“ … non sarò nessuno, ma fra le
mie pagine ho il potere di far rivivere Rudolf Hess, per esempio … ”
citazione anonima
A Nord del Picco
Inaccessibile, su una spianata artificiale, Hitler aveva voluto una pista
d’atterraggio.
Era la prima, ad Asgard.
E per lungo, lungo tempo,
sarebbe stata anche l’ultima.
Il vento soffiava dalla
costa lontana, trasformandosi in tubine di ghiaccio sulle montagne e gelando le
terre del Passo di Baldrin e la “Forca” del fiume Svansjo. Poi il vento, carico
d’odio, con la sua forza smussata, piombava tra le rocce, ululando sulla pista.
Rudolf Hess camminò verso
la sagoma del suo Messerschmitt Bf 110. L’aereo era un’enorme balena di ferro
di dodici metri, con due motori Daimler-Benz da mille cavalli.
Hess ne aveva curato di
persona la fase di smontaggio e di trasporto, con i pezzi imballati in casse di
legno e calati, attraverso un sistema di pulegge, nella “pozza” del castello di
Wewelsburg.
Dall’altra parte, su
Asgard, il Bf 110 era stato trasportato a bordo di muli lungo i sentieri a
Nord, fino alla spianata artificiale. Lì, era stato rimontato.
Hess salutò il nano aviere
all’ingresso e consegnò un documento.
«Il piano di volo.» disse,
in tedesco.
«Sissignore.» rispose il
nano, afferrando il documento e portandosi alle labbra un fischietto. Il nano
fischiò e un altro aviere corse, salutò e afferrò il documento, poi si mise a
trotterellare verso un gabbiotto di legno, di fianco alla pista.
Hess camminò a passo
svelto verso l’aereo; lo fece mentre indossava il casco e gli occhialoni.
All’ultimo, si toccò la tasca interna del proprio giubbotto da pilota: l’anello
runico riposava lì, lontano da ogni sguardo.
Adolf ha preferito a me quel Taubert!, pensò Hess, e
non mi ha incluso nella schiera dei dodici!
Doveva compiere un grande
gesto, di modo che il suo Fuhrer
avrebbe capito, avrebbe fissato di nuovo gli occhi sull’amico e sull’alleato di
sempre.
Distrattamente fissò le
due coppie di muli che venivano attaccate al carrello anteriore. Adagio, il Bf
110 fu spostato e messo in posizione.
Quando Hess salì
sull’aereo, di corsa fu raggiunto da un gendarme.
«Signore! Non abbiamo
alcun ordine per quel piano di volo.» esordì il soldato.
«Adesso ce l’avete!»
replicò Hess, accomodandosi sul sedile anteriore e cominciando a inserire i
contatti.
I motori si accesero con
uno scoppio e le eliche presero a girare, dapprima adagio e poi vorticosamente,
fino a ché il V12 invertito emise un borbottio forte e costante.
Prima di rilasciare il
freno, Hess fece il saluto nazista e disse:
«Heil Hitler!»
Guardò il cielo grigio
dalla cabina di pilotaggio e si sentì, per l’ennesima volta, come nel romanzo
“Dalla Terra alla Luna”, in procinto per venir sparato verso l’ignoto.
Poi rilasciò il freno.
Il grosso bimotore sobbalzò
e fece uno scatto avanti. La struttura gemette. Il vento divenne come mille
pugnali di ghiaccio, ma Hess lo tagliò fuori, chiudendosi la calotta sopra la
testa.
Aumentò la potenza fino a
cinquanta nodi e il muso si abbassò in modo brusco, mentre il carrello di coda
si staccò dalla pista.
Poi, la pista finì e il Bf
110 s’arrampicò sulle correnti calde, mentre fiocchi di neve colpivano il
parabrezza.
Hess impugnò la barra del
timone e la sentì fremere contro il palmo delle mani. Lottò e sconfisse gli
elementi, piombando sugli ustmerc.
I loro eserciti erano
accampati lungo le rive dello Svansjo, oltre il Passo di Baldrin. Era un’orda
scura di carri, cavalli e guerrieri, un qualcosa di cui i tedeschi avevano
sempre sentito parlare, ma che non avevano mai visto.
I nani dicevano la parola
“ustmerc” sottovoce, e spesso ne parlavano al singolare, come questi fossero
un’unica, terribile entità, piuttosto che molti cavalieri di razza barbarica.
E ora, Hess, voleva
regalare la vittoria al suo Fuhrer.
Per prima cosa, si sarebbe
strettamente attenuto al piano di volo. Avrebbe cioè virato a Ovest e poi a
Sud, discendendo il corso dello Svansjo sino alla “Cascata del Mago”. Quello,
gli aveva detto Wiligut, era un punto di grande potere magico. I nani stessi
dicevano che, mille anni prima, uno stregone avesse operato lì il più grande
degli incantesimi.
Wiligut pensava che,
tramite un anello runico e un pugnale consacrato agli dèi germanici, usando il
giusto rituale, si potesse attingere alla grande fonte di magia.
Hess conosceva alla
perfezione quell’area: era stato lui, agli inizi del “Progetto Asgard” il primo
a sorvolarla e a tracciarne una mappa.
Agendo sulla barra, virò
di quindici gradi a Sud e ascese oltre le nuvole.
Il Fuhrer era circondato
da stupidi, ed era compito suo salvarlo. Credevano che non sentisse? che non
sapesse del nomignolo che gli avevano affibbiato?, “Signorina Anna”?
Piccoli uomini!,
pensò Hess.
La “Signorina Anna” vi
farà vedere di che pasta è fatta!
Quell’orda di barbari
medievali faceva paura perfino a “Heini”, Heinrich Himmler, ma non a lui.
Wiligut gli aveva
insegnato come trarre forza dalla magia e come usare quella forza contro il
prossimo. Perciò, avrebbe salvato Asgard, perché Asgard stava a cuore al suo
Fuhrer.
Sapeva perfettamente che
un mostro come il Bf 110 avrebbe potuto sì atterrare vicino alla Cascata del
Mago, ma non avrebbe più potuto decollarne. Hess così, si prefissava una lunga
“passeggiata” di ritorno fra le montagne e le valli. Uno o due giorni, non di
più.
Nella cabina aveva fatto
mettere dai nani uno zaino di provviste e un’arma da difesa, una p38 con
caricatori di riserva.
Aveva inoltre dei vestiti
caldi e una copia della “sua” mappa, redatta dai cartografi del Reich, con
tutte le linee di livello e le specifiche topografiche.
La visibilità era scarsa,
ma Hess era bravo a orientarsi con gli strumenti. Fece scendere la sua balena
d’acciaio e cominciò a compiere larghi giri a spirale.
Riconobbe il massiccio che
i nani chiamavano “Corni di Baldrin” e scese in una valle nera. Controllò la
mappa, saldamente legata alla coscia sinistra, e diminuì la potenza dei motori.
Poi chiamò l’Artiglio, disse
“Heil Hitler” e spiegò che avrebbe arginato la “mortifera marea” che minacciava
il Reich.
Non sapeva ancora che
Adolf Hitler s’era “trasferito” a Wewelsburg – sulla Terra – e che stava
volando in fretta a Berlino, per arginare un altro tipo di “mortifera marea”, una marea con la stella rossa e i
carri t-34.
Hess spense la radio e
scese sotto le nubi. Vide quel che gli sembrava un’ampia distesa nera,
controllò gli strumenti e fece un raffronto con la mappa.
Poi spinse la barra.
Quando fu a pochi metri
dal suolo, mise gli occhialoni e sganciò la calotta. Un turbine di nevischio
gli si spiaccicò sul viso. Hess girò la testa e si sporse. Le cinture di
sicurezza lo trattennero al sedile.
Credette di vedere la
cascata.
Diminuì ancora la velocità
ed eseguì la difficile operazione di richiusura. Una volta con la calotta sopra
la testa, si tolse gli occhiali e si preparò all’atterraggio.
Il carrello anteriore
impattò violentemente, scagliando Hess in avanti e indietro, trattenuto dalle
cinture. L’aereo s’imbardò di colpo. L’ala sinistra sfiorò il suolo, poi la
cabina fu proiettata verso l’alto assieme a tutto il muso, e il carrello di
coda affondò nel terreno.
Hess aprì la calotta,
sganciò le cinture e si girò verso il sedile posteriore; si piegò in avanti,
afferrò lo zaino militare e gli abiti invernali arrotolati, poi scese
dall’aereo.
Portava una torcia da
campo Daimon agganciata al giubbotto: la accese e cominciò a scandagliare
l’area in cerca di un punto.
Il rumore della cascata
gli giunse sopra quello del vento, e lo portò a Est, di corsa.
La cascata era piccola, e
circondata da una pianura di muschio e neve, che saliva a Nordovest, lontano,
verso i Corni di Baldrin.
Si fece guidare dal rumore
di tonnellate di litri che cadevano più in basso e raggiunse il nastro argenteo
del fiume, che qui era poco profondo e largo quanto due Bf 110 affiancati.
Pensando alla salvezza del
Fuhrer, sguainò il suo più caro regalo: un pugnale da SS col motto “Il mio
onore è la mia lealtà” inciso sulla lama. Poi si mise l’anello runico al dito.
Lo aveva sottratto proprio
a Wiligut, quando questi gli aveva mostrato come operare l’incantesimo.
Il mago gli aveva anche
detto della pietra piatta, dai bordi irregolari, che si trovava presso una
gettata di sassi affioranti a monte della cascata.
Hess indovinò i contorni
della pietra e si diresse lì. I suoi stivali militari incontrarono l’acqua e la
corrente s’avvolse attorno alle caviglie in forti mulinelli.
