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venerdì 20 aprile 2018

Di band metal - post molto lungo

copertina di album Black Metal a cazzo. ora ci vorrebbe solo il generatore di titoli Black Metal


Bella raga!

Come ho detto nella rece de I Guerrieri di Wyld, il mio blog non ha un argomento preciso, ma spazia a seconda di quello che ho necessità di scrivere.

Qui parliamo di Metal - nelle sue varie sfaccettature - e di persone.

sabato 28 marzo 2015

Monza - articolo su quella città


Per anni mi sono chiesto cosa non andasse, perché la mia vita subisse così spesso tanti piccoli eventi trascurabili in sé, ma fastidiosi se sommati. Ho considerato a lungo se scrivere o no questo articolo, ma le cose non dette si perdono nel tempo ed è come se non fossero mai esistite o mai provate dall’animo umano.
Il problema era Monza.

mercoledì 24 dicembre 2014

Dopo aver visto Tenacious D (che non c'entra un c***o) - Recensione

il plettro del destino di Tenacious D

Sono un editore.
Ma questo non è un articolo per glorificarmi. Dico solo che sono contento del lavoro che faccio.
Abbiamo iniziato ormai anni fa (tre tipo?) io e Valerio Villa. Eravamo assieme alle superiori e ci legavano il Metal, i giochi di ruolo (mocca ai giochi di ruolo) e i libri!
Fortunatamente non siamo diventati malati di giochi di ruolo (anche se io da poco e dopo undici anni ho ricominciato a giocare a un gioco di ruolo a cui non avevo mai giocato, ossia Warhammer, e mi sono e mi sto divertendo molto) ma siamo diventati un impiegato (io) e un libero professionista (lui).

Io mi sono ammalato di sparatutto in prima persona sulla PS3, ma questa è un'altra storia.

Si è unito a noi, nel corso degli anni, Stefano Tevini, prima come autore e poi come editore. Quindi siamo tre soci come i tre porcellini.

Non so quale dei tre sia io.

illustrazione di Bob Dob

Tenacious D del titolo non c'entra una minchiazza, ma l'ho appena visto e mi è piaciuto tantissimo.

Questo per dire cosa...

lunedì 1 dicembre 2014

Come m**chia si scrive? - articolo sulla formattazione di stile del testo





Questa è una schermata del computer Olivetti M24. Non ridete sull'M24 e non mi spaccate il c*zzo, perché è stato il mio primo computer e ci sono affezionato. I primi racconti li ho scritti là sopra. E l'Olivetti era una grande azienda; era all'avanguardia ed era italiana - un tempo.

Ad ogni modo.

Ho deciso di scrivere questo articolo perché ho notato che molti non conoscono il corretto uso del corsivo, dei numeri e le trattino e lineetta nei testi letterari.

Leggete bene, adagio e più volte.

venerdì 28 novembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 6 - epilogo


The Blue Marlin Leaping To Eat - Terry Fox


Schizzò acqua e mancò il pesce. La grossa femmina s’inabissò e fece un paio di giri. Il morso di prova era andato a vuoto e non le aveva fatto capire che cavolo di bestia fosse quella. Lo squalo si sentiva nervoso e i suoi canali di muco vibravano in continuazione sotto la pelle grigia. Con la manovrabilità di un caccia, virò e tornò a puntare il muso in alto. L’acqua le sdrucciolò lungo i fianchi mentre prendeva velocità. Gli occhi si chiusero dietro una membrana protettiva, mentre la bocca si apriva per il morso. Poi, essa sentì sui denti una pelle scagliosa, che cercò di sbriciolare, e un morso tremendo le strappò le branchie. Si sentì disorientata e cercò di spostarsi. Qualcosa la tratteneva. Il coccodrillo le strappò la pinna pettorale sinistra o e la sventrò. Utero e intestini uscirono assieme a una nuvola di merda e sangue. La lucertola si fece colare in bocca un grosso pezzo di squalo, poi ficcò la testa per controllare la situazione. Vide il corpo inabissarsi, lasciandosi dietro una scia rossa, come fosse un aereo colpito.

