venerdì 14 giugno 2013

Gli alberi - Tante storie di fantascienza

Il cane abbaiò, slanciandosi in avanti e ricadde, trattenuto dalla mano di ferro del proprietario.
Avevano seguito una strada di impronte fino al cerchio d’alberi presso il fiume. Il cielo indossava una sfumatura metallica e lasciava cadere piccoli fiocchi come penne di gallina. Uno di questi si depositò, senza far rumore, sulla punta del naso di Reyan Caeen re di Tulo. Il microscopico, perfetto, cristallo si ruppe bagnando lo strato di grasso che ricopriva la pelle del re.
«Maestà, il giovane qui non è un cane bene educato.» disse Caolan Balthair, capo della guardia reale.
Reyan fece schioccare la lingua e richiamò l’attenzione del quadrupede, quindi lasciò il collare. Nella mano destra, però, aveva già pronta una strisciolina di carne essiccata che aveva preso da una borsa alla cintura. Il cane guardò la carne. Reyan alzò l’indice e il cane si sedette, toccò il pugno del re col naso e aspettò. Reyan aprì la mano e il cane prese delicatamente la carne, la inghiottì e si girò di nuovo.
Dal sentiero arrivavano due uomini: i loro stracci volteggiarono al soffio dell’aria; i loro passi furono incerti. La testa di uno era gettata all’indietro. Le bocche erano aperte e facevano uscire un monotono, lungo e lugubre “aaah”.

