo.
«Calavera, non farlo entrare: test rinviato. Il Marine ci serve subito!»
L’uomo riconobbe
la voce del capitano Raven e, con timore, gli rispose: «Mi dispiace,
signore, è troppo tardi.»
lunedì 1 dicembre 2014
Come m**chia si scrive? - articolo sulla formattazione di stile del testo
Questa è una schermata del computer Olivetti M24. Non ridete sull'M24 e non mi spaccate il c*zzo, perché è stato il mio primo computer e ci sono affezionato. I primi racconti li ho scritti là sopra. E l'Olivetti era una grande azienda; era all'avanguardia ed era italiana - un tempo.
Ad ogni modo.
Ho deciso di scrivere questo articolo perché ho notato che molti non conoscono il corretto uso del corsivo, dei numeri e le trattino e lineetta nei testi letterari.
Leggete bene, adagio e più volte.
venerdì 28 novembre 2014
Plancton - racconto a puntate - 6 - epilogo
![]() |
The Blue Marlin Leaping To Eat - Terry Fox |
... precedente
Schizzò acqua e mancò il pesce. La grossa femmina s’inabissò
e fece un paio di giri. Il morso di prova era andato a vuoto e non le aveva
fatto capire che cavolo di bestia fosse quella. Lo squalo si sentiva nervoso e
i suoi canali di muco vibravano in continuazione sotto la pelle grigia. Con la
manovrabilità di un caccia, virò e tornò a puntare il muso in alto. L’acqua le
sdrucciolò lungo i fianchi mentre prendeva velocità. Gli occhi si chiusero
dietro una membrana protettiva, mentre la bocca si apriva per il morso. Poi,
essa sentì sui denti una pelle scagliosa, che cercò di sbriciolare, e un morso
tremendo le strappò le branchie. Si sentì disorientata e cercò di spostarsi.
Qualcosa la tratteneva. Il coccodrillo le strappò la pinna pettorale sinistra o
e la sventrò. Utero e intestini uscirono assieme a una nuvola di merda e
sangue. La lucertola si fece colare in bocca un grosso pezzo di squalo, poi
ficcò la testa per controllare la situazione. Vide il corpo inabissarsi,
lasciandosi dietro una scia rossa, come fosse un aereo colpito.
giovedì 6 novembre 2014
Plancton - racconto a puntate - 5
... precedente
Era lungo appena un metro e il coccodrillo se lo girò
nell’acqua facilmente e gli strappò la testa. Lo squalo decapitato cercò di
fuggire e il coccodrillo se lo ingoiò intero. Distrusse così un bestione pigro
di due metri e un altro squalo nutrice di appena novanta centimetri. Poi si
lasciò scivolare in acque più alte. Navigò assieme ai pesci pappagallo e ai
pesci pilota. Spostò uno sparuto branco di squali pinna nera e si spinse nel
territorio dei rissosissimi grigi. Il coccodrillo si lasciò dietro parecchi
chili di merda accumulati negli intestini. Nuotò leggero, orinando nell’acqua e
spingendosi sull’orlo della barriera. Gli squali grigi cominciarono la loro
danza aggressiva. Le pinne pettorali del più grosso erano completamente
all’ingiù e la gobba da gatto era pronunciatissima. Destra, sinistra, sinistra,
destra… il coccodrillo li lasciò fare. Nuotava semisommerso, con la bocca
aperta e la speciale valvola chiusa a impedire che gli entrasse acqua in gola.
Il grigio attaccò nello stesso momento in cui il coccodrillo si ficcava sotto. Il
muso dello squalo stridette sui fianchi scagliosi del bestione. Il coccodrillo
si girò e staccò mezzo fianco al grigio.
lunedì 27 ottobre 2014
Plancton - racconto a puntate - 4
... precedente
Pochi centimetri d’acqua brillavano al primo sole sui dorsi
degli squali nutrice. Queste piccole bestie se ne stavano le une attaccate alle
altre, immerse nei canali vicinissimi alla costa e sulle spiagge, fra labirinti
di mangrovie e piante acquatiche.
Verso l’abisso, sull’orlo della barriera, un gruppo di
squali grigi piuttosto piccoli aveva fatto fuori una lampuga di due metri e se
ne stava spartendo la carne bianca, sfilacciosa. Tre di questi squali calarono
in picchiata lungo la parete, fino a raggiungere una bio-costruzione
multicolore di piccole canne pietrificate e ombrelli di funghi sottomarini.
Mentre gli squali se ne stavano lì a ciondolare, le loro ampolle di Lorenzini
captarono qualcosa. L’enorme femmina di squalo toro era uscita dalla tana, disturbata
dagli intrusi. Gli squali grigi non riuscivano a distinguerne la forma, coi
loro piccoli occhi dalla fessura verticale, ma sapevano che era lì e
esattamente a che distanza. Erano profondamente seccati. Il più grosso –
superava di poco il metro e mezzo – cominciò la danza d’allarme. Buttò le pinne
pettorali in basso, assunse una posa ingobbita e cominciò a nuotare
esageratamente da destra a sinistra e viceversa. Lo squalo toro prese a nuotare
in un modo più fluido, tenendo d’occhio il grigio. Scivolò via, lasciando il
campo ai tre grigi. Era una femmina grossa, certo, ma gli squali grigi, col
loro carattere particolarmente aggressivo, riuscivano spesso a intimidire
bestie ben più grandi.
giovedì 25 settembre 2014
Plancton - racconto a puntate - 3
... precedente
Il polpo si era lasciato cadere mollemente sui tentacoli,
sdrucciolando lungo la parete. Aveva evitato la tana della polpessa e puntava
per il fondale sabbioso, appena illuminato dagli ultimi raggi del sole. Era un
tipo cauto e non faceva che cambiare colore. Si adattava ai toni dei coralli rapidamente,
stava fermo per un po’, per assicurarsi che nessuno facesse caso a lui, e
riprendeva a scendere. Sapeva dell’aragosta dalla grande corazza, ma non la
giudicava un obiettivo fattibile, non per il momento. E poi quella viveva sulle
rocce, fra i coralli, nella sua tana piccola piccola.
In quattro anni, il polpo più volte aveva osservato un
fenomeno interessante. Sul fondo, in mezzo a una distesa deserta di sabbia,
c’erano due enormi rocce. Erano cadute lì da chissà quanto – per il polpo
c’erano sempre state – e avevano la superficie coperta da piccoli buchi senza
uscita. Le aragoste più piccole le usavano come tana. C’erano famiglie intere
di crostacei che vivevano lì. Il polpo si lasciò cadere e scese al livello del
fondale. Esplorò per un po’ i dintorni e poi si nascose fra le due rocce. In
mezzo, c’era una vasta distesa di sabbia. Il polpo aspettò fino e ben oltre il
limite del suo orario di caccia. Rimase lì e vide, da sotto la sabbia, i raggi
del sole che adagio adagio svanivano, per relegare gli abissi nel buio
profondo.
martedì 23 settembre 2014
Plancton - racconto a puntate - 2
... precedente
Lo squalo avvertì un tremito involontario dal suo piccolo
pilota all’avvicinarsi di una lampuga. Questa era un pesce predatore, simile a
una specie di piccolo tonno e molto vorace. Quell’esemplare era lungo due metri
e, come lo squalo, era femmina. Il corpo era lungo, compresso ai fianchi, con
la parte frontale sporgente e simile a una mano chiusa a pugno. Ce n’erano
molte come essa e nuotavano in branco sull’orlo della barriera. Erano arrivate
da qualche giorno e avevano messo in allerta i pesci pilota. Lo squalo scivolò
di fianco a un pesce pappagallo talmente addormentato e ben nascosto, da essere
ricoperto da una pellicola di muco, risalì l’orlo della barriera e planò di
pancia in uno dei numerosi, piccoli canali. Proseguì lasciandosi sfiorare dai
coralli e salendo di poco. Ora la pinna spuntava dall’acqua, mentre la pancia
sdrucciolava sul fondo sabbioso. Doveva sicuramente esserci qualcosa lì
nascosta: tanti squali giovani incrociavano in quelle acque giorno e notte,
preferendo trenta centimetri di spazio alla profondità dell’orlo della
barriera.
martedì 2 settembre 2014
Plancton - racconto a puntate - 1
Il plancton galleggiava nell’acqua, trasportato dal
movimento delle onde. Era una grande massa, composta da unità di varie
dimensioni, l’una quasi totalmente dissimile dall’altra. C’erano i virus, i
batteri – che si nutrivano decomponendo le altre forme di plancton – e poi le
forme più grosse, come il mesoplancton, che poteva arrivare fino ai due
centimetri di grandezza. Al limite del gruppo, il megaplancton – che poteva
essere considerato plancton per il rotto della cuffia, una vera specie di
bestioni che arrivavano fino ai due metri. Certe meduse rientravano in quel
gruppo.
I batteri planctonici non erano alla base della catena
alimentare del plancton, il fitoplancton sì. Il fitoplancton era composto per
la maggior parte da alghe monocellulari che riuscivano a sintetizzare la
materia organica attraverso la radiazione solare e certe sostante disciolte
nell’acqua. Poi c’era lo zooplancton, composto per lo più da protozoi. Questi protozoi
erano uno diverso dall’altro e si spostavano appena muovendo piccoli flagelli.
Erano traslucidi e pulsanti, vibranti d’acqua e di vita. Si spostavano come una
ricca massa sulla pellicola delle onde.martedì 1 luglio 2014
La solita storia - articolo
![]() |
"Ma quante ne so!" |
Tutte le storie mi sembrano uguali. Sono tutte derivative e
per una ci sono migliaia di storie sosia. L’eroe, il guerriero, l’eroina. Il
cowboy, l’investigatore, il personaggio storico, l’archeologo, l’avventuriero.
L’uomo innamorato della donna. Il killer. È sempre tutta la solita stessa
storia ed è difficilissimo, se non impossibile, uscire dallo schema. Certo, per
esempio, London ha scritto di Zanna Bianca, quindi ha dato la parte del
protagonista a un cane, ma nel cane noi possiamo benissimo identificarci e
dunque che cos’è Zanna Bianca se non un uomo travestito? Dunque come possiamo
far sì che una storia non sia la storia che tutti gli scrittori del mondo
scrivono?
martedì 11 febbraio 2014
Cavour - un racconto breve sul risorgimento
![]() |
"ma quante ne so!" |
Torino, 11 febbraio 1859.
Camillo Benso, conte di
Cavour, sedeva nel suo gabinetto, meditando ad alta voce sui libri contabili
del Regno.
«Servono soldi! Con la
guerra abbiamo accumulato un debito di un miliardo di lire, e gran parte di
questo denaro bisognerà restituirlo alla Gran Bretagna.»
Quando bussarono alla
porta, il Conte disse: «Entrate.» si tolse gli occhiali a pince-nez e passò due
dita sulle palpebre stanche.
«Conte, buonasera.» non
aveva bisogno d’essere annunciato l’uomo che entrò nel gabinetto di Cavour.
Aveva un paio di baffi lunghi e all’insù, un viso largo, dai tratti nanoidi e
due occhi piccoli, da faina. Il volto era incorniciato da una raggera di
capelli ondulati, tenuti assieme in una pettinatura rigida da chissà quale
pomata.
«Vostra Maestà, buonasera
a voi.»
«Facevate i conti?»
domandò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando
Tommaso di Savoia.
