questa immagine è di AustrianDreams, potete trovare l'originale qui. |
«Signor Sputnik,
buongiorno!» Veronica Negri si alzò e strinse la mano all’uomo.
Sputnik era alto, magro,
vestiva d’un completo Gucci e aveva occhiali Armani dalle astine spesse e
bianche. Sulla cravatta, blu scuro, c’era una minuscola bandierina della
Svezia.
Veronica annusò un
leggerissimo odore di dopobarba e quell’asettico aroma di scarpe nuove di tela
leggera.
Lei indossava un tailleur
e due gocce di Alien di Mugler versione estiva. Per ricevere Sputnik, si mise
anche un sorriso di denti bianchi, scintillanti.
«Signora Negri! Lei è un
incanto!» Sputnik le strinse la mano, gliela trattenne, se la avvicinò alla
bocca e accostò le labbra sul dorso. Dove un italiano avrebbe semplicemente
detto “che piacere”, Sputnik era andato oltre.
Veronica aumentò il
sorriso e disse: «Un caffè?»
Sputnik sorrise a sua
volta e annuì. Veronica gli indicò la sedia rossa, di design: «Prego!» disse. L’uomo
annuì e si accomodò.
Aveva una valigetta.
Assomigliava a una Sanwa
in alluminio, una porta-pistole; Sputnik la sollevò e la depositò delicatamente
sul tavolo in vetro bianco di Veronica.
Bussarono alla porta.
«Avanti.» disse Veronica.
Fece capolino una bionda
dai capelli lisci e il naso dritto, affilato, che quasi spaccava a metà le
labbra carnose.
«Giovanna, ci porti due
caffè. Per me normale con latte freddo a parte e per il signore … »
«Americano.» disse
Sputnik.
Giovanna annuì: «Subito.»
disse. Poi chiuse la porta.
Sputnik sorrise e aprì la
valigetta.
L’interno era foderato di
spugna di polietilene nero che si adattava alle forme di tre pistole e uno
smartphone.
«Ho portato alcuni
campioni di oggetti che considero vitali per la sua attività, signora Negri.»
disse Sputnik.
Veronica esaminò telefono
e pistole con lo sguardo e alzò le sopracciglia:
«Mah, signor Sputnik, la
Vilte Spa è una società di sicurezza privata: credevo d’esser stata chiara con
il vostro responsabile marketing e non vedo come tre pistole e un Apple
possano … »
«Lei usa termini arcaici
nel mio mestiere,» la interruppe Sputnik, sorridendo, «mi permetta di porre l’accento
su quelle che chiