quest'immagine è di doll-lucci, potete trovare l'originale qui. |
Si sentì addosso gli
sguardi degli uomini. Quando salì sulla metropolitana, addirittura, la mano di
qualcuno le sfiorò le natiche un paio di volte.
Silvia arrossì e cominciò
a guardarsi la punta delle scarpe. Ne aveva scelte di belle: un paio di All-Star
colorate con fiorellini da hippy.
Quella mattina faceva la
sedicenne. Aveva ripescato un vecchio zainetto Eastpak e l’aveva decorato con
un paio di scubidù fatti a mano dai
cinesi.
Scese a Duomo, prese un
gelato da McDonald e lo leccò apposta come se facesse un pompino – lo aveva
visto fare un parecchi film a luci rosse – attirandosi i fischi di un gruppo di
ragazzi.
Era al settimo cielo.
Finché non vide un’alta,
statuaria, asiatica dalla pelle bronzea e dal tailleur di Gucci, corto e
cinerino, tagliarle la strada.
Due ragazzi passarono,
guardando l’asiatica; uno disse: «Le darei un paio di colpi le darei!»
«Anche quattro!» rispose,
gracchiando, un anziano come apparso dal nulla.
Silvia corrugò la fronte;
di colpo, andò verso un cestino e ci scaraventò dentro il gelato:
«Vaffanculo!» disse.
L’asiatica s’era infilata
in galleria Vittorio Emanuele. Silvia prese coraggio … e la seguì.
La raggiunse e le si mise
in coda: ne studiò ogni particolare. Silvia memorizzò la forma del viso, il
taglio degli occhi, la piega del mento, la forma del naso, e poi il collo così
esile e le gambe così lunghe.
Entrò in una libreria,
sulla sinistra, prima di Piazza della Scala. Cincischiò con un best-seller che
diceva: “Così ho distrutto l’universo”. Guardò il nome dell’autore: “Ennio
Nuccio”. Posò il libro e andò a cercare il bagno.
Trovò la toilette delle
donne e ci si chiuse dentro.
Lei aveva una “cosa”. Una
cosa che gli altri non sospettavano neanche. A otto anni, guardando la sua
migliore amica Arianna, aveva desiderato tanto d’essere come lei. Arianna aveva
dei bei riccioli castani e un paio d’occhi azzurri. I bambini le scrivevano
sempre lettere (sgrammaticate) d’amore. Uno le aveva detto: “ti amo con tutto
il mio corpo”. A otto anni.
Silvia voleva essere come
Arianna.
Era successo
all’improvviso: aveva cominciato ad avvertire un formicolio alla pelle, poi un
osso le si era spostato, quindi un altro. Aveva sentito il naso fare uno strano
rumore e restringersi. Aveva visto la pelle scurirsi di poco. Stringendo i
denti, aveva cercato di non pensare alle ossa delle gambe che le si
allungavano, alla pelle che si tirava. Poi, un piccolo dolore agli occhi.
Aveva urlato, era scappata
in bagno e aveva visto Arianna guardarla dallo specchio. Solo che la bocca di
Arianna si muoveva per volere di Silvia. La testa di Arianna girava a comando
del cervello di Silvia.
Una bellissima donna
asiatica, esatta copia dell’altra, uscì dalla toilette della libreria. Lo zaino
e le All-Star stonavano un poco con quella fantastica pelle bronzea, ma tant’è.
Silvia sorrise al mondo e
uscì dalla galleria: si sentiva un’altra.
Si sedette ai piedi del
monumento equestre e chiuse gli occhi di fronte al sole.
Più tardi, tornò giù in
metropolitana. Prese la direzione per Sesto San Giovanni F.S. e si sedette a
leggere un tascabile consunto. Il titolo era: “Costruirò un pianeta tax-free” di “Samuel Kaufner”.
Le fermate si susseguirono
una dopo l’altra, con Silvia sempre impegnata a leggere dei deliri finanziari
di quel ricco inglese, che si proponeva di fabbricare dal nulla una Terra
artificiale da spedire nello spazio.