Hess scivolò e finì
nell’abbraccio dell’acqua. Il gelo gli penetrò i vestiti e gli mozzò il
respiro. tuttavia, egli si rialzò, tremando, e si mise a correre verso la
pietra.
La raggiunse e
s’inginocchiò, aprì lo zaino, sciolse i vestiti arrotolati, si tolse il
giubbotto da pilota e indossò un caldo cappotto e sopra di esso un enorme
mantello nero bordato d’ermellino nero.
Ora veniva la parte
difficile: per ridestare il potere delle rune avrebbe dovuto dare alla pietra
il contatto con la propria pelle.
Hess si tolse i guanti e
li mise in tasca; s’inginocchiò e, aiutato dalla Daimon, cercò i profili delle
rune. Non sapeva molto di quei segni, né gli era mai importata tutta quella
roba fino ad allora. Se gli incantesimi e le rune potevano salvare il Fuhrer,
allora lui li avrebbe usati.
Tracciò i contorni dei
segni antichi con l’indice destro, poi consultò gli appunti che aveva sottratto
a Wiligut.
Ora le rune chiedono
sangue, pensò.
Col pugnale, s’incise il
palmo destro. Fu come se qualcuno vi avesse spinto dentro un chiodo. Hess provò
come una scossa, poi il sangue fluì denso e scuro. Hess intinse l’indice
sinistro nel sangue e lo passò sull’anello, stando attendo a coprire gli occhi
del teschio inciso sopra.
Poi girò l’anello tre
volte in senso orario e rilesse gli appunti.
«Ora … le parole!»
mormorò.
Deglutì, cercando di
resistere al freddo, e disse:
«L’anello per il legame e
la lealtà … » rabbrividì, nel sentire un urlo. Alzò la testa di scatto.
Un chiarore di torce si
diffondeva nell’aria, assieme al battito degli zoccoli di molti cavalli.
Ci fu un altro urlo.
Poi la sagoma di un
cavaliere apparve alla destra di Hess.
L’uomo fu colpito da una
puzza di carcassa in decomposizione. Con mani tremanti, aprì la fondina e
impugnò la pistola.
Hess udì l’urlo dei morti,
dei fantasmi, degli esseri che abitano e disturbano la vita psichica dell’uomo.
Vide degli occhi
fosforescenti, verdi come giada, risplendere nel nulla e sparò. L’eco del colpo
si disperse nel vento. Hess sparò ancora.
Il cavaliere cadde.
Il cavallo stronfiò e,
irritato, cominciò ad allontanarsi.
Rudolf Hess posò la
pistola e strinse il pugnale con entrambe le mani, quindi pronunciò queste
parole:
«Il pugnale per la
separazione … e la proiezione della … Volontà Assoluta … della Magia del
Reich!»
Poi sentì un altro urlo e
qualcosa freddo come il ghiaccio gli penetrò la gamba destra. Guardò,
incredulo, l’asta della freccia sporgergli dalla coscia.
Qualcosa gli spremette via
il fiato dai polmoni. Hess vide la terra venirgli incontro, rapida e sentì
nell’orecchio l’acqua gelida del fiume.
Un cavaliere gli galoppò
incontro. Hess lo vide scendere dal destriero e avvicinarsi.
Vuole recuperare la lancia, pensò il nazista, che sporge dal mio petto.
Speriamo faccia piano.
Quando gli fu accanto, il
cavaliere si abbassò e si sedette sui talloni. Tutto ciò che vide Hess fu una
superficie bianca, liscia come le ossa e gocciolante d’una sorta di rugiada. Al
centro di essa fremevano due aperture, simili a narici e, più sopra, due grandi
occhi a mandorla, la cui sclera era più bianca del tegumento del viso. Le iridi
erano d’un verde maligno.
Lo ustmerc aprì una
piccola bocca ed estroflesse l’unico, lattiginoso, dente. Lo fece scendere in
profondità nella fronte di Hess.
* * *
Due giorni di cavallo a
Nordovest, Karl Wiligut e Reinhard Heydrich fumavano in una calda saletta
dell’Artiglio.
Il biondo generale delle
SS giocherellò distrattamente col proprio anello runico, fece un tiro di
sigaretta, e alzò gli occhi.
«Dov’è il suo anello, herr Wiligut?» chiese, incuriosito.
L’altro scrollò le spalle
in un gesto di noncuranza:
«Temo di averlo perduto,»
disse, «e temo che abbiamo perduto anche la nostra Signorina Anna.»
«Ah davvero?» fece
Heydrich, alzando un sopracciglio.
«Andiamo! Non finga di non
sapere, Reinhard!» Wiligut sorrise, «Lei può e vede tutto. Diciamo che la
Signorina si sentiva sola e desiderava compiere un grande gesto per il Fuhrer.»
«E lei, herr Mago, le ha
raccontato quella storia dell’incantesimo e dell’anello.» concluse Heydrich.
Poi fece un tiro e buttò fuori il fumo.
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