mercoledì 8 gennaio 2014

Il drago: fenomeno sociale



Prendiamo un maschio adulto di montagna: esso sarà lungo dai sei agli otto metri e arriverà alle due tonnellate. Un drago del genere avrà il dorso di un colore uniforme e possibilmente scuro, questo perché non ha più bisogno di “far paura” agli eventuali predatori, come da cucciolo.
Se n’è parlato un sacco, dei draghi. L’evoluzione li ha fatti adattare ai cambiamenti del nostro mondo e oggi, etologicamente, possiamo chiamare i draghi “terrestri”, proprio come l’uomo o come un coniglio, un cane, un gatto. Terrestre non è un sinonimo applicabile esclusivamente a noi, ma ha uno spettro più ampio. E dunque include il drago.
S’è già detto della particolare vescica dei draghi. La natura li ha dotati di quest’organo che serve ad accumulare gas (idrogeno e metano) liberato dai batteri dello stomaco, batteri speciali, presenti solo nel corpo del drago. Tali batteri sono capaci di trasformare in gas il cibo e la roccia ingeriti dall’animale. È proprio questa vescica, piena d’idrogeno, ad aiutare il drago nel volo, perché in effetti esso non rispetta in alcun modo le proporzioni ala-corpo stabilite dalla natura per volare. Le ali del drago, cioè, sono troppo piccole per il suo corpo e la sua massa. Se non fosse per la vescica riempita d’idrogeno, il drago non volerebbe. D’altronde, esso non sa di non poter volare, un po’ come il bombo.