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martedì 4 febbraio 2014
Deadwood, 1885 - racconto western
![]() |
un bel disegno di TheGeef che rappresenta Al Swearengen, interpretato dall'attore Ian McShane nella fiction "Deadwood". Trovate l'originale qui. |
«Gesù Cristo, Percy! C’è
un uomo qui!» le urla di Caradog Pritcher svegliarono il vicesceriffo Percy
Withmore e gli fecero impugnare la pistola. Caradog era un duro minatore
gallese: non avrebbe mai urlato senza motivo, non a quel modo.
Percy scrutò la cella alla
luce della sua lampada ad olio. «Signor Pritcher?» chiamò, alzandosi.
Sentì qualcuno che
mugugnava qualcosa e si allarmò. «Signor Pritcher!» ripeté.
«Percy, brutto idiota!
Sbrigati e apri la cella.»
Il sospetto si fece strada
nel cervello del vice, mentre la lampada sgranocchiava le ombre.
«Signor Pritcher, non mi
prenda in giro.» azzardò Percy. «C’è un uomo, ti dico!» sbraitò l’altro. «Qui,
legato e imbavagliato, davanti a me.» aggiunse.
«E prima non c’era?» domandò
il vice. «Cristo Santo, Percy Withmore! Fammi uscire.» disse il gallese.
Ora, il vicesceriffo si
trovava davanti alla cella. La luce si posò sopra un uomo seduto su una sedia,
legato mani e piedi e imbavagliato. Un uomo vestito in maniera strana, con una
specie di tuta da minatore completamente arancione.
«Un negro.» disse Percy,
guardando il cranio lucido e scuro. L’uomo aveva gli occhi stretti per via
della luce e mugugnava qualcosa.
«Mi credi adesso?» domandò
Caradog. Percy deglutì e una goccia di sudore gli scivolò fra i peli della
barba. «Sarà meglio chiamare lo sceriffo.» disse.
«Ehi, bastardo! Non mi
lasciare con questo tizio! È apparso dal nulla, ti dico.» sbraitò il gallese.
Ma Percy Withmore si
precipitò fuori, con una mano sul cappello e la lampada in pugno gridando:
«Sceriffo!»
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lunedì 9 dicembre 2013
U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 4 - epilogo
Tre scheletri vestiti da frati.
Gli si avvicinarono, protendendo gli artigli. Poi, Burt
scorse i loro denti: gocciolavano di veleno nero. Huecuva!, pensò.
Sparò al primo col fucile. La pallottola si conficcò ai
piedi dello scheletro e gli innalzò attorno una gabbia di pietra. Il secondo huecuva colpì il Remington con
l’artiglio, graffiò l’acciaio brunito della canna.
Il fucile era scarico e per mettere dentro altre due
pallottole, ci sarebbe voluto del tempo, tempo che Burt non aveva. Così, fece
scivolare il Remington nella tasca e afferrò la croce.
Un huecuva
allungò gli artigli. Burt sentì una vibrazione al braccio sinistro. Urlò e fece
un passo indietro. Istintivamente, sparò con la Colt. La pallottola, d’acciaio,
rimbalzò innocua contro il cranio dello scheletrico frate.
Per quelli ci voleva argento puro.
Burt guardò il braccio, aspettando di vederselo già nero.
L’artiglio aveva stracciato il cappotto, ma non aveva toccato la pelle.
Gli huecuva
erano fra i pochi morti a essere originari della Terra e non del Mondo
Fantastico. Risalivano ai tempi dei conquistador, perciò conoscevano la Croce e
il suo potere. La vista del simbolo, costrinse il frate a proteggersi gli occhi
morti e a indietreggiare. Il veleno nero gocciolò dalle zanne sul mento d’osso.
Burt vide uno dei sicari di Conroy alzare il fucile e si
gettò a terra. La scarica a mitraglia spappolò il cranio dell’huecuva, lasciandolo una figura
grottesca, senza testa. Un attimo dopo, la negromanzia che teneva assieme
quello scheletro venne meno e lo huecuva
finì a terra, in frantumi.