giovedì 6 novembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 5






Era lungo appena un metro e il coccodrillo se lo girò nell’acqua facilmente e gli strappò la testa. Lo squalo decapitato cercò di fuggire e il coccodrillo se lo ingoiò intero. Distrusse così un bestione pigro di due metri e un altro squalo nutrice di appena novanta centimetri. Poi si lasciò scivolare in acque più alte. Navigò assieme ai pesci pappagallo e ai pesci pilota. Spostò uno sparuto branco di squali pinna nera e si spinse nel territorio dei rissosissimi grigi. Il coccodrillo si lasciò dietro parecchi chili di merda accumulati negli intestini. Nuotò leggero, orinando nell’acqua e spingendosi sull’orlo della barriera. Gli squali grigi cominciarono la loro danza aggressiva. Le pinne pettorali del più grosso erano completamente all’ingiù e la gobba da gatto era pronunciatissima. Destra, sinistra, sinistra, destra… il coccodrillo li lasciò fare. Nuotava semisommerso, con la bocca aperta e la speciale valvola chiusa a impedire che gli entrasse acqua in gola. Il grigio attaccò nello stesso momento in cui il coccodrillo si ficcava sotto. Il muso dello squalo stridette sui fianchi scagliosi del bestione. Il coccodrillo si girò e staccò mezzo fianco al grigio.

lunedì 27 ottobre 2014

Plancton - racconto a puntate - 4





Pochi centimetri d’acqua brillavano al primo sole sui dorsi degli squali nutrice. Queste piccole bestie se ne stavano le une attaccate alle altre, immerse nei canali vicinissimi alla costa e sulle spiagge, fra labirinti di mangrovie e piante acquatiche.
Verso l’abisso, sull’orlo della barriera, un gruppo di squali grigi piuttosto piccoli aveva fatto fuori una lampuga di due metri e se ne stava spartendo la carne bianca, sfilacciosa. Tre di questi squali calarono in picchiata lungo la parete, fino a raggiungere una bio-costruzione multicolore di piccole canne pietrificate e ombrelli di funghi sottomarini. Mentre gli squali se ne stavano lì a ciondolare, le loro ampolle di Lorenzini captarono qualcosa. L’enorme femmina di squalo toro era uscita dalla tana, disturbata dagli intrusi. Gli squali grigi non riuscivano a distinguerne la forma, coi loro piccoli occhi dalla fessura verticale, ma sapevano che era lì e esattamente a che distanza. Erano profondamente seccati. Il più grosso – superava di poco il metro e mezzo – cominciò la danza d’allarme. Buttò le pinne pettorali in basso, assunse una posa ingobbita e cominciò a nuotare esageratamente da destra a sinistra e viceversa. Lo squalo toro prese a nuotare in un modo più fluido, tenendo d’occhio il grigio. Scivolò via, lasciando il campo ai tre grigi. Era una femmina grossa, certo, ma gli squali grigi, col loro carattere particolarmente aggressivo, riuscivano spesso a intimidire bestie ben più grandi.

giovedì 25 settembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 3




 
Il polpo si era lasciato cadere mollemente sui tentacoli, sdrucciolando lungo la parete. Aveva evitato la tana della polpessa e puntava per il fondale sabbioso, appena illuminato dagli ultimi raggi del sole. Era un tipo cauto e non faceva che cambiare colore. Si adattava ai toni dei coralli rapidamente, stava fermo per un po’, per assicurarsi che nessuno facesse caso a lui, e riprendeva a scendere. Sapeva dell’aragosta dalla grande corazza, ma non la giudicava un obiettivo fattibile, non per il momento. E poi quella viveva sulle rocce, fra i coralli, nella sua tana piccola piccola.
In quattro anni, il polpo più volte aveva osservato un fenomeno interessante. Sul fondo, in mezzo a una distesa deserta di sabbia, c’erano due enormi rocce. Erano cadute lì da chissà quanto – per il polpo c’erano sempre state – e avevano la superficie coperta da piccoli buchi senza uscita. Le aragoste più piccole le usavano come tana. C’erano famiglie intere di crostacei che vivevano lì. Il polpo si lasciò cadere e scese al livello del fondale. Esplorò per un po’ i dintorni e poi si nascose fra le due rocce. In mezzo, c’era una vasta distesa di sabbia. Il polpo aspettò fino e ben oltre il limite del suo orario di caccia. Rimase lì e vide, da sotto la sabbia, i raggi del sole che adagio adagio svanivano, per relegare gli abissi nel buio profondo.

