questa è un'opera dell'artista raven2663, potete trovarla qui. |
Claudio fermò la macchina, mise le quattro frecce e aprì lo
sportello. Nessuno. Non c’era nessuno. Aspirò l’odore di carburante e
s’aggrappò a quello. La benzina, così acida, gli inebriò le narici e lo fece
sospirare.
Vide le auto ferme, il semaforo lampeggiante. Vide un
volantino venire soffiato dal vento. Il foglio di carta gli si avvolse alla
caviglia e, adagio, Claudio lo prese. Pubblicizzava un kebab.
Guardò un camion della nettezza urbana con le sei frecce
lampeggianti. Lo sportello del passeggero era aperto. Il motore era spento.
Claudio attraversò la strada, guardando a sinistra per
abitudine, e si avvicinò al camion. Aggirò la cabina e guardò dentro. Era un
modello con la guida a destra. Vide il cruscotto disseminato di post-it gialli,
vide un giubbetto catarifrangente abbandonato sull’altro sedile. Ma nessuna
traccia del guidatore.
Si girò e osservò il palo della fermata di un autobus. Sulla
banchina non c’era nessuno.
Accelerò il passo e sbirciò dentro a un fast food. Avrebbe
dovuto essere pieno di ragazzini a quest’ora e invece, niente: i tavoli color
pastello erano vuoti, le casse erano accese, ma senza l’ombra di un operatore.
Claudio si grattò la cute, passò una mano fra i capelli,
quindi allentò il nodo della cravatta.
«’Fanculo!» disse.
«Se è uno scherzo del cazzo, è durato pure troppo!» esclamò.
Sentì la sua voce correre libera.
Urlò: «Aaaah!»
Sputò sulla porta automatica e quella, adagio, si aprì,
facendolo trasalire.
Claudio urlò ancora, fece dietrofront e tornò alla macchina.
Una volta dentro, chiuse lo sportello e s’aggrappò al volante.
«Ma che cazzo succede?» urlò. La voce si perse
nell’abitacolo lussuoso. Claudio diede un colpo col palmo della mano sulla
radica del volante.
Fece uscire il computer di bordo e selezionò uno dei canali
nazionali. Vide lo studio del tiggì. Era vuoto. I fogli del giornalista
giacevano intonsi sulla superficie liscia del tavolo.
Dietro, sugli schermi, scorrevano immagini di panorami
cittadini, o rurali, senza la minima traccia di vita.
«Oh Cristo! Sto impazzendo! Sto impazzendo!» mormorò. Gli
tremavano le labbra. Come faceva da bambino quand’era spaventato, mise tre dita
sul labbro inferiore. Il labbro non cessò di tremare.
Pensò ad alta voce. Gli dava conforto.
«Non voglio! Sono quelli … quelli della Sorval … bastardi!
Mi fanno gli scherzi … loro!» guardò oltre il parabrezza: «M’avete sfruttato,
bastardi! E v’ho inculato ventitré milioni di euro del cazzo!» urlò, «Sono
miei!»
Gli avevano mandato i carabinieri a casa. L’avevano accusato
e condannato. E Dio solo sa quant’erano rapidi a giudicare e condannare dopo la
Grande Crisi del ’13.
Accese il quadro, poi sentì il grosso motore fare le fusa,
innestò la marcia di guida e premette l’acceleratore.
Prese la statale, uscì dalla città, superò la rotonda
dell’Auchan e arrivò a Doggiate. Passò la via Mazzini e si fermò davanti alla
scuola elementare.
I cancelli erano aperti e sembravano una bocca vuota, senza
denti, che preludesse a una gola nera e insidiosa.
Non c’erano bambini, non c’erano urla e risa. Non c’era
niente.
Scese dalla macchina, entrò nella scuola, superò il portone
di vetro, percorse il corridoio, fece svolazzare gli avvisi e le circolari
attaccate con le puntine da disegno. Entrò in una classe. Vide i banchi, gli
astucci aperti, le matite colorate. Vide le addizioni scritte col gesso sulla
lavagna. Vide i quaderni aperti. Erano a quadretti grandi.
Uscì e rientrò nel sole. L’asfalto vibrava di luce. Inalò
l’odore di benzina, si avvicinò all’auto, annusò di nuovo l’odore di benzina.
Era l’unico odore al mondo.
«Calmi!» disse, mettendo le mani avanti e guardandole
tremare, «Stiamo calmi, dai!»
Si guardò attorno.
«Sono … solo.» disse.
L’agente di polizia giudiziaria Farina scosse la testa e
puntò la pistola su Claudio Morelli. Accanto a lui, il collega Giusti
comunicava l’intervento “soli” alla stazione di Doggiate.
«Il collega –
Giusti pronunciò la “e” simile a una “i” alla maniera pugliese – sta per effettuare un
codice "soli uno uno" su un certo Morelli Claudio.»
“Morelli Claudio, affermativo.” risposero dalla stazione,
“Fategli ’sto soli uno uno e buonanotte, o va a finire che s’accorge che non è
l’unico minchia sulla Terra.”
«Farina!» Giusti esclamò, guardando il collega, «Sparagli il
soli, vah.»
«Ma che è … non ha funzionato?» domandò Farina, armando la
pistola.
«Boh, il lampeggiante di bordo dice “dose in scadenza”: si
vede che la prima in questura non gliel’hanno fatta bene ’sti stronzi.»
«Mo’ sparo … ma che ha combinato questo?» domandò Farina.
«Ventitré milioni di euro s’è fottuto dalla Sorval!» disse
Giusti.
Da scuola, nel frattempo, i bambini si preparavano a uscire.
«Muoviti Farina!» disse Giusti, sentendo la campanella.
Farina premette il grilletto, interrompendo il contatto
elettrico: la pistola vomitò una scarica di solipsismo dritta, dritta al
cervello di Claudio Morelli.
Claudio prese una sigaretta e, adagio, l’accese. Non riuscì
a fumarla.
«Sono solo … » disse.
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