Il cane rizzò i peli sul collo e cominciò a ringhiare, poi girò la testa verso il padrone. Reyan disse: «No!» e sollevò ancora l’indice. Il cane si mise seduto. Reyan aprì la mano e disse: «Resta!»
Poi sguainò la spada lunga da combattimento e avanzò sulla neve gelata.
Aveva sedici anni ed era un perticone magro dagli occhi giallo-grigi, l’occhio destro più chiuso e più grande dell’altro e il naso dritto come un pugnale. Le guance erano piene e lisce, fatta eccezione per un solco che, dal mento, spaccava la pelle fino allo zigomo sinistro.
I capelli del re riposavano legati in un codino nero spalmato di grasso. Il grasso luccicava sulle guance e sul naso di Reyan e gli dava un leggero fetore di morte.
«Mio signore!» disse Caolan, sguainando la spada. L’altro alzò una mano.
«Ho giurato di proteggerti!» protestò Caolan. Il re non rispose e continuò ad avanzare.
Il capo della guardia si girò e fece un segnale a chi lo seguiva. Tre armigeri afferrarono gli archi e incoccarono le frecce. Il cane guaì, ma rimase fermo dov’era.
Reyan si girò: «Se fate partire una sola freccia, vi stacco la testa.» disse.
Uno degli armigeri guardò il re, guardò Caolan, ricevette il segnale d’abbassare l’arco e obbedì. Anche gli altri due obbedirono e rimasero a guardarsi la punta delle scarpe.
Il cane abbaiò. Bastò una sola occhiata di Reyan per raggelarlo.
Nel frattempo, i due lungo il sentiero avevano accelerato il passo. Uno era caduto e si era rialzato e ora teneva un braccio, lungo il fianco, piegato in posizione innaturale.
Reyan avanzò e li guardò negli occhi: ombre bianche come quelle di un pesce bollito.
Uno alzò la mano dal dorso bluastro e dalle dita nere.
Il sovrano non si scompose: menò un fendente diagonale, ringhiando. La lama strappò i cenci, spaccò la clavicola e mozzò collo e spalla sinistra all’altro. Reyan ebbe la sensazione di ossa che si spaccavano, come quelle dei polli, e di carne tesa, morta, che veniva strappata.
Quello dal braccio rotto, l’unico superstite, graffiò la manica del giubbone di pelle del re. Reyan fece scivolare la punta verso terra, poi alzò la spada facendo una mezza piroetta in senso orario. La mano dell’avversario galleggiò a mezz’aria, separata dal polso, poi fu il turno del naso e dello zigomo sinistro.
Dalle ferite non uscì una goccia di sangue.
Reyan imprecò, fece un passo indietro e mozzò la testa all’uomo. il corpo cadde.
Il cane latrò e corse ad avventarsi sul primo cadavere; chiuse le fauci attorno al tronco senza testa e cominciò a strappare la stoffa indurita dal ghiaccio.
Caolan arrivò di corsa, alzò la spada ne rivolse la punta all’ingiù . Reyan si girò: la testa mozzata  muoveva gli occhi ciechi e apriva e chiudeva la bocca. Caolan le spinse la lama in mezzo alla fronte, finché un rivolo biancastro non uscì dagli occhi e la punta della spada non scavò nella neve gelata.
Reyan annuì, mentre Caolan alzava la testa infilzata sulla spada.
«Due “maiali lunghi”!» disse il re. Fece un secco gesto e disse: «I corpi sul carro, le teste nel sacco.»
Caolan si girò e urlò: «Voi del carro, venite avanti!»
Adagio, il gruppo di guerrieri fu raggiunto da alcuni servi che trascinavano una grossa slitta. Dietro di loro, quattro armigeri e un guerriero chiudevano il cerchio.
«Caccia grossa, maestà?» ruggì il guerriero.
Reyan si girò: «Un paio di maialini congelati.»
«Li mettiamo nella dispensa, eh Piccolo Wyn?» disse Caolan, ridacchiando, al guerriero.
Piccolo Wyn indicò qualcosa con la sua lunga lancia nera: «Se il cane non se li mangia prima!»
Reyan sorrise e fece schioccare la lingua. Il cane lo guardò e Reyan gli diede un bocconcino di carne essiccata, poi puntò un dito verso il basso e lo fece girare tre volte. Il cane seguì il dito, girando e si sedette quando il re disse: «Seduto!»
«Bella grassa quella bestia!» commentò Piccolo Wyn, arrivando vicino al re e al capo delle guardie.
Reyan sorrise, afferrò un bocconcino di carne e se lo mise fra i denti; puntò la spada sul ventre del guerriero e disse: «Già … bella grassa.»
Piccolo Wyn si bloccò: l’allegria fu spazzata dal suo viso.
«Io … non volevo … Sire … » fece.
Reyan spinse e la punta bucò il giubbone di cuoio, toccando la casacca di cotone di Piccolo Wyn:
«Non adesso, non ti mangio adesso. La sai la regola: prima diventi zombi, poi io vado a caccia, ti stacco la testa e metto il tuo corpo al fresco.»
Adagio, Reyan cominciò a ridere: dapprima fu una specie di tremore che si trasformò in uno scoppio incontrollato e terribile.
«Sì, mio re.» Piccolo Wyn deglutì e piegò la testa.
«Dobbiamo finire tutti così! Anche mio padre è risorto dalla tomba. Le donne faranno i pasticci salati con la tua carne, Piccolo. Li faranno con la mia e, quando morirà, anche con quella del cane.» Reyan aprì le braccia e la spada scintillò per una rara goccia di sole: «È la legge!»
I servi buttarono i cadaveri sulla slitta.
«Così io sfamo il popolo di Tulo!» ringhiò Reyan, masticando la strisciolina di carne, «E così ha fatto mio padre e suo padre prima di lui.»
Involontariamente, si leccò le labbra sporche di grasso di morto-vivente. Il cane guaì e ringhiò ai servi.
Reyan diede una pacca sulla spalla al guerriero e s’incamminò fino al primo albero. Esso era nero come la notte e aveva la forma d’una punta di lancia. Le sue foglie possedevano una sfumatura pallida.
«Ci stiamo estinguendo … » mormorò il re all’albero, «Voi siete morti come mosche al freddo e non ci avete dato più legno per i bevitori di sangue. Il nostro acciaio è vecchio … e ci nutriamo di cadaveri.»
La mano guantata del re s’aggrappò a uno dei rami. Reyan infilò la sua spada da combattimento nella neve e lasciò che un servo la pulisse e la riponesse, con cura, sulla slitta.
Il cane rizzò le orecchie, indietreggiò, abbassò le orecchie e cominciò a ringhiare. Aveva la coda tra le gambe.
Poi, in risposta alle parole del re, all’orizzonte apparve una belva quadrupede. Arrivò a balzi, piantandosi a debita distanza dal guerrieri e annusando l’aria.
Aveva un volto cieco, la pelle bianco-latte, viscida, venata di rosso. Gli artigli, che erano stati mani, sembravano rostri e la bocca possedeva un’unica, orribile, zanna ricurva là dove la mutazione aveva fatto cadere gli altri denti.
«Succiasangue!» urlò un armigero.
La creatura si erse sulle zampe posteriori come un grizzly. Frustò l’aria con la lunga lingua viola ed emise una serie di ticchettii.
Reyan tornò sui suoi passi:
«Dammi la lancia!» disse a Piccolo Wyn. Il guerriero obbedì e il re, quel sovrano sedicenne e imberbe, scagliò la lancia.
La punta di legno nero s’infilò nella bocca del vampiro e gli spezzò il dente, poi uscì dall’altra parte. A causa dell’impatto, la creatura fu sbilanciata e cadde all’indietro, arcuando la schiena.
Poi giacque molle, con gli artigli abbandonati nella neve.
Il re le si avvicinò e recuperò la lancia:
«Mi dispiace, Wyn … è spezzata!» disse, sollevando il troncone nero. Lo gettò fra le mani del guerriero e disse:
«Faremo fare due paletti dal maestro d’armi. L’ottimo legno non deve venire sprecato.»
«Sì, mio re!» disse Piccolo Wyn.
«Potremmo tagliare gli alberi … » iniziò Caolan.
«Gli alberi non si tagliano!» con un ringhio, il sovrano gli fu addosso, «Non-si-tagliano.» scandì.
«E ora, ripulite questo casino: voglio tornare al castello e godermi una tazza di sangue.»

fine

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