sabato 8 giugno 2013

L'uomo che distrusse l'universo - Tante storie di fantascienza

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questa è un'opera dell'artista sqthreer, potete trovarla qui.

La corte d’assise si trovava nella bolla extradimensionale numero “g-radice di epsilon, dove epsilon è la densità del passo del ragno di un pianeta variabile x di Epsilon Eridani”.
Avrebbe affrontato, la corte, il caso più grave di sempre.
Il giudice era l’onorevole Naumo della specie delle ombre. Le ombre erano eterne e inesistenti; c’erano e non c’erano. Naumo era sempre stato nell’aula g-rad-epsilon senza mai esserci stato.
Era importante, che la parte degli !ekh” dell’aula fosse sempre a una temperatura fra i – 18 °C e i 35 °C, o altrimenti gli !ekh” si sarebbero trasformati da maschi in femmine.
Era importante che gli !ekh” rimanessero maschi, perché le femmine !ekh” appartenevano a una specie leggermente diversa, le !ehk”” e tutto l’universo sapeva quanto fossero irrazionali e impulsive le !ehk””. Dunque, mettendole in una corte d’assise, sarebbero state una specie di bomba a orologeria.
I g, che erano dei piccoli soli, avevano una sezione dell’aula a parte, per ovvi motivi. C’erano le zanzare-aquilone di Gliese 581 e gli elettroni di Rigel.
«Che entri l’imputato!» disse la corte.