A Rovereto era rimasto
solo un uomo, con lei nella carrozza. Era insignificante e vestiva in modo
superato.
Silvia gli diede
un’occhiata distratta e tornò al suo libro. Provò un brivido di paura, senza
sapere spiegarsi il perché.
Molto più tardi, quando
non avrebbe avuto scampo, si sarebbe detta “mi fa paura perché non mi ha
guardata neanche una volta”.
Silvia chiuse il libro, lo
mise nello zaino e si alzò alla fermata di Sesto Marelli. Uscì sulla banchina,
andò alla scala mobile e sorrise.
Ebbe la sensazione di
qualcuno dietro di lei. Poi vide la scala mobile sollevarsi come un cavallo
imbizzarrito. Il campo visivo le si restrinse e divenne tutto buio.
Pamela Anderson a seno
nudo la guardava da un poster spiegazzato e macchiato. Il poster era appeso a
un muro arancio con puntine da disegno.
Accanto a esso, c’era un
altro poster e un altro e un altro ancora. Silvia riconobbe Maria Grazia
Cucinotta, Jessica Alba. Riconobbe anche Lindsay Lohan prima e dopo la droga e
i lifting.
Provò ad alzarsi, ma sentì
un forte dolore alla testa ed ebbe un capogiro.
Aveva la testa su un
cuscino ed era stesa di pancia. Sentiva freddo e un senso di costrizione.
«Ora ti slego, un attimo
solo. Prima devo farti un calmante per evitare che scappi.» la voce era
anonima, quasi rassicurante. L’uomo era dietro di lei, fuori dal campo visivo.
Sentì che le prendeva il
braccio sinistro. Silvia urlò e cercò di divincolarsi. Le cinghie che la
legavano erano resistenti.
Poi sentì un ago nel
braccio.
Dopo un attimo, le cose
divennero indistinte; sentiva solo la voce dell’uomo.
«Ti ho vista. È da un anno
che ti seguo. E ho preparato questo … questi poster … ho fatto un elenco, ci è
voluto tanto, ma adesso … so cosa puoi fare e so anche come sei veramente. Non
un granché, Silvia Orefici. Sei bassa e hai dei capelli biondi stopposi. Non ti
scoperei se tu non avessi il potere!»
Solo allora Silvia si rese
conto d’essere nuda. L’osso pubico premeva sul lenzuolo e i seni erano liberi,
piccoli come coppe di champagne e schiacciati sul letto.
Sentì, adagio, i legacci
allentarsi, poi l’uomo la girò di fianco e le fece vedere qualcosa. Sembrava
una foto, ma Silvia non riuscì a mettere a fuoco.
L’uomo le versò negli
occhi alcune gocce di collirio e l’immagine si schiarì.
Pamela Anderson.
«Studiala bene. Voglio che
diventi lei.» disse l’uomo.
«E … poi … mi lascerai …
andare?» domandò Silvia.
L’uomo annuì. Adagio (era
ancora intorpidita) cambiò la disposizione delle proprie ossa, dei propri
muscoli; aggiunse grasso ai seni e cambiò colore e sezione dei capelli.
Poi, sfinita, chiese: «Va
… bene?»
L’uomo vide una Pamela
Anderson nuda, sul letto. I seni, grandi, quasi toccavano il lenzuolo.
Si slacciò la cintura,
abbassò i jeans, si sfilò le mutande, poi si stese di fianco a Silvia.
Lei provò a urlare, a
muoversi, ma si sentiva debole, molto debole.
L’uomo si sputò sulla
mano, la passò sulle labbra della vagina; scostò appena le natiche di Silvia e
la penetrò con forza.
La cavalcò per venti
minuti.
Poi scese e le fece vedere
una foto: Angelina Jolie.
«Studiala bene. Voglio che
diventi lei.» le disse.
Silvia chiuse gli occhi e
cercò di piangere.
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