Così, gli uomini di Conroy avevano anche pallottole
d’argento. Comprensibile: forse lo sciamano della CIA non si fidava appieno di
quelli del Sinodo e, conoscendone il potere di rianimare i morti, s’era
premunito.
E gli aveva fatto un favore.
Burt scaricò la Colt sull’uomo col fucile. Il primo colpo
gli aprì un fiore di sangue sulla spalla. L’uomo finì a terra urlando.
A Conroy rimaneva un solo sicario. Otho, invece era
ancora invisibile e aveva quattro negromanti. Più un huecuva… e un drago d’ossa.
Proprio il drago scattò. Le fauci si avvicinarono a Burt
con la velocità di un treno.
E dalla Crown Victoria distrutta, scaturì un fulmine
ramificato.
«Ted!» urlò Burt. Allora non era morto… non definitivamente almeno.
Il fulmine distrusse il muso del drago lasciandolo come
un’orrida gallina senza becco.
Poi, lo huecuva
fece scattare le zanne. D’istinto, Burt gli cacciò in bocca la pistola e ritirò
la mano. Poi gli mise la croce sulla fronte. L’argento sfrigolò contro le ossa
maledette e dalla bocca del morto uscì un urlo stridulo, mentre esso si
contorceva e agitava le braccia.
Burt ritirò la croce e mise la mano in tasca. Le dita si
chiusero attorno al bastone magico. Mentre Ted lanciava un altro fulmine, Burt
corse verso il cadavere del mago del Sinodo e gli puntò il bastone addosso.
Proprio mentre stava per rilasciare la magia, sentì uno strappo e finì a terra.
Dalla pancia gli sporgeva l’estremità di una punta di ghiaccio. Qualcuno gli
aveva scagliato contro un proiettile incantato!
Burt guardò…
venerdì 6 dicembre 2013
U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 3
«Ossa uguale morti,
caro Ted!»
La Crown Victoria filava a ottanta miglia orarie,
sollevando una scia di polvere. I morti si potevano allontanare o anche
distruggere: bastavano i lampeggianti modificati sul tettuccio. Il problema era
la quantità. Se Capo Destino aveva ospitato un campo di battaglia… beh… i
negromanti del Sinodo sarebbero riusciti forse a evocare un bel po’ di
scheletri. Ma Burt non avrebbe mollato comunque, non ora che Conroy e Otho
stavano lì, a portata di mano.
Eccoli! S’erano accorti di lui. I cinque di Otho
indietreggiarono, allontanandosi dall’aereo. Conroy impugnò la pistola.
Ted scelse, dall’arsenale sul cruscotto, una Desert Eagle
calibro .44 Magnum le cui pallottole arrivavano a due miglia di gittata.
Ted aveva imparato a sparare da vivo, dopo il Merging. Da morto, il suo cervello ricordava
ancora quei movimenti come un buon programma di computer.
Erano a più di metà strada quando dalla terra
cominciarono a sorgere i morti. Scheletri antichi, vestiti da frati.
Poi, Burt vide enormi ossa simili a travi, due ali di
pipistrello, un enorme collo serpentino.
«Hanno un drago…»
Il marshal alzò la leva dei lampeggianti e una fortissima
luce sacra si irradiò dal tettuccio della macchina. I primi scheletri vennero
annichiliti. Le ossa si sbriciolarono.
Un fulmine globulare annerì il cofano della Crown
Victoria, prima che Burt riuscisse a far partire lo scudo frontale anti-magia.
La forza del fulmine si scaricò al suolo.
Ted si sporse e la Desert Eagle tuonò. Un elementale
dell’aria spinse la pallottola fuori dalla canna e dentro l’occhio di un mago
del Sinodo.
Lo scudo di Burt tremolò all’impatto con una palla di
fuoco. La macchina sbandò a sinistra. Burt lottò per mantenere il controllo;
mosse lo sterzo a destra, lasciò l’acceleratore. Ted sparò due colpi. Uno fu
deflesso dallo scudo di un mago. L’altro uccise un uomo di Conroy.