martedì 23 settembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 2




Lo squalo avvertì un tremito involontario dal suo piccolo pilota all’avvicinarsi di una lampuga. Questa era un pesce predatore, simile a una specie di piccolo tonno e molto vorace. Quell’esemplare era lungo due metri e, come lo squalo, era femmina. Il corpo era lungo, compresso ai fianchi, con la parte frontale sporgente e simile a una mano chiusa a pugno. Ce n’erano molte come essa e nuotavano in branco sull’orlo della barriera. Erano arrivate da qualche giorno e avevano messo in allerta i pesci pilota. Lo squalo scivolò di fianco a un pesce pappagallo talmente addormentato e ben nascosto, da essere ricoperto da una pellicola di muco, risalì l’orlo della barriera e planò di pancia in uno dei numerosi, piccoli canali. Proseguì lasciandosi sfiorare dai coralli e salendo di poco. Ora la pinna spuntava dall’acqua, mentre la pancia sdrucciolava sul fondo sabbioso. Doveva sicuramente esserci qualcosa lì nascosta: tanti squali giovani incrociavano in quelle acque giorno e notte, preferendo trenta centimetri di spazio alla profondità dell’orlo della barriera.

martedì 2 settembre 2014

Plancton - racconto a puntate - 1




Il plancton galleggiava nell’acqua, trasportato dal movimento delle onde. Era una grande massa, composta da unità di varie dimensioni, l’una quasi totalmente dissimile dall’altra. C’erano i virus, i batteri – che si nutrivano decomponendo le altre forme di plancton – e poi le forme più grosse, come il mesoplancton, che poteva arrivare fino ai due centimetri di grandezza. Al limite del gruppo, il megaplancton – che poteva essere considerato plancton per il rotto della cuffia, una vera specie di bestioni che arrivavano fino ai due metri. Certe meduse rientravano in quel gruppo.
I batteri planctonici non erano alla base della catena alimentare del plancton, il fitoplancton sì. Il fitoplancton era composto per la maggior parte da alghe monocellulari che riuscivano a sintetizzare la materia organica attraverso la radiazione solare e certe sostante disciolte nell’acqua. Poi c’era lo zooplancton, composto per lo più da protozoi. Questi protozoi erano uno diverso dall’altro e si spostavano appena muovendo piccoli flagelli. Erano traslucidi e pulsanti, vibranti d’acqua e di vita. Si spostavano come una ricca massa sulla pellicola delle onde.

martedì 1 luglio 2014

La solita storia - articolo


"Ma quante ne so!"

Tutte le storie mi sembrano uguali. Sono tutte derivative e per una ci sono migliaia di storie sosia. L’eroe, il guerriero, l’eroina. Il cowboy, l’investigatore, il personaggio storico, l’archeologo, l’avventuriero. L’uomo innamorato della donna. Il killer. È sempre tutta la solita stessa storia ed è difficilissimo, se non impossibile, uscire dallo schema. Certo, per esempio, London ha scritto di Zanna Bianca, quindi ha dato la parte del protagonista a un cane, ma nel cane noi possiamo benissimo identificarci e dunque che cos’è Zanna Bianca se non un uomo travestito? Dunque come possiamo far sì che una storia non sia la storia che tutti gli scrittori del mondo scrivono?

giovedì 29 maggio 2014

L'anniversario - Tante storie di fantascienza





L’apocalisse zombie iniziò quando uno scienziato in California mischiò il virus della rabbia a un polpettone che aveva da giorni in frigo e diede da mangiare tutto al gorilla del laboratorio. Dopo qualche ora, il gorilla cominciò a piangere sangue, morì e resuscitò zombie. Lo scienziato, invece di tenerlo al sicuro in una cella, fece una cosa idiota, tipo insegnargli la matematica. Il gorilla-zombie di matematica non capì nulla e morse lo scienziato al braccio. «Piango sangue e vorrei mangiare i miei figli.» lo scienziato cercò di ignorare i sintomi per qualche ora, poi andò all’ospedale, e il dottore lo fece sedere su una sedia. «Lei ha poco controllo motorio, interessante.» disse il dottore, compilando un documento a caselline prestampate. «Dunque, apra la bocca e dica “aaaaaaah”» lo zombie aprì la bocca e mangiò l’abbassalingua e il braccio del dottore. Il dottore cominciò a girare per tutto l’ospedale, graffiando, mordendo e vomitando sangue infetto su medici e pazienti.
Qualche giorno dopo, sul Daily Times leggemmo le rassicurazioni del governo. Poi ci fu l’edizione straordinaria e leggemmo “Siete fottuti!”.

martedì 27 maggio 2014

Megzom - Tante storie di fantascienza





Jen spinse il Boston Whaler lontano dalla riva, verso il mare aperto. Si accese una sigaretta e stappò una lattina di birra.
Controllò il riferimento GPS che aveva tracciato ore prima, al passaggio del peschereccio giapponese.
Jen, che si era trovata per caso in mare, aveva visto la grossa barca perdere una delle preziosissime lenze a strascico. I giapponesi le usavano per pescare i tonni. Ma lei aveva un’altra idea. Sorrise e sputacchiò birra, al pensiero di suo marito.
Burt Harrison, australiano, enorme e biondo, l’aveva portata a Mahé nove anni prima. Pescava squali ed era diventato proprietario di un piccolo cutter su cui faceva lavorare un equipaggio di creoli.
C’erano stati anni di abbondanza. Poi erano arrivati i giapponesi con le loro “tonnare volanti” lunghe chilometri. Ed era finito tutto.

martedì 11 febbraio 2014

Cavour - un racconto breve sul risorgimento

"ma quante ne so!"

Torino, 11 febbraio 1859.
Camillo Benso, conte di Cavour, sedeva nel suo gabinetto, meditando ad alta voce sui libri contabili del Regno.
«Servono soldi! Con la guerra abbiamo accumulato un debito di un miliardo di lire, e gran parte di questo denaro bisognerà restituirlo alla Gran Bretagna.»
Quando bussarono alla porta, il Conte disse: «Entrate.» si tolse gli occhiali a pince-nez e passò due dita sulle palpebre stanche.
«Conte, buonasera.» non aveva bisogno d’essere annunciato l’uomo che entrò nel gabinetto di Cavour. Aveva un paio di baffi lunghi e all’insù, un viso largo, dai tratti nanoidi e due occhi piccoli, da faina. Il volto era incorniciato da una raggera di capelli ondulati, tenuti assieme in una pettinatura rigida da chissà quale pomata.
«Vostra Maestà, buonasera a voi.»
«Facevate i conti?» domandò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia.

giovedì 6 febbraio 2014

A bootleg liquor-powered android - Tante storie di fantascienza




Guidava da quattro ore bevendo caffè, quando vide il ranch nel deserto. L’ultima invenzione era produrre il whisky in Messico e scaricarlo lì. C’erano tre furgoni e dei cavalli. Non che Ames fosse uno sbirro o baciasse il culo alle “sorelle della temperanza”. Stava seguendo una traccia e sperava che fosse la volta buona.
Guidò la macchina fra i cespugli e giù per una duna, a ridosso di un canyon. Afferrò il mitra e risalì la scarpata. Se sbirri e federali l’avessero beccato con quel ferro in pugno… beh, c’era la gattabuia a Florence. Doveva andarci coi piedi di piombo ed eliminare ogni traccia.
Si avvicinò al ranch da nord. Le ombre erano lunghe.
Poco più in là, dei tizi fumavano e scaricavano casse in uno dei furgoni. Forse avrebbero riempito solo quello, usando gli altri come specchietto per le allodole.
I veicoli erano tutti uguali. Sulla fiancata c’era scritto “servizio postale degli Stati Uniti”. Non sapeva come avrebbero fatto ad abbattere i costi di trasporto. Il liquore, sicuro, era distillato da robaccia messicana e venduto oltreconfine per pochi centesimi o addirittura, per niente. Magari c’era un accordo con gli sbirri di frontiera e questi chiudevano un occhio sul viavai da Nogales.
Si avvicinò. Oltrepassò i recinti e si nascose dietro un abbeveratoio. Sopra di lui correvano i fili del telegrafo e i pali della luce elettrica.

martedì 4 febbraio 2014

Deadwood, 1885 - racconto western

un bel disegno di TheGeef che rappresenta Al Swearengen, interpretato dall'attore Ian McShane nella fiction "Deadwood". Trovate l'originale qui.



«Gesù Cristo, Percy! C’è un uomo qui!» le urla di Caradog Pritcher svegliarono il vicesceriffo Percy Withmore e gli fecero impugnare la pistola. Caradog era un duro minatore gallese: non avrebbe mai urlato senza motivo, non a quel modo.
Percy scrutò la cella alla luce della sua lampada ad olio. «Signor Pritcher?» chiamò, alzandosi.
Sentì qualcuno che mugugnava qualcosa e si allarmò. «Signor Pritcher!» ripeté.
«Percy, brutto idiota! Sbrigati e apri la cella.»
Il sospetto si fece strada nel cervello del vice, mentre la lampada sgranocchiava le ombre.
«Signor Pritcher, non mi prenda in giro.» azzardò Percy. «C’è un uomo, ti dico!» sbraitò l’altro. «Qui, legato e imbavagliato, davanti a me.» aggiunse.
«E prima non c’era?» domandò il vice. «Cristo Santo, Percy Withmore! Fammi uscire.» disse il gallese.
Ora, il vicesceriffo si trovava davanti alla cella. La luce si posò sopra un uomo seduto su una sedia, legato mani e piedi e imbavagliato. Un uomo vestito in maniera strana, con una specie di tuta da minatore completamente arancione.
«Un negro.» disse Percy, guardando il cranio lucido e scuro. L’uomo aveva gli occhi stretti per via della luce e mugugnava qualcosa.
«Mi credi adesso?» domandò Caradog. Percy deglutì e una goccia di sudore gli scivolò fra i peli della barba. «Sarà meglio chiamare lo sceriffo.» disse.
«Ehi, bastardo! Non mi lasciare con questo tizio! È apparso dal nulla, ti dico.» sbraitò il gallese.
Ma Percy Withmore si precipitò fuori, con una mano sul cappello e la lampada in pugno gridando: «Sceriffo!»

venerdì 10 gennaio 2014

Li pecuri de Valle Renia - racconto




Su da Valle Renia, l’aria odorosa di terra e gli sgorbi di vapore che s’alzano dai quarti dei muli; lo sferraglio dell’armatura e degli strumenti legati alla groppa.
Nell’aria gelida che finge inverno, i piedi di Andrea raschiarono la terra e il suo sguardo si posò sul viola delle prime campanule e sul rosso degli steli d’erba ancor bruciati dal freddo.
La schiena di Niccolò della Torraccia era coperta da un mantello e divisa da una spada infoderata. La testa era nascosta dalla cuffia sporca e una lancia enorme scandiva il passo, a mo’ di bastone.
Nella nebbia, come lamenti dei morti, belati di pecore scivolarono flebili sulle ossa della terra, raggiungendo Andrea in quella specie di sonno che consumava in piedi.
Un picchio tambureggiò sul tronco d’un acero enorme, lasciando impassibile Niccolò e attirando l’attenzione di Andrea.
«Quanto ancora, gran siniore?» domandò Andrea, inspirando nebbia.
Niccolò puntò la lancia. «Trovasi colà la Torraccia, frate. Domus mea
Come evocata, essa spuntò dai nodi di bruma. Era alta e sbreccata: a forma di corna di diavolo. Stava al margine più orientale di Valle Renia.
«Lo ultimo territorio cristiano.» disse Niccolò.
Poi rimase in silenzio per lungo tempo.

mercoledì 8 gennaio 2014

Il drago: fenomeno sociale



Prendiamo un maschio adulto di montagna: esso sarà lungo dai sei agli otto metri e arriverà alle due tonnellate. Un drago del genere avrà il dorso di un colore uniforme e possibilmente scuro, questo perché non ha più bisogno di “far paura” agli eventuali predatori, come da cucciolo.
Se n’è parlato un sacco, dei draghi. L’evoluzione li ha fatti adattare ai cambiamenti del nostro mondo e oggi, etologicamente, possiamo chiamare i draghi “terrestri”, proprio come l’uomo o come un coniglio, un cane, un gatto. Terrestre non è un sinonimo applicabile esclusivamente a noi, ma ha uno spettro più ampio. E dunque include il drago.
S’è già detto della particolare vescica dei draghi. La natura li ha dotati di quest’organo che serve ad accumulare gas (idrogeno e metano) liberato dai batteri dello stomaco, batteri speciali, presenti solo nel corpo del drago. Tali batteri sono capaci di trasformare in gas il cibo e la roccia ingeriti dall’animale. È proprio questa vescica, piena d’idrogeno, ad aiutare il drago nel volo, perché in effetti esso non rispetta in alcun modo le proporzioni ala-corpo stabilite dalla natura per volare. Le ali del drago, cioè, sono troppo piccole per il suo corpo e la sua massa. Se non fosse per la vescica riempita d’idrogeno, il drago non volerebbe. D’altronde, esso non sa di non poter volare, un po’ come il bombo.

sabato 21 dicembre 2013

Il Natale nelle Lande di Ghiaccio

Gorbash e l'so amis tazzano direttamente dalle botti...


Questo post non ha valore letterario (ma perché, gli altri sì?) ma viene dritto dai miei ricordi.

Quando ero bimbo, di solito passavamo il Natale e il Capodanno nel paesino di Barzio, in Valsassina. Lì mio zio affittava tutti gli anni una casa in una piccola palazzina che io ricordo a ridosso della montagna (non chiedetemi quale montagna sia, però, che io di montagna e cose da montagna non ci capisco un emerito cazzo).

Ricordo che questo appartamento aveva un balcone molto grande che addirittura correva su due lati del palazzo. Ed era tutto nostro.
Di solito mio zio ci metteva su le lucine, poi faceva l'albero e addobbava tutta la casa. Lui è sempre stato uno meticoloso per questi dettagli.
Il risultato era un Natale a misura di bambino, preciso e senza errore. Una festa!

Spesso venivano i nonni (i genitori di mio padre e mio zio) da Palermo e s'andava a mangiare tutti al ristorante Esposito lì di Barzio.

l'Esposito! A mia nonna piacevano tanto quei fiori lì!
Poi s'andava sulla neve con lo slittino. Tra parentesi, mio zio continua a ripetermi che una volta con lo slittino ho falciato un prete dell'oratorio del paesino.

giovedì 5 dicembre 2013

Quanti scroll di mouse leggi su internet? - artichelo


Questo è un artiCHElo. Oggi ho voglia di chiamarlo così.
Articolo è 'na parola vecchia, anzi, ve''hia, come direbbero aPPisa.

Quella che vedete sopra è una pergamena, in inglese, scroll. C'è un'altra parola inglese che la definisce, ed è parchment, ma il parchment - che da noi si traduce comunque con "pergamena" - in inglese indica solo il materiale di cui è fatta la scroll.

Preciso. Scroll si traduce con "arrotolare" e indica, più che la pergamena fisica, il rotolo. Questo rotolo può essere di pergamena, di papiro, diquelcavolocheè (un materiale della Madonna).
Fra gli antichi romani era conosciuto come volumen. Tutti i libri erano scroll di pergamena o papiro: erano volumii (due i?)

Poi, il bisogno di diffusione religiosa che aveva in seno la Chiesa Cristiana (dapprima quella Cattolica e poi le altre) ha spinto per la creazione di un metodo di consultazione delle parchment più rapido, più facile, ergonomico, immediato.
Da qui, la creazione del codex, ossia il libro come lo conosciamo oggi.

Sto divaganji.

Perché?