Sappiamo anche che, grazie alle quantità di platino che l’animale ingerisce per istinto assieme alla roccia (per questo lo si chiama “drago di montagna” e per questo esso tende a preferire le regioni montuose del mondo) esso può sputare fuoco. Semplicemente, l’idrogeno e il metano si combinano con l’ossigeno nel platino che fa da accelerante, permettendo all’animale di soffiare fiamme. Sappiamo anche che l’interno della bocca del drago ha una specie di corazza naturale e che possiede un falso palato (simile a quello che permette al coccodrillo di aprire la bocca in acqua senza morire soffocato) che si chiude per impedire il ritorno di fiamma.
L’aumento della popolazione in Nord America ha rivoluzionato il nostro modo di vivere e il loro. I draghi di montagna (che, attualmente, sono l’unica specie di drago vivente) trovano nelle fattorie per l’allevamento intensivo la primaria fonte di cibo. La Smithfield Food, il più grande produttore di carne suina degli Stati Uniti (ha un fatturato annuo di tredici miliardi di dollari) ha avuto perdite così pesanti da obbligare i suoi proprietari, gli azionisti del gruppo cinese Shineway, a due ricapitalizzazioni e drastiche manovre.
Su internet spopolano i video di draghi che calano su queste fattorie (simili a navi spaziali, più che alla fattoria del Mulino Bianco) e fanno incetta di suini malaticci e pieni d’antibiotici. Buon per loro, i draghi sembrano aver sviluppato degli anticorpi in grado di fronteggiare le malattie derivate dal consumo di questi suini.
Oggi, il drago potrebbe venir considerato come il migliore amico dell’ambiente. Se pensiamo che, secondo l’economista Rajenda Pachauri, produrre un chilo di carne ha lo stesso impatto ambientale di un’auto che percorra 250 chilometri, predando dalle fattorie ed eliminando gli animali, il drago evita che nell’aria vengano dispersi fosfati, anidride carbonica e anidride solforosa in quantità (è il caso di dirlo) industriali.
La massiccia (e in crescita) presenza dei draghi ha inoltre modificato l’orografia mondiale. Essendo il drago un naturale cercatore di platino, alcuni lo propongono come metodo alternativo alla moderna ricerca ed estrazione, sempre che l’animale sia d’accordo.
Il drago ci ha fatto scoprire nuove regioni per l’estrazione del platino. Ai siti tradizionali in Nord America, in Russia e in Africa, se ne sono affiancati numerosi in Europa.
Modena e la zona del Resegone sono due esempi in Italia. Draghi di montagna hanno trovato giacimenti di platino presso l’Etna, in Sicilia.
Le mire delle compagnie internazionali sui siti di platino di “proprietà” dei draghi sono al centro della lotta dei movimenti animalisti.
Il VHEMT, il Movimento per l’Estinzione Umana Volontaria, va oltre: alcuni membri, di tanto in tanto, si spingono nelle tane dei draghi per farsi divorare.
Ma cos’è esattamente il VHEMT?
Ecco un estratto dal loro sito internet: vhemt.org
“Il VHEMT (che si pronuncia vehement, parola inglese che significa veemente) è un movimento, non un’organizzazione. È un movimento portato avanti da gente che ha a cuore la vita sul pianeta Terra. Non siamo un gruppo di disadattati maltusiani misantropi e asociali che provano un piacere morboso ogni volta che qualche disastro colpisce gli umani. Non potrebbe esserci nulla di più distante dalla realtà. L’estinzione umana volontaria è piuttosto l’alternativa umanitaria ai disastri che colpiscono la gente.
Non insistiamo sul modo in cui la specie umana si è dimostrata un parassita avido ed amorale su un pianeta che era in buona salute. Una negatività di quel genere non offre soluzioni per gli orrori inesorabili che l’attività umana sta provocando.
Piuttosto, il Movimento propone un’alternativa incoraggiante alla distruzione impietosa e completa dell’ecologia della Terra.
Come sanno bene i Volontari del VHEMT, la speranza che si presenta come alternativa all’estinzione di milioni di specie vegetali ed animali è l’estinzione volontaria di una sola specie: l’Homo sapiens, …la nostra estinzione.
Ogni volta che qualcuno decide di non generare altri umani da aggiungere ai miliardi brulicanti che già si accalcano su questo pianeta devastato, un nuovo raggio di speranza attenua le tenebre.
Quando ogni essere umano deciderà di non riprodursi, la biosfera della Terra potrà tornare alla sua gloria di un tempo, e ognuna delle creature che rimarranno potrà essere libera di vivere, morire, evolversi e forse scomparire, come nel corso dei millenni hanno già fatto così tanti “esperimenti” di Madre Natura. L’ecologia della Terra tornerà in buona salute… tornerà in buona salute quella “forma di vita” nota a molti col nome di Gaia.
Perché ciò possa accadere è necessaria la nostra scomparsa.”
Alcune associazioni mediche per la lotta contro i tumori si sono lamentate dell’ormai cronica difficoltà all’accesso ai siti contenenti platino grezzo (causa draghi) e al vertiginoso innalzamento dei prezzi di tale metallo, diminuita l’offerta.
Come sappiamo, il platino, oltre all’uso nelle marmitte catalitiche delle automobili, negli elettrodi e nel campo dell’analisi termo-gravimetrica, mostra una buona attività anti-tumorale per mezzo degli agenti antineoplastici a base, appunto, di platino.
Data l’ormai considerevole quantità di draghi (a causa dell’abbondanza di cibo e della facilità di procurarselo) e data una lacunosa legislazione in materia di diritti del drago, molti laboratori si procurano esemplari vivi o morti per effettuare studi scientifici.
In Italia, i movimenti animalisti, che cercano da anni di includere il drago nell’articolo 13, si scontrano con le “esigenze” delle grandi compagnie farmaceutiche.
In Spagna, data l’abbondanza di draghi nella regione dei Pirenei e data la legislazione pro-drago totalmente assente, si assiste a un bizzarro revanscismo della pressoché defunta classe nobiliare iberica sulla borghesia nell’organizzazione di corride con questi animali al posto del toro.
Il drago interessa gli ingegneri genetici per una straordinaria particolarità presente nel suo DNA. Esso, infatti, è l’unico vertebrato ad avere sei arti. Oggi sappiamo che ciò è dovuto all’evoluzione del gene responsabile della creazione degli arti.
In definitiva, il drago è diventato da creatura mitologica un fenomeno sociale.

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