giovedì 22 marzo 2012

Tomos


Mio padre aveva un Tomos blu. Un motorino iugoslavo, bello. Ci portava me e mia sorella a fare i giri nel parco pieno d’alberi e d’erba in via Sangalli, accanto alla scuola elementare Citterio, che poi era la mia scuola. Il motorino aveva un rombo suo, una specie di forte lamento continuo di nota sinusoidale che mi faceva felice e io stavo aggrappato alla schiena di papà che era larga, forte e avvolta in una maglietta chiara. Qualche volta mettevo la gamba sul tubo di scappamento e mi bruciavo. Qualche volta sentivo il cuore in gola per un sobbalzo su una pietra. Qualche volta passavamo sotto i rami d’un albero basso e mi sentivo le foglie in bocca.
Queste gite duravano tanto, a me sembra, e mi facevano divertire molto. Mia sorella si divertiva anche lei! I suoi capelli lunghi e neri svolazzavano al vento, mentre stava aggrappata al serbatoio del motorino. Il terreno era marrone e morbido come cioccolato. Gli alberi odoravano di terra. Il percorso sembrava accidentato, lungo, pieno di curve, di salite, di discese. Bello. Mio padre aveva una chioma nera e tutta riccia. Era giovane e forte. Aveva una volontà di ferro. Non ne fanno più di padri così. E mi dispiace per i figli, mi dispiace per i figli che avrò io. Perché il loro papà sarà, se non cambia qualcosa, debole, magro, stanco e triste.

1 commento:

  1. Ci sono passato stamattina da quel parco in via Sangalli. L'hanno recintato con una rete verde e ci hanno messo i giochi per i bambini. Ma una volta era selvaggio, pieno d'alberi ovunque e di foglie e cespugli e a me, bambino, sembrava una foresta.
    Vi dico tutto ciò perché non scrivo per me, ma per voi. Per Voi.

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