martedì 13 dicembre 2011

Standosene seduti su una poltrona di plastica rossa

Sono tornato dal parrucchiere cinese. È successo sabato scorso. Era la terza volta. Ebbene, già ne avevo avuto il sospetto, ma ora ho la conferma del perché io vada dal parrucchiere cinese: è come studiare antropologia e sociologia standosene  comodamente seduti su una poltrona di plastica rossa con l’imbottitura che esce fuori.
Arrivo dalla strada buia e vedo un mondo di colori che mi invita a stare in piedi a osservare.
Tre cinesi tagliano i capelli. C’è una piccola donna con un maglione verde, di marca, che pettina e fa la piega; c’è il “mio” cinese – quello che sembra tranquillo e un po’ addormentato – c’è il “capo”: un cinese con la crestina e l’orecchino a sinistra. Alla cassa, c’è una donna dai capelli molto lunghi e dal viso così schiacciato da sembrare piatto come una zona d’atterraggio per elicotteri.
Nel retrobottega, vedo un’altra donna che cerca di tenere a bada un bambino.
L’atmosfera che si respira è di impermanenza, di sciatteria genuina, di un mondo antico, regolato da una trama di rapporti sociali da villaggio agricolo di una regione al di là della Grande Muraglia.
Cinesi al lavoro, cinesi che parlano fitto, fitto tra di loro, che tagliano i capelli, che non si fermano mai, che sembrano così fuori luogo imbrogliati nelle loro copie di magliette e jeans alla moda; cinesi con la mentalità così lontana dalla nostra da sembrare alieni travestiti che abbiano aperto un negozio di parrucchiere per studiare noi ignare pecore spendaccione.
E ho visto come sta cambiando la società italiana. Ho visto quegli invisibili che adesso costituiscono uno strato ben presente di popolazione sul nostro territorio. Ho visto le seconde generazioni di immigrati legali, le ho sentite parlare italiano con l’accento brianzolo, le ho viste ridere, muoversi proprio come noi.

Ma anche noi non ci siamo forse adattati a suo tempo? Anche noi, non abbiamo avuto prime, seconde e terze generazioni? E cosa definisce il “noi”? cosa definisce il “nostro”?
Celti, italici, longobardi, spagnoli, francesi, austriaci, italiani, settentrionali, meridionali: l’uomo ha nei propri geni il völkerwanderung, l’uomo si muove, conquista terre, si amalgama coi popoli.
Quando sono entrato, ero l’unico italiano di ceto medio. Due donne – italiane – delle case popolari aspettavano che i cinesi tagliassero loro i capelli e facessero loro la piega. Le ho viste pesantemente truccate, con la pelle e le mani rovinate – eppure erano giovani, potevano avere cinque, dieci anni in meno di me e sembravano più vecchie. Parlavano con quell’accento e in quel gergo che contraddistingue le seconde, terze, quarte generazioni di meridionali di ceto basso.
D’altra natura erano le sudamericane: più calme, più raffinate, più impettite. Mi è rimasta impressa una nonna molto giovane che – parlando in italiano dal forte accento – spiegava al cinese come tagliare i capelli alla nipote. Era autoritaria, premurosa, nobile. Mi ha fatto venire in mente mia nonna. Avevo l’idea che se il cinese avesse sgarrato nel taglio, lei gli avrebbe mozzato la testa.
Le sudamericane erano vestite meglio delle italiane, segno che per loro andare dal parrucchiere cinese era una cosa mondana, un’occasione di ritrovo, di comunione. Per loro, forse, gli otto euro del parrucchiere cinese – ehm, scusate, otto per gli uomini e tredici per le donne – sono una spesa non indifferente che dà a quel negozio un altro valore ai loro occhi.
Mentre aspettavo, in piedi, è arrivato un uomo dell’est. Aveva secoli d’Unione Sovietica negli occhi che gli regalavano uno sguardo umile, sottomesso. Non osava fissare nessuno. Noi italiani invece, dall’arroganza di millenni di storia, guardiamo tutti negli occhi come volessimo rubare l’anima alla gente. Nordafricani e uomini dell’est sono – qui – umili come veri uomini.
La nonna ha spiegato per filo e per segno il taglio al parrucchiere; le altre sudamericane hanno parlato fra di loro, sorridendo. Una delle italiane ha parlato con me senza quella rigidità che ormai contraddistingue i rapporti fra noi esseri “civilizzati”.
Come se fossimo in un altro tempo.
Forse il parrucchiere cinese nasconde un portale mistico, forse è un mondo “dietro lo specchio”.
Forse.

FINE

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