I fucili mitragliatori spararono, incontrando la
resistenza di uno scudo creato da Ted. Uno scheletro fu indebolito a tal punto
dalle luci sacre, da esser distrutto dal paraurti dell’auto; un altro si attaccò
allo sportello di Burt e appoggiò una mano al finestrino. Burt si girò e aprì
la bocca per gridare.
Poi, lo scheletro fece esplodere il vetro con una palla
di fuoco. Burt ebbe salva la vita grazie alla prontezza di Ted. L’elfo morto,
con la sinistra, aveva creato uno scudo fra lo sportello e il marshal.
Burt era vivo, ma aveva perso il controllo della
macchina. La Crown Victoria sbandò e si ribaltò. Il mondo fuori dall’abitacolo
fece un mezzo giro a destra.
Poi ci fu lo schianto.
giovedì 5 dicembre 2013
U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 2
I navajo chiamavano quel posto “capo destino” nella loro
lingua. Dicevano che, anticamente, lì c’era un grande mare e che questo mare
era stato prosciugato da un potente sciamano.
«Probabilmente Otho l’ha scelto apposta.» mormorò.
L’ottica della Longbow gli mostrò tre uomini di Conroy
armati di fucili mitragliatori. Scaricavano borse di tela nere ai piedi dei
maghi del Sinodo. Conroy aveva le mani contro i fianchi e sorrideva. Gli occhi
erano coperti da un paio di lenti a specchio. Alla cintura aveva una pistola… e
un lungo pugnale dalla lama ricurva e dal manico in osso.
Poi, d’un tratto, capì che qualcosa non quadrava.
C’entrano le ombre…,
pensò.
Gli uomini del Sinodo erano cinque, ossia, cinque ombre.
Gli uomini di Conroy erano tre, più l’agente della CIA, quattro. Quattro ombre.
«Ce ne sono dieci!»
mormorò. Davanti a quella di Conroy ce n’era una che agitava le braccia.
Quel bastardo è
invisibile!, pensò. Otho c’era, eccome! Solo che s’era reso invisibile con
un incantesimo. Conroy sembrava vederlo benissimo. Forse quegli occhiali…
Dovevano avere una magia rivela-invisibile o qualcosa del
genere.
Se fosse riuscito a beccarli entrambi… Burt tirò su col
naso, poi fece scivolare la Longbow nella tasca.
Strisciò, arretrando, i sassi d’origine vulcanica che gli
scricchiolavano sotto le punte degli stivali. Ted, come sempre, lo seguì.
Scese giù dal canyon, saltando di roccia in roccia. La Crown
Victoria era lì: un grosso insetto nero, corazzato, sporco di terra.
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Quanti scroll di mouse leggi su internet? - artichelo
Questo è un artiCHElo. Oggi ho voglia di chiamarlo così.
Articolo è 'na parola vecchia, anzi, ve''hia, come direbbero aPPisa.
Quella che vedete sopra è una pergamena, in inglese, scroll. C'è un'altra parola inglese che la definisce, ed è parchment, ma il parchment - che da noi si traduce comunque con "pergamena" - in inglese indica solo il materiale di cui è fatta la scroll.
Preciso. Scroll si traduce con "arrotolare" e indica, più che la pergamena fisica, il rotolo. Questo rotolo può essere di pergamena, di papiro, diquelcavolocheè (un materiale della Madonna).
Fra gli antichi romani era conosciuto come volumen. Tutti i libri erano scroll di pergamena o papiro: erano volumii (due i?)
Poi, il bisogno di diffusione religiosa che aveva in seno la Chiesa Cristiana (dapprima quella Cattolica e poi le altre) ha spinto per la creazione di un metodo di consultazione delle parchment più rapido, più facile, ergonomico, immediato.
Da qui, la creazione del codex, ossia il libro come lo conosciamo oggi.
Sto divaganji.
Perché?
mercoledì 4 dicembre 2013
U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 1
L’aereo scodinzolò sulla pista, a cinque miglia dal
binocolo militare di Burt Grayson.
«Eccolo!»
Burt era sulla sommità di un canyon. La terra rossa gli
sporcava il cappotto. L’uomo aveva tolto la stella di latta degli U.S. Marshal
e se l’era messa in tasca. La sua auto, una grossa Crown Victoria modificata,
aspettava sul fondo del canyon.
Accanto a lui, Ted l’elfo osservava, silenzioso, il volo
di un falco. Burt ne studiò il profilo dal naso e dal mento che quasi si
toccavano, come una mezzaluna. Le orecchie avevano i padiglioni appuntiti e gli
occhi un taglio obliquo. Ted puzzava di morto perché era morto. Burt aveva dovuto ucciderlo.
Era una vecchia storia.
Il marshal abbassò il binocolo e prese il bastone che
aveva posato a terra. Era quello a tenere in vita Ted e a resuscitarlo
ogniqualvolta veniva ucciso.
Burt si passò il dorso della mano sulla barba ispida, poi
cacciò due dita nella tasca del cappotto. Adagio, fece uscire la carabina T-76
Longbow da cecchino. La teneva in una vera e propria tasca dimensionale, cucita
sul cappotto. Quando riponeva lì la Longbow, questa semplicemente scivolava in
un’altra dimensione ancorata alla tasca. Dentro, vi teneva i caricatori di
scorta per la pistola, una croce d’argento e un coltello Bowie dalla lama
affilata.
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martedì 3 dicembre 2013
Figlioli! Ma il blog di Daniele Imperi lo leggete o no? - recensione sul racconto Cacciatori di Nuvole
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bellissima ed evocativa immagine del russo Sergey Tyukanov :) |
L’ultimo racconto di Daniele Imperi me lo rileggerei con
Limahl come colonna sonora… il Limahl de La Storia Infinita. E, direte voi,
quante altre canzoni ha fatto, scusa?
Ah boh!
Perché, leggendo i Cacciatori di Nuvole, mi sento
trasportato indietro nel tempo, quando tutto era più facile, quando eravamo più
felici, nei bellissimi anni ’80 di Flash Gordon, Bastian e Guerre Stellari.
Dimenticavo E.T.
Ma perché?
Perché Imperi comincia con un uomo che parla a un
bambino. Anzi, con un bambino che parla a un uomo. Il bambino rappresenta
quella connessione con la fantasia che ognuno di noi – e non lo dico per fare
una frase fatta – non deve assolutamente perdere. Vogliamo forse diventare
parte di questi impiegati grigi e tutti uguali, questi pendolari che non s’arrabbiano
neanche più quando il treno ha cinquanta minuti di ritardo? Vogliamo forse
piangere o essere felici se Tohir fa vincere l’Inter o meno?
O vogliamo emozionarci con i fortunadraghi e con le
vicende del piccolo robot chiamato D.A.R.Y.L.?
Voi fate vobis, io scelgo la seconda.
Basta leggere bollette e estratti conto: vado e mi leggo
un racconto di Daniele Imperi.
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martedì 26 novembre 2013
fAnTaSy? - articolo sul racconto
Se volete leggere il racconto su cui si basa questo articolo, il link è questo.
A cosa serve 'sto articolo? Bah, non ne ho idea, ma credo che possa rispondere alla domanda: "Voglio cercare d'essere un pochino più originale del solito, scrivendo fantasy... come faccio?" (mazza che domanda lunga!)
Io penso che ci possano venire in aiuto un po' di brave persone, nella fattispecie: Mattia Signorini, Christopher Vogler, i siti Elfwood e Springhole.
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ehm, fantazy? |
Io penso che ci possano venire in aiuto un po' di brave persone, nella fattispecie: Mattia Signorini, Christopher Vogler, i siti Elfwood e Springhole.
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