Ci fu una tempesta di atomi, che si legarono e diedero vita a un essere del regno animale, bipede, alto circa dieci %phak)=, la cui pelle rosa era coperta da un indumento nero e che era fatto da una sostanza derivata dai peli corporei di un altro essere del regno animale, ma quadrupede, più altre sostanze create in laboratorio.
«È un umano della Terra,» disse %$£& lo !ekh”, «vestito in giacca e cravatta.»
«Interessante. Non se ne vedono più oggigiorno.» disse un altro !ekh”.
Uno degli elettroni rigeliani (che poi voleva dire anche tutti gli elettroni rigeliani) spiegò agli !ekh” che, era ovvio non si vedessero più umani, perché s’erano estinti da un tempo che luiloro non sapeva valutare e che gli !ekh” convennero ammontasse a quattro trilioni di anni terrestri.
C’erano anche parecchi laimlaim, creature simili a cavalli terrestri, di Andromeda. I laimlaim dicevano da sempre d’essere grandi conoscitori della psicologia terrestre, e che addirittura uno di loro si fosse fatto eleggere senatore del tale impero per aiutare quei poveri stupidi omuncoli.
«Silenzio!» disse il giudice, perché c’era troppo brusio.
Calò il silenzio. Poi, l’aria della bolla fu piena della voce dell’imputato, che si guardò le braccia, il corpo, i piedi e disse: «Oh, no!»
«Silenzio!» disse il giudice.
«Mi scusi.» fece l’imputato. Poi, alzò un sopracciglio.
«Vedi?» fece un laimlaim a un rigeliano (cioè a tutti i rigeliani), «Tramite una precisa contrazione muscolare ha inarcato l’area di piccoli peli sopra il suo organo visivo destro. Ciò sta a indicare … »
Ma il rigeliano (ovvero tutti i rigeliani) lo interruppe dicendo che non sapeva cosa fossero i muscoli, i peli e gli organi visivi.
«Ionoi non li abbiamo!» affermò, affermarono.
«Perché quel gesto?» domandò il giudice ombra all’imputato.
«Oh, beh, perché è strano ritrovarmi vivo dopo che ho distrutto l’universo.» disse l’uomo.
«Allora lei lo ammette!» fece il giudice. Dalla corte si levò un mormorio stupefatto.
«Sì, ma devo aver fallito anche in questo, se sono vivo.» fece l’imputato.
«Andiamo con ordine.» disse il giudice, «Il suo nome, prego.»
«E patente e libretto non li vuole? Ehm, comunque mi chiamo Ennio Nuccio, nato a Palermo il diciotto maggio del settantatré.» disse l’uomo.
«Signor Nuccio, lei è accusato di aver distrutto l’universo. Come si dichiara?» domandò il giudice.
«Colpevole, vostro onore.» disse Nuccio.
«Ma non capisco, vostro onore, se ho distrutto l’universo, com’è possibile che io sia vivo e che sia davanti a voi, una corte di esseri stranissimi?» aggiunse l’imputato.
Altro mormorio di stupore. Qualche risata (per chi aveva una bocca e muscoli adatti).
«Signor Nuccio, qui ci troviamo in una bolla extradimensionale, creata in fretta e furia alla fine dell’universo. Oltre questa bolla, non c’è niente. Alcuni obietterebbero che c’è il niente, ma la verità è che il niente non c’è, perché lei ha distrutto tutto, anche il niente. Dunque, fuori di qui c’è la non-esistenza di tutte le cose, perfino della non-esistenza, mi capisce?»
«Assolutamente no, vostro onore.» disse Nuccio.
«Benissimo!» fece il giudice, «Ad ogni modo, io l’ho chiamata qui in aula, ricreando le sue particelle alfa e tutto quanto, ossia, facendole esistere di nuovo.»
«E com’è possibile, se ha appena detto che fuori di qui pure il niente non esiste, anzi che pure la non-esistenza non c’è!» obiettò Nuccio.
«Semplicemente l’ho fatto.» disse l’ombra, «E ora, parliamo dell’universo: perché ha voluto distruggerlo? Lo sa che esso era la casa di molte, molte creature?»
«E lei lo sa che a ventisei anni mi sono trasferito su al nord Italia dove piove sempre, sempre e sempre e dove non c’è il mare e che facevo un lavoro stupido, noioso, sottopagato, tanto da non riuscire a star dietro all’affitto di un buco a Sesto San Giovanni?» sbottò Nuccio.
«E questa le sembra un’ottima ragione per distruggere l’universo?» chiese l’ombra.
«Se il mio universo è e sarebbe rimasto il monolocale a Sesto San Giovanni e l’open space al lavoro: sissignore! Lo distruggerei ancora l’universo!» replicò l’imputato.
Nell’aula scoppiò il caos.
«Silenzio!» disse il giudice Naumo, «Silenzio!»
La corte, adagio, adagio, si chetò.
«Sono matti, questi terrestri!» disse un laimlaim.
«Certo, volevano eleggere uno di voi al governo.» replicò un rigeliano, cioè tutti.
«Mi dica, Signor Nuccio: come ha fatto a compiere un crimine così grande? Che ci risulti, la vostra civiltà è piuttosto primitiva.» domandò il giudice.
«Sì, talmente primitiva che è riuscita in una cosa in cui noi mai saremmo riusciti.» sussurrò un laimlaim al vicino.
Nuccio si mise le mani in tasca, poi cambiò idea e disfece il nodo della cravatta.
«Esco dal lavoro, una sera come le altre, arrivo a casa, trovo le bollette da pagare, la portinaia mi rompe i coglioni, trovo una lettera della banca, vado al mobiletto, prendo il vino e me lo verso, bevo due bicchieri e non ti vedo questo essere oblungo, traslucido, indefinibile e di colore azzurro, con sfumature del mare. Mi ha ricordato proprio l’acqua del mare.»
«Era uno !ekh”.» disse il laimlaim al vicino.
«Dico: “sono ubriaco” e questo non parla, non dice niente, ma fa apparire una scatoletta con in cima un bottone rosso. Sulla scatoletta c’è scritto “premi il bottone per distruggere l’universo”. L’essere me la posa sul tavolino e sparisce.» disse Nuccio.
«Possiamo intuire il resto.» ammise, gravemente, il giudice.
Poi tutti si girarono verso i posti occupati dagli !ekh” e Naumo, adagio, chiese all’imputato:
«Faceva caldo?»
«Come?» domandò Nuccio.
«Le ho chiesto se in casa, quella sera, faceva caldo.»
Nuccio annuì: «C’erano quaranta gradi.» disse.

Fine

2 commenti:

  1. ciaf ciaf ciaf! (estraggo dal mio corpo informe due escrescenze per mimare quel gesto che vedo tanto spesso fare agli esseri umani in modo da produrre rumore al fine di esprimere apprezzamento. nel farlo spargo un pò di sblobolanza in giro, ma ne vale la pena)

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