venerdì 21 settembre 2012

Vedi N. e poi muori




Le Vele, Scampia, Napoli.

Carmine immerse il braccio nel catino d’acqua. Gliel’aveva preparato zia Maria, la maga. La zia lo guardava dietro gli occhiali scuri; aveva una coda di cavallo nera come il buio e un crocifisso d’oro al collo.
L’acqua era torbida. Carmine non sapeva cosa ci avesse messo la zia. Non lo doveva sapere o c’era il rischio che la magia non funzionasse.
Maria gli mise una mano sulla fronte e ce la tenne. La mano era ruvida, piena di calli.
Dal ballatoio si srotolarono le spire d’una canzone neomelodica.
Ci fu una raffica di fucile automatico.
«I uaglioni giocano!» commentò Maria. Aveva una voce profonda come il suono del vento.
Carmine scosse la testa. I uaglioni giocano, pensò. Come facevo io.
Era stato quanto tempo fa? Il giorno appresso.
Sembra una vita, pensò.

Carmine era diventato uaglione ‘e malavita e doveva festeggiare. Era uscito con Enzo e Lello. Avevano dei catafalchi di AK-47. Quello di Carmine era stato di suo zio Ciro e Ciro era uno con la mania dei teschi, perciò l’AK di Carmine era pieno di teschi.
La zia aveva un dito sporco d’olio; con quello tracciò una croce sulla fronte del ragazzo.
Carmine si guardò il braccio. Sotto l’acqua vedeva il morso, poco prima dell’attaccatura del polso: una mezzaluna incisa da denti umani con una specie di sostanza biancastra, simile a filamenti di sperma.

* * *

Enzo e Lello sparavano raffiche in aria. Carmine urlava e rideva.
Erano scesi giù a guardare l’immondizia che bruciava. Poi qualcuno aveva proposto: «Andiamo da zio Ciro!»
Carmine si sentiva forte: doveva far vedere agli amici d’essere forte. Così avevano camminato nella terra di nessuno, fino a dove stava lo zio Ciro.
Gli spacciatori li avevano fatti entrare e avevano scambiato qualche parola.
«Fatti rispettare Carmine.» gli aveva detto uno, fumando una sigaretta.
Lì dentro c’era lo zio Ciro. Carmine ne aveva sentito le urla.
«Avanti Carmine!» aveva detto Lello.
E lui s’era fatto avanti. Ricordava d’aver stuzzicato lo zio col fucile, d’avergli ficcato la canna nell’occhio, d’avergli sputato in faccia.
Poi zio Ciro l’aveva morso.

* * *

Maria si tolse la catenina d’oro col crocifisso: «Bacialo!» disse a Carmine. Lui obbedì.
I uaglioni avevano smesso di sparare e stavano arrivando. Carmine sentì i passi sul ballatoio.
Non ci misero tanto a raggiungere l’appartamento. Era al primo piano.
Percorsero il ballatoio, schiacciando le siringhe dei tossici sotto le scarpe da ginnastica. Avevano i kalashnikov. Li seguiva una figura silenziosa, al guinzaglio.
Carmine si girò e tolse il braccio dall’acqua. I filamenti di sostanza bianca gli rimasero appiccicati al morso. Afferrò il suo fucile pieno di teschi e se lo mise contro il petto. Guardò Enzo e Lello dal mirino.
Enzo era in carne e aveva la faccia da rana. Gli occhi erano azzurri e cattivi. Lello era più magro e aveva gli occhi verdi: indossava un piumino blu con una striscia rossa sul petto.
«Lo sai perché stiamo qua.» dissero, in dialetto napoletano. «I’ nun song comm’ a cchill’.» Io non sono come quello. Carmine aveva puntato il dito sulla figura che si nascondeva dietro ai due. Enzo aveva sorriso e aveva detto: «Fra qualche ora sì. Ed è meglio che ti fai fare l’iniezione calmante, così servi il clan come uomo di fatica d’uno di noi. Sinnò t’avimm’ a mmazza’.» Sennò ti dobbiamo uccidere.
«Uomo di fatica o muort’ di fatica?» chiese Lello, ridendo. Carmine lo guardò con rabbia.
«Citt’ strunz’.» zitto stronzo, gli disse.
«Allora, ti fai fare l’iniezione?» domandò Enzo. Carmine sollevò il mento: «Sì, per diventare schiavo di uno comm’ a tte
Enzo lo guardò con occhi duri. Diede il fucile a Lello e, con deliberata lentezza – quasi a sottolineare come non avesse paura di Carmine – si accese una sigaretta. Il volto gli sparì in una nuvola di fumo, per riapparire subito dopo, sorridente.
«Lo vedi a zio Ciro?,» disse Enzo, indicando l’essere al guinzaglio, «gli abbiamo fatto oggi l’iniezione e lui sta buono.»
«Lo portiamo in giro come un pitbull!» esclamò Lello, ridacchiando. «E dove l’avete preso il calmante?» domandò Carmine, sollevando la testa.
«Ce lo hanno dato,» rispose Enzo, «siamo persone che contano ora.»
«E tu si muort’.» disse Lello, ridacchiando. Carmine sentiva le lacrime salirgli agli occhi e un groppo fermarsi in gola. Possibile che quei due fossero pronti ad ammazzarlo? Possibile che lo volessero come il loro zombi domestico?
Quante ce n’erano di quelle bestie generate dall’apocalisse nelle Vele di Scampia? S’aggiravano per i sotterranei, per i passaggi bui, per i ballatoi in mezzo ai tossici e alle loro siringhe. Sedati dall’iniezione calmante, gli zombi diventavano robot di carne: docili con la mano del padrone, pronti a mordere quella del nemico.
E la Camorra aveva mandato in pensione i pitbull.
Poi c’erano gli zombi selvaggi, quelli ancora non sedati. Vivevano al di là delle mura del quartiere. Lo Stato glielo lasciava fare. La Regione aveva dato loro Napoli e aveva costruito una nuova, libera, città. Napoli era chiusa da mura di cemento invalicabili. Lo spazio aereo sopra la città era una no-fly-zone.
Quante volte Carmine, Enzo e Lello s’erano arrampicati sul muro a vedere Napoli! Vedi Napoli e poi muori, diceva il titolo di un film.
E gli infetti, gli zombi, stavano là sotto a camminare con la testa bassa e le braccia a ciondoloni. Ma quando sentivano l’odore degli umani o quando sentivano un rumore – e avevano i sensi finissimi – li vedevi bloccarsi e annusare l’aria. Come bestie. Li sentivi ringhiare e dirigere gli occhi ciechi su di te.
Non avevano cibo, ma qualche volta beccavano un cane randagio. S’aggiravano, come ebeti, fra la spazzatura. Si evitavano.
Alcuni – come zio Ciro – venivano tenuti dai camorristi all’interno delle Vele in buchi oscuri, con catene come guinzagli. Se avevi abbastanza fegato da entrare nel buco degli infetti, allora eri degno di far parte del clan. Eri degno di fare la sentinella, lo spacciatore per conto delle Famiglie; degno di possedere un fucile.
Carmine deglutì e guardò zio Ciro. Era una bestia magra, dal viso lungo e gli occhi folli. Era stato morso – come altri – al tempo della Vecchia Invasione degli infetti alle Vele, quando gli sbirri avevano aperto intenzionalmente i cancelli che dividevano il quartiere dalla città.
Chissà come vede il mondo zio Ciro, pensò Carmine. Forse meglio di quanto lo vedo io.
Ora che l’avevano sedato, sembrava tranquillo, indifferente. Solo ogni tanto le narici si contraevano all’arrivo di nuovi odori.
Ma Carmine non si faceva illusioni: sarebbe bastata una parola di Enzo o di Lello, e Ciro avrebbe sbranato lui e zia Maria. Com’era? Subito dopo l’iniezione calmante, davano allo zombi da odorare qualcosa del padrone, poi gliene facevano sentire la voce. E c’era come un imprinting: il padrone diventava sacro, intoccabile. A volte, diventavano sacri anche i suoi familiari. Alcuni uaglioni della Vela Azzurra avevano pure insegnato agli infetti a combattere l’un l’altro e li usavano al posto dei cani. E ci scommettevano soldi, droga, armi.
«Allora niente puntura?» domandò Enzo.
«Cchi t’è muort’!» fece Carmine. L’altro gettò la sigaretta e prese il kalashnikov da Lello. Tirò il carrello dell’arma con lentezza teatrale.
«E mo’ uccidiamo prima a zia Maria.» disse Enzo. La maga – che per tutto il tempo era stata accanto a Carmine e aveva guardato i due dalle lenti scure – urlò: «Uccidetemi e vi maledico!»
Lello deglutì e fece un passo indietro. Ma Enzo sorrise. Il calcio del fucile gli rinculò contro la spalla. E la testa di zia Maria s’aprì come un fiore. La donna cadde come una pietra. Il cranio era aperto e il cervello sparso a terra. Carmine pensò che il cervello della zia sembrava caffè macinato.
Ciro annusò il sangue. Dalla sua gola uscì un debole guaito.
Carmine urlò e armò il fucile. Vedeva la faccia di Enzo ondeggiare davanti a sé. Lello imprecò. Poi Enzo lasciò il guinzaglio di Ciro e gli disse: «Mangiati a stu strunz’
Carmine sparò una sventagliata e uscì sul ballatoio. I colpi sbrecciarono il muro. Uno rimbalzò e ferì Lello di strisciò, portandogli via un orecchio. Il ragazzo urlò come un porco scannato. Alzò il fucile e premette il grilletto. La raffica disordinata andò a conficcarsi nel cemento.
Enzo sparò. Carmine sentì come un soffio tra i capelli. Cazzo, m’ha sfiorato!, pensò. Sparò di nuovo, quasi senza mirare. Il kalashnikov gli s’imbizzarrì contro la spalla.
Carmine vide la gamba sinistra di Lello schizzare via. Il ragazzo cadde e mandò un breve, tremendo, urlo. Carmine vide zio Ciro correre con le mani in avanti; lo prese di mira e cercò di sparare. Lo zombi fece una cosa incredibile: si gettò dentro la casa di zia Maria.
Cazzo ha capito il pericolo!, pensò Carmine. Ma zio Ciro non poteva: era uno zombi e gli zombi perdono il cervello, la coordinazione motoria, tutto!
Carmine sparò ancora e fece saltare pezzi di muro. Poi si mise a correre. Doveva attraversare tutto il ballatoio per raggiungere le altre scale. Sentì una vertigine e s’appoggiò al muro. Gocce di sudore gli scesero sugli occhi. Carmine pensò al morso. Il braccio pulsava. Forse quella merda era già all’opera per trasformarlo. Enzo sparò una raffica e urlò: «Avanti strunz’!» facendo segno allo zombi di uscire dal nascondiglio.
«Che cazzo parli così a zio Ciro?» urlò Carmine, digrignando i denti. La testa gli girava. Fece uno sforzo, si staccò dal muro e sparò. Clic, fece il fucile. Enzo prese la mira con calma e disse: «Mo’ si’ muort’.» Ora sei morto.
Si sentì un ruggito. Ciro venne fuori dall’appartamento di Maria: camminava ingobbito e sbavava sangue misto a quella sostanza bianca.
Il ballatoio era pieno di siringhe, spazzatura, merda.
Ciro provò a correre verso Carmine. Enzo lo vide nella sua linea di tiro e alzò il fucile. Carmine si staccò a fatica dalla parete. Era stanco. Cominciò a correre lungo il ballatoio. Lo zombi aveva le gambe di un uomo di settant’anni. Era lento. Carmine riuscì a distanziarlo.
«Vostro schiavo un cazzo!» disse, fra i denti.
Poi scivolò su qualcosa di viscido e cadde sbattendo la spalla. La testa picchiò contro il cemento. Carmine ebbe un brivido. Convulsamente, premette il grilletto del fucile. Udì un clic. Zio Ciro s’avvicinava. La sua sagoma putrescente si ingrandì a ogni passo.
«Vaffanculo!» urlò Carmine. Sentì la risata di Enzo.
Ciro fece gli ultimi passi strascicati …
… poi si chinò su Carmine. Lo zombi aveva l’odore d’un arto amputato. Fece ondeggiare la sua faccia a un palmo da quella di Carmine. Poi aprì la bocca: una caverna scura piena d’ulcere bianche.
E si mise ad annusare. Annusò come una bestia selvaggia. Gli occhi bianchi corsero a destra e a sinistra. Poi si fermarono sul fucile di Carmine. Il ragazzo ansimava. Si sentiva la febbre. Deglutì. Poi vide la mano nera dell’infetto avvicinarsi e scivolare sulle decorazioni del fucile. Le dita toccarono i teschietti, il calcio, la canna. E qualcosa di simile a un sorriso s’insinuò nel ghigno da cadavere di Ciro. Una lacrima di sangue appestato scivolò giù dagli occhi.
Poi tirò debolmente il fucile. Carmine aprì le mani e lasciò che lo zombi prendesse l’arma.
Vide il mostro rannicchiato e gobbo: lo sentì che guaiva piano. Pur nel delirio della febbre, pur scosso dal dolore fisico, riuscì ad cogliere l’importanza del momento.
Disse: «Vuoi il fucile? È tuo. Lo sai.»
Concetti come il possesso erano estranei al mondo di quegli esseri.
Eppure lo zombi guaì più adagio. Poi allungò una mano. Verso Carmine.
Il ragazzo deglutì e chiuse gli occhi. Sentì una puzza tossica avvelenargli le narici. Poi una cosa rugosa e sporca gli sfiorò la faccia. Carmine rimase in silenzio, mentre lo zombi lo esplorava col tatto.
Il mostro fece un guaito diverso dagli altri. E lo ripeté. Più o meno disse: «’rrrrmmm’’neeee.»
«Sì, song’i’.» rispose il ragazzo, piangendo.
Più indietro, Enzo urlò: «Che cazzo è? Che siringa di mmerda m’hanno dato?»
Carmine lo vide armare il kalashnikov e avvicinarsi.
«Che cazzo gli hai fatto?» urlò ancora Enzo. Adesso era a poco più d’un metro da Carmine.
Dalla gola dello zombi esplose un basso ringhio. Enzo sgranò gli occhi: la sua faccia da rana si contrasse in una smorfia.
Poi zio Ciro gli saltò alla gola.

Fine

2 commenti:

  1. Ottimo, m'è piaciuto, un'ambientazione napoletana per mischiare zombi e Camorra. Mi chiedo solo come fa la camorra a tenere in piedi l'organizzazione in un ambiente chiuso come una città murata, ma un po' di sospensione dell'incredulità te la possiamo concedere. ;-)

    O.T.
    ti ho mandato una mail per il crossover di 2MM.

    Il Moro

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  2. Heilà! Gracias Moro! Ok, allora ti devo una sospensione d'incredulità ;)

    Sì, ho visto un documentario sulle Vele e mi sono detto: ci mancano solo gli zombi!

    Ora vado a leggere la mail!

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