Visualizzazione post con etichetta fiction. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fiction. Mostra tutti i post

lunedì 5 ottobre 2020

The Walking Dead World Beyong AMC non ci siamo - Recensione



Una volta c'era la tivù spazzatura. Ora il fenomeno si è evoluto. Abbiamo tante tivù a pagamento, tantissime piattaforme che offrono tutte, più o meno, lo stesso servizio, ovvero tonnellate di serie tivù, cartoni animati e film.

E' aumentata, quindi, l'offerta e sono aumentate anche le schifezze proposte. Prima eravamo limitati alla tivù di stato e a quelle private sul tubo catodico, e poi, in digitale, e le schifezze erano minori, perché minore era la proposta. 

La tivù del passato non è migliore di quella del presente, anzi, credo che quest'ultima sia la migliore. Puoi scegliere davvero qualsiasi cosa, ovunque, in qualsiasi lingua e formato. E' chiaro che, ribadisco, aumenta la probabilità che ci siano delle schifezze.

mercoledì 28 gennaio 2015

Esemplare #131 - un racconto su wh40k

 
Esemplare #131 è ambientato nell'universo del wargame tridimensionale Warhammer 40.000.
Da Wikipedia:
Warhammer 40.000 (conosciuto anche come Warhammer 40K o semplicemente WH40K) è un wargame tridimensionale futuristico, prodotto dalla inglese Games Workshop. È incentrato su un'ambientazione futuristica che prende ispirazione dal libro Fanteria dello spazio. Il gioco ruota intorno a miniature in scala 1:65 cioè alte 28mm (originariamente erano in 20-25mm) prodotte dalla Citadel Miniatures, che rappresentano soldati, creature e macchine da guerra. Il gioco richiede una basilare comprensione della tattica delle piccole squadre e molta fortuna.
 
*** 

Lo Space Marine si fermò davanti a una porta contrassegnata col numero centotrentuno. Vicino, un uomo della guardia agitava il braccio, come se stesse richiamando un gruppo di turisti.
«Mio signore, sei l’Adeptus Astartes Marcus Astvan?»
L’uomo sapeva già la risposta, ma l’Inquisizione dava molta importanza alla procedura.
«Affermativo. Sono qui su ordine del mio capitolo.»
L’uomo guardò l’armatura potenziata dell’altro, ancora dipinta del giallo dei Magli Imperiali, e i simboli sugli spallacci contornati di rosso. Sul destro si vedeva il pugno chiuso che dava il nome al capitolo; sul sinistro c’era una freccia diretta verso l’alto con, all’interno, il numero tre in cifre romane.
Terza compagnia, squadra tattica, pensò l’uomo.
«Spero ti piaccia il nero, perché dovrai ridipingere la tua armatura di quel colore. Avrai probabilmente sentito di questo rituale della Deathwatch.» disse. «Sai cosa c’è dietro la porta?»
Il Marine non aveva apprezzato il tono, ma finse il contrario e fece un semplice gesto di diniego.
«Il tuo secondo battesimo del fuoco. Periodicamente dovrai superare prove come questa, combattendo contro esemplari alieni di mondi perduti. Servirà a prepararti ad affrontare qualsiasi xeno abbia la sfortuna di incontrare la tua squadra e il volere dell’Imperatore. Dietro la porta, Marine, farai amicizia con l’esemplare centotrentuno. Non potrai uscire finché non l’avrai ucciso o finché non sarai messo così male da non ricordarti il tuo nome. Nell’ultimo caso, sarai curato e dovrai combatterlo di nuovo. Ti piacerà sapere che nessuno è riuscito a sconfiggerlo al primo tentativo. Buona fortuna, e che l’Imperatore ti aiuti.» prima di terminare, diede un pugno alla porta, che cominciò ad aprirsi.
Astvan osservò l’uomo, gli fece un ghigno dietro la maschera dell’elmo e disse: «Non ho bisogno di fortuna: uscirò dalla stanza prima che tu abbia finito di fumare il tuo bastoncino-lho.»
«Scommettiamo?» disse l’altro e, per tutta risposta, tirò fuori la sigaretta del quarantunesimo millennio: un cilindro di carta contenente una sostanza derivata da piante aromatiche.
Nell’istante in cui la porta chiuse dentro Astvan, un vox da parete attirò l’attenzione dell’uomo.
«Calavera, non farlo entrare: test rinviato. Il Marine ci serve subito!»
L’uomo riconobbe la voce del capitano Raven e, con timore, gli rispose: «Mi dispiace, signore, è troppo tardi.»

mercoledì 24 dicembre 2014

Dopo aver visto Tenacious D (che non c'entra un c***o) - Recensione

il plettro del destino di Tenacious D

Sono un editore.
Ma questo non è un articolo per glorificarmi. Dico solo che sono contento del lavoro che faccio.
Abbiamo iniziato ormai anni fa (tre tipo?) io e Valerio Villa. Eravamo assieme alle superiori e ci legavano il Metal, i giochi di ruolo (mocca ai giochi di ruolo) e i libri!
Fortunatamente non siamo diventati malati di giochi di ruolo (anche se io da poco e dopo undici anni ho ricominciato a giocare a un gioco di ruolo a cui non avevo mai giocato, ossia Warhammer, e mi sono e mi sto divertendo molto) ma siamo diventati un impiegato (io) e un libero professionista (lui).

Io mi sono ammalato di sparatutto in prima persona sulla PS3, ma questa è un'altra storia.

Si è unito a noi, nel corso degli anni, Stefano Tevini, prima come autore e poi come editore. Quindi siamo tre soci come i tre porcellini.

Non so quale dei tre sia io.

illustrazione di Bob Dob

Tenacious D del titolo non c'entra una minchiazza, ma l'ho appena visto e mi è piaciuto tantissimo.

Questo per dire cosa...

domenica 22 giugno 2014

Un botto di cavalli selvaggi! - recensione/articolo di Everglades di Moreno Pavanello

proprio un botto!


Cari figlioli, questo è un articolo/recensione per il racconto Everglades di Moreno Pavanello.

Partiamo adagio...

Il Moro ha scritto questo racconto per partecipare all'antologia Storie di Frontiera 1 edita dal sito www.farwest.it; ho partecipato anch'io, ma il mio racconto non è stato incluso nella prima antologia... credo sarà messo nella prossima, ma non me la prendo (sarei uno stupido a fare il contrario) e, anzi, sono felice, perché non era assolutamente all'altezza di un lavoro tanto ben fatto e originale come Everglades.

venerdì 20 giugno 2014

Zombie - racconto/esercizio di scrittura



Questo esercizio di scrittura mi è stato ispirato da un racconto del Moro, Everglades, che potete trovare qui! Il Moro ha condotto un esperimento interessante, affrontando la narrazione nel racconto in seconda persona singolare... tipo "librogame". Così ho voluto fare lo stesso (copione) mettendoci gli zombie... la scena del risveglio in ospedale me l'hanno ispirata The Walking Dead e 28 giorni dopo, mentre il resto mi è venuto in mente dall'RPG Dead Reign della Palladium. Enjoy.



L’ospedale
Senti la fame e la sete. Il lenzuolo è impregnato d’urina e il materasso è sporco di merda. Ti sei svegliato al buio, senza ricordi, in una stanza d’ospedale.
L’orologio alla parete è fermo alle due e tre minuti. Ti tocchi il viso e senti la barba di parecchi giorni. Sulla testa, i capelli sono lunghi e sporchi. Riesci a muovere le dita dei piedi. Provi a scendere dal letto. L’aria è caldo-umida e odora di sangue e escrementi. La finestra è coperta da una tenda inchiodata alla parete. Dietro di essa, ci sono assi di legno. Muovi un passo e cadi a terra. Rimani lì, a boccheggiare, ma non chiami aiuto: l’istinto ti dice di non farlo.

lunedì 9 giugno 2014

Godbreaker - Luca Tarenzi - recensione





Sarò breve e scriverò in maniera moderatamente caotica. Raga, vi dico questo: io non compro un libro da… boh, saranno due anni sicuri… e coi libri sono diventato mooolto mooolto rompicoglioni, tipo che (eh, il mio italiano!) ne apro uno, leggo due righe, chiudo e dico “minchia che merda” e così via fino a che non esco dalla libreria dicendomi che forse non mi piace più leggere, ecco. Allora che faccio? Rileggo roba che ho in casa o che ha in casa mio padre. Lui, prima di leggere solo prontuari di diritto sindacale (che cominciano ad affascinare pure me) divorava Urania, Fantapocket, libri d’orrore, fanta-erotici, fantascienza, qualcosina di splatter, prime serie di Star Trek in bianco e nero (mi ricordo ancora un alieno a forma di lavatrice… ero molto piccolo). Quindi, rileggo ’sta roba qua. Oppure i libri sbilenchi che mi regala mia sorella, tipo “Il karma della mucca innamorata” o “Armi, acciaio e malattie”. Oppure i libri che mi presta il socio.

giovedì 29 maggio 2014

L'anniversario - Tante storie di fantascienza





L’apocalisse zombie iniziò quando uno scienziato in California mischiò il virus della rabbia a un polpettone che aveva da giorni in frigo e diede da mangiare tutto al gorilla del laboratorio. Dopo qualche ora, il gorilla cominciò a piangere sangue, morì e resuscitò zombie. Lo scienziato, invece di tenerlo al sicuro in una cella, fece una cosa idiota, tipo insegnargli la matematica. Il gorilla-zombie di matematica non capì nulla e morse lo scienziato al braccio. «Piango sangue e vorrei mangiare i miei figli.» lo scienziato cercò di ignorare i sintomi per qualche ora, poi andò all’ospedale, e il dottore lo fece sedere su una sedia. «Lei ha poco controllo motorio, interessante.» disse il dottore, compilando un documento a caselline prestampate. «Dunque, apra la bocca e dica “aaaaaaah”» lo zombie aprì la bocca e mangiò l’abbassalingua e il braccio del dottore. Il dottore cominciò a girare per tutto l’ospedale, graffiando, mordendo e vomitando sangue infetto su medici e pazienti.
Qualche giorno dopo, sul Daily Times leggemmo le rassicurazioni del governo. Poi ci fu l’edizione straordinaria e leggemmo “Siete fottuti!”.

martedì 27 maggio 2014

Megzom - Tante storie di fantascienza





Jen spinse il Boston Whaler lontano dalla riva, verso il mare aperto. Si accese una sigaretta e stappò una lattina di birra.
Controllò il riferimento GPS che aveva tracciato ore prima, al passaggio del peschereccio giapponese.
Jen, che si era trovata per caso in mare, aveva visto la grossa barca perdere una delle preziosissime lenze a strascico. I giapponesi le usavano per pescare i tonni. Ma lei aveva un’altra idea. Sorrise e sputacchiò birra, al pensiero di suo marito.
Burt Harrison, australiano, enorme e biondo, l’aveva portata a Mahé nove anni prima. Pescava squali ed era diventato proprietario di un piccolo cutter su cui faceva lavorare un equipaggio di creoli.
C’erano stati anni di abbondanza. Poi erano arrivati i giapponesi con le loro “tonnare volanti” lunghe chilometri. Ed era finito tutto.

lunedì 10 marzo 2014

Pescare nel bosco - racconto da un'idea di Stephen King

questo fiume è davvero nel Maine :)
Premessa:

Mi sono trovato a leggere qualche racconto della raccolta Tutto è fatidico di Stephen King e in particolare, mi è piaciuto L'uomo vestito di nero. E' scritto in prima persona, ambientato nel 1914 e narra dell'incontro col Diavolo da parte del protagonista, allora novenne. 
Se leggete la postfazione al racconto, vedrete che Stephen King non lo credeva molto valido e non aveva nemmeno voglia di spedirlo all'editore. Poi, a pubblicazione avvenuta, il racconto ha avuto recensioni più che positive, sbalordendo lo stesso King.
Nel leggerlo, mi sono accorto di un colpo di scena mancato, di qualcosa che poteva esserci e avrebbe giovato parecchio alla storia. E' un'opinione personale.
Così ho scritto un mio racconto, ambientato sempre nel Maine Occidentale e con protagonista un bambino di nove anni. 
Ci sono, però, molte cose che cambiano: chi incontra il bambino nel bosco non è il Diavolo e manca totalmente il riferimento al fratellino morto e all'ape.
Leggete L'uomo vestito di nero, se volete. E anche Pescare nel bosco.

martedì 11 febbraio 2014

Cavour - un racconto breve sul risorgimento

"ma quante ne so!"

Torino, 11 febbraio 1859.
Camillo Benso, conte di Cavour, sedeva nel suo gabinetto, meditando ad alta voce sui libri contabili del Regno.
«Servono soldi! Con la guerra abbiamo accumulato un debito di un miliardo di lire, e gran parte di questo denaro bisognerà restituirlo alla Gran Bretagna.»
Quando bussarono alla porta, il Conte disse: «Entrate.» si tolse gli occhiali a pince-nez e passò due dita sulle palpebre stanche.
«Conte, buonasera.» non aveva bisogno d’essere annunciato l’uomo che entrò nel gabinetto di Cavour. Aveva un paio di baffi lunghi e all’insù, un viso largo, dai tratti nanoidi e due occhi piccoli, da faina. Il volto era incorniciato da una raggera di capelli ondulati, tenuti assieme in una pettinatura rigida da chissà quale pomata.
«Vostra Maestà, buonasera a voi.»
«Facevate i conti?» domandò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia.

giovedì 6 febbraio 2014

A bootleg liquor-powered android - Tante storie di fantascienza




Guidava da quattro ore bevendo caffè, quando vide il ranch nel deserto. L’ultima invenzione era produrre il whisky in Messico e scaricarlo lì. C’erano tre furgoni e dei cavalli. Non che Ames fosse uno sbirro o baciasse il culo alle “sorelle della temperanza”. Stava seguendo una traccia e sperava che fosse la volta buona.
Guidò la macchina fra i cespugli e giù per una duna, a ridosso di un canyon. Afferrò il mitra e risalì la scarpata. Se sbirri e federali l’avessero beccato con quel ferro in pugno… beh, c’era la gattabuia a Florence. Doveva andarci coi piedi di piombo ed eliminare ogni traccia.
Si avvicinò al ranch da nord. Le ombre erano lunghe.
Poco più in là, dei tizi fumavano e scaricavano casse in uno dei furgoni. Forse avrebbero riempito solo quello, usando gli altri come specchietto per le allodole.
I veicoli erano tutti uguali. Sulla fiancata c’era scritto “servizio postale degli Stati Uniti”. Non sapeva come avrebbero fatto ad abbattere i costi di trasporto. Il liquore, sicuro, era distillato da robaccia messicana e venduto oltreconfine per pochi centesimi o addirittura, per niente. Magari c’era un accordo con gli sbirri di frontiera e questi chiudevano un occhio sul viavai da Nogales.
Si avvicinò. Oltrepassò i recinti e si nascose dietro un abbeveratoio. Sopra di lui correvano i fili del telegrafo e i pali della luce elettrica.

martedì 4 febbraio 2014

Deadwood, 1885 - racconto western

un bel disegno di TheGeef che rappresenta Al Swearengen, interpretato dall'attore Ian McShane nella fiction "Deadwood". Trovate l'originale qui.



«Gesù Cristo, Percy! C’è un uomo qui!» le urla di Caradog Pritcher svegliarono il vicesceriffo Percy Withmore e gli fecero impugnare la pistola. Caradog era un duro minatore gallese: non avrebbe mai urlato senza motivo, non a quel modo.
Percy scrutò la cella alla luce della sua lampada ad olio. «Signor Pritcher?» chiamò, alzandosi.
Sentì qualcuno che mugugnava qualcosa e si allarmò. «Signor Pritcher!» ripeté.
«Percy, brutto idiota! Sbrigati e apri la cella.»
Il sospetto si fece strada nel cervello del vice, mentre la lampada sgranocchiava le ombre.
«Signor Pritcher, non mi prenda in giro.» azzardò Percy. «C’è un uomo, ti dico!» sbraitò l’altro. «Qui, legato e imbavagliato, davanti a me.» aggiunse.
«E prima non c’era?» domandò il vice. «Cristo Santo, Percy Withmore! Fammi uscire.» disse il gallese.
Ora, il vicesceriffo si trovava davanti alla cella. La luce si posò sopra un uomo seduto su una sedia, legato mani e piedi e imbavagliato. Un uomo vestito in maniera strana, con una specie di tuta da minatore completamente arancione.
«Un negro.» disse Percy, guardando il cranio lucido e scuro. L’uomo aveva gli occhi stretti per via della luce e mugugnava qualcosa.
«Mi credi adesso?» domandò Caradog. Percy deglutì e una goccia di sudore gli scivolò fra i peli della barba. «Sarà meglio chiamare lo sceriffo.» disse.
«Ehi, bastardo! Non mi lasciare con questo tizio! È apparso dal nulla, ti dico.» sbraitò il gallese.
Ma Percy Withmore si precipitò fuori, con una mano sul cappello e la lampada in pugno gridando: «Sceriffo!»

venerdì 10 gennaio 2014

Li pecuri de Valle Renia - racconto




Su da Valle Renia, l’aria odorosa di terra e gli sgorbi di vapore che s’alzano dai quarti dei muli; lo sferraglio dell’armatura e degli strumenti legati alla groppa.
Nell’aria gelida che finge inverno, i piedi di Andrea raschiarono la terra e il suo sguardo si posò sul viola delle prime campanule e sul rosso degli steli d’erba ancor bruciati dal freddo.
La schiena di Niccolò della Torraccia era coperta da un mantello e divisa da una spada infoderata. La testa era nascosta dalla cuffia sporca e una lancia enorme scandiva il passo, a mo’ di bastone.
Nella nebbia, come lamenti dei morti, belati di pecore scivolarono flebili sulle ossa della terra, raggiungendo Andrea in quella specie di sonno che consumava in piedi.
Un picchio tambureggiò sul tronco d’un acero enorme, lasciando impassibile Niccolò e attirando l’attenzione di Andrea.
«Quanto ancora, gran siniore?» domandò Andrea, inspirando nebbia.
Niccolò puntò la lancia. «Trovasi colà la Torraccia, frate. Domus mea
Come evocata, essa spuntò dai nodi di bruma. Era alta e sbreccata: a forma di corna di diavolo. Stava al margine più orientale di Valle Renia.
«Lo ultimo territorio cristiano.» disse Niccolò.
Poi rimase in silenzio per lungo tempo.

mercoledì 8 gennaio 2014

Il drago: fenomeno sociale



Prendiamo un maschio adulto di montagna: esso sarà lungo dai sei agli otto metri e arriverà alle due tonnellate. Un drago del genere avrà il dorso di un colore uniforme e possibilmente scuro, questo perché non ha più bisogno di “far paura” agli eventuali predatori, come da cucciolo.
Se n’è parlato un sacco, dei draghi. L’evoluzione li ha fatti adattare ai cambiamenti del nostro mondo e oggi, etologicamente, possiamo chiamare i draghi “terrestri”, proprio come l’uomo o come un coniglio, un cane, un gatto. Terrestre non è un sinonimo applicabile esclusivamente a noi, ma ha uno spettro più ampio. E dunque include il drago.
S’è già detto della particolare vescica dei draghi. La natura li ha dotati di quest’organo che serve ad accumulare gas (idrogeno e metano) liberato dai batteri dello stomaco, batteri speciali, presenti solo nel corpo del drago. Tali batteri sono capaci di trasformare in gas il cibo e la roccia ingeriti dall’animale. È proprio questa vescica, piena d’idrogeno, ad aiutare il drago nel volo, perché in effetti esso non rispetta in alcun modo le proporzioni ala-corpo stabilite dalla natura per volare. Le ali del drago, cioè, sono troppo piccole per il suo corpo e la sua massa. Se non fosse per la vescica riempita d’idrogeno, il drago non volerebbe. D’altronde, esso non sa di non poter volare, un po’ come il bombo.

lunedì 9 dicembre 2013

U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 4 - epilogo



Tre scheletri vestiti da frati.
Gli si avvicinarono, protendendo gli artigli. Poi, Burt scorse i loro denti: gocciolavano di veleno nero. Huecuva!, pensò.
Sparò al primo col fucile. La pallottola si conficcò ai piedi dello scheletro e gli innalzò attorno una gabbia di pietra. Il secondo huecuva colpì il Remington con l’artiglio, graffiò l’acciaio brunito della canna.
Il fucile era scarico e per mettere dentro altre due pallottole, ci sarebbe voluto del tempo, tempo che Burt non aveva. Così, fece scivolare il Remington nella tasca e afferrò la croce.
Un huecuva allungò gli artigli. Burt sentì una vibrazione al braccio sinistro. Urlò e fece un passo indietro. Istintivamente, sparò con la Colt. La pallottola, d’acciaio, rimbalzò innocua contro il cranio dello scheletrico frate.
Per quelli ci voleva argento puro.
Burt guardò il braccio, aspettando di vederselo già nero. L’artiglio aveva stracciato il cappotto, ma non aveva toccato la pelle.
Gli huecuva erano fra i pochi morti a essere originari della Terra e non del Mondo Fantastico. Risalivano ai tempi dei conquistador, perciò conoscevano la Croce e il suo potere. La vista del simbolo, costrinse il frate a proteggersi gli occhi morti e a indietreggiare. Il veleno nero gocciolò dalle zanne sul mento d’osso.
Burt vide uno dei sicari di Conroy alzare il fucile e si gettò a terra. La scarica a mitraglia spappolò il cranio dell’huecuva, lasciandolo una figura grottesca, senza testa. Un attimo dopo, la negromanzia che teneva assieme quello scheletro venne meno e lo huecuva finì a terra, in frantumi.
Così, gli uomini di Conroy avevano anche pallottole d’argento. Comprensibile: forse lo sciamano della CIA non si fidava appieno di quelli del Sinodo e, conoscendone il potere di rianimare i morti, s’era premunito.
E gli aveva fatto un favore.
Burt scaricò la Colt sull’uomo col fucile. Il primo colpo gli aprì un fiore di sangue sulla spalla. L’uomo finì a terra urlando.
A Conroy rimaneva un solo sicario. Otho, invece era ancora invisibile e aveva quattro negromanti. Più un huecuva… e un drago d’ossa.
Proprio il drago scattò. Le fauci si avvicinarono a Burt con la velocità di un treno.
E dalla Crown Victoria distrutta, scaturì un fulmine ramificato.
«Ted!» urlò Burt. Allora non era morto… non definitivamente almeno.
Il fulmine distrusse il muso del drago lasciandolo come un’orrida gallina senza becco.
Poi, lo huecuva fece scattare le zanne. D’istinto, Burt gli cacciò in bocca la pistola e ritirò la mano. Poi gli mise la croce sulla fronte. L’argento sfrigolò contro le ossa maledette e dalla bocca del morto uscì un urlo stridulo, mentre esso si contorceva e agitava le braccia.
Burt ritirò la croce e mise la mano in tasca. Le dita si chiusero attorno al bastone magico. Mentre Ted lanciava un altro fulmine, Burt corse verso il cadavere del mago del Sinodo e gli puntò il bastone addosso. Proprio mentre stava per rilasciare la magia, sentì uno strappo e finì a terra. Dalla pancia gli sporgeva l’estremità di una punta di ghiaccio. Qualcuno gli aveva scagliato contro un proiettile incantato!
Burt guardò…

venerdì 6 dicembre 2013

U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 3



«Ossa uguale morti, caro Ted!»
La Crown Victoria filava a ottanta miglia orarie, sollevando una scia di polvere. I morti si potevano allontanare o anche distruggere: bastavano i lampeggianti modificati sul tettuccio. Il problema era la quantità. Se Capo Destino aveva ospitato un campo di battaglia… beh… i negromanti del Sinodo sarebbero riusciti forse a evocare un bel po’ di scheletri. Ma Burt non avrebbe mollato comunque, non ora che Conroy e Otho stavano lì, a portata di mano.
Eccoli! S’erano accorti di lui. I cinque di Otho indietreggiarono, allontanandosi dall’aereo. Conroy impugnò la pistola.
Ted scelse, dall’arsenale sul cruscotto, una Desert Eagle calibro .44 Magnum le cui pallottole arrivavano a due miglia di gittata.
Ted aveva imparato a sparare da vivo, dopo il Merging. Da morto, il suo cervello ricordava ancora quei movimenti come un buon programma di computer.
Erano a più di metà strada quando dalla terra cominciarono a sorgere i morti. Scheletri antichi, vestiti da frati.
Poi, Burt vide enormi ossa simili a travi, due ali di pipistrello, un enorme collo serpentino.
«Hanno un drago…»
Il marshal alzò la leva dei lampeggianti e una fortissima luce sacra si irradiò dal tettuccio della macchina. I primi scheletri vennero annichiliti. Le ossa si sbriciolarono.
Un fulmine globulare annerì il cofano della Crown Victoria, prima che Burt riuscisse a far partire lo scudo frontale anti-magia. La forza del fulmine si scaricò al suolo.
Ted si sporse e la Desert Eagle tuonò. Un elementale dell’aria spinse la pallottola fuori dalla canna e dentro l’occhio di un mago del Sinodo.
Lo scudo di Burt tremolò all’impatto con una palla di fuoco. La macchina sbandò a sinistra. Burt lottò per mantenere il controllo; mosse lo sterzo a destra, lasciò l’acceleratore. Ted sparò due colpi. Uno fu deflesso dallo scudo di un mago. L’altro uccise un uomo di Conroy.
I fucili mitragliatori spararono, incontrando la resistenza di uno scudo creato da Ted. Uno scheletro fu indebolito a tal punto dalle luci sacre, da esser distrutto dal paraurti dell’auto; un altro si attaccò allo sportello di Burt e appoggiò una mano al finestrino. Burt si girò e aprì la bocca per gridare.
Poi, lo scheletro fece esplodere il vetro con una palla di fuoco. Burt ebbe salva la vita grazie alla prontezza di Ted. L’elfo morto, con la sinistra, aveva creato uno scudo fra lo sportello e il marshal.
Burt era vivo, ma aveva perso il controllo della macchina. La Crown Victoria sbandò e si ribaltò. Il mondo fuori dall’abitacolo fece un mezzo giro a destra.
Poi ci fu lo schianto.

giovedì 5 dicembre 2013

U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 2



I navajo chiamavano quel posto “capo destino” nella loro lingua. Dicevano che, anticamente, lì c’era un grande mare e che questo mare era stato prosciugato da un potente sciamano.
«Probabilmente Otho l’ha scelto apposta.» mormorò.
L’ottica della Longbow gli mostrò tre uomini di Conroy armati di fucili mitragliatori. Scaricavano borse di tela nere ai piedi dei maghi del Sinodo. Conroy aveva le mani contro i fianchi e sorrideva. Gli occhi erano coperti da un paio di lenti a specchio. Alla cintura aveva una pistola… e un lungo pugnale dalla lama ricurva e dal manico in osso.
Poi, d’un tratto, capì che qualcosa non quadrava.
C’entrano le ombre…, pensò.
Gli uomini del Sinodo erano cinque, ossia, cinque ombre. Gli uomini di Conroy erano tre, più l’agente della CIA, quattro. Quattro ombre.
«Ce ne sono dieci!» mormorò. Davanti a quella di Conroy ce n’era una che agitava le braccia.
Quel bastardo è invisibile!, pensò. Otho c’era, eccome! Solo che s’era reso invisibile con un incantesimo. Conroy sembrava vederlo benissimo. Forse quegli occhiali…
Dovevano avere una magia rivela-invisibile o qualcosa del genere.
Se fosse riuscito a beccarli entrambi… Burt tirò su col naso, poi fece scivolare la Longbow nella tasca.
Strisciò, arretrando, i sassi d’origine vulcanica che gli scricchiolavano sotto le punte degli stivali. Ted, come sempre, lo seguì.
Scese giù dal canyon, saltando di roccia in roccia. La Crown Victoria era lì: un grosso insetto nero, corazzato, sporco di terra.

mercoledì 4 dicembre 2013

U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 1




L’aereo scodinzolò sulla pista, a cinque miglia dal binocolo militare di Burt Grayson.
«Eccolo!»
Burt era sulla sommità di un canyon. La terra rossa gli sporcava il cappotto. L’uomo aveva tolto la stella di latta degli U.S. Marshal e se l’era messa in tasca. La sua auto, una grossa Crown Victoria modificata, aspettava sul fondo del canyon.
Accanto a lui, Ted l’elfo osservava, silenzioso, il volo di un falco. Burt ne studiò il profilo dal naso e dal mento che quasi si toccavano, come una mezzaluna. Le orecchie avevano i padiglioni appuntiti e gli occhi un taglio obliquo. Ted puzzava di morto perché era morto. Burt aveva dovuto ucciderlo.
Era una vecchia storia.
Il marshal abbassò il binocolo e prese il bastone che aveva posato a terra. Era quello a tenere in vita Ted e a resuscitarlo ogniqualvolta veniva ucciso.
Burt si passò il dorso della mano sulla barba ispida, poi cacciò due dita nella tasca del cappotto. Adagio, fece uscire la carabina T-76 Longbow da cecchino. La teneva in una vera e propria tasca dimensionale, cucita sul cappotto. Quando riponeva lì la Longbow, questa semplicemente scivolava in un’altra dimensione ancorata alla tasca. Dentro, vi teneva i caricatori di scorta per la pistola, una croce d’argento e un coltello Bowie dalla lama affilata.

martedì 26 novembre 2013

fAnTaSy? - articolo sul racconto

Se volete leggere il racconto su cui si basa questo articolo, il link è questo.


ehm, fantazy?
A cosa serve 'sto articolo? Bah, non ne ho idea, ma credo che possa rispondere alla domanda: "Voglio cercare d'essere un pochino più originale del solito, scrivendo fantasy... come faccio?" (mazza che domanda lunga!)

Io penso che ci possano venire in aiuto un po' di brave persone, nella fattispecie: Mattia Signorini, Christopher Vogler, i siti Elfwood e Springhole.

Fantasy! - racconto preludio a un articolo



l'immagine si chiama Undead Knight, è di atomhawk e la trovate qui



Re-serpente rinasci! Dea della pace, dolore predici. Dio delle tenebre, dolore predici. Tutti vivranno contenti e felici.

I
Miron tirò un undici ai dadi. «Re-serpente rinasci!» disse. «Perché… perché la reciti?» Ianuas fece un ricciolo in aria con un dito e ammiccò.
«Perché ho vinto! Ho scacciato il serpente!» Miron sferrò un pugno sul tavolo e fece tintinnare i boccali. «Oste! Birra! Offro io!» urlò, girandosi verso il bancone per guardare il taciturno Narnus.
«Perché sempre birra?» domandò Ianuas. «Bere acqua porta malattie.» disse Miron. «La birra, invece, la si bolle.»
«Sei un dottore?» chiese Ianuas. «Un alchimista.» rispose Miron, sogghignando. «Ma quella cosa che reciti… cos’è?» Ianuas aggrottò la fronte e si pulì i baffi grigi sporchi di birra.
«Una vecchia filastrocca.» Miron sogghignò e riprese in pugno i dadi d’osso. Stava per tirare, quando si avvicinò al suo interlocutore e disse: «Una profezia.»
«Maddai!» fece Ianuas, barcollando sulla sedia. «E come fa?»
«Beh… Re-serpente rinasci… uhm, poi dea della pace qualcosa… uhm, poi c’è il dio delle tenebre…»
«E tutti vivranno felici e contenti.» disse una terza voce. Miron si girò e squadrò Narnus. «E tu da quando in qua ti ricordi qualcosa?» domandò. «Beh, compare Ianuas, devi sapere che l’oste è smemorato… non si ricorda chi cavolo sia. Rammenta solo il proprio nome.»
«Già.» affermò Narnus. L’attenzione di Ianuas deviò verso quell’uomo taciturno, impegnato a versare birra con un mestolo nei boccali e a condirla con un sacchettino di spezie.
Miron ebbe una reazione strana. Batté un pugno sul tavolo e si alzò. Andò a sbraitare davanti a Narnus. Urlava così forte che a Ianuas fecero male le orecchie. Un armigero dalla faccia di faina alzò gli occhi dallo stufato e si mise a fissare Miron con i suoi piccoli occhi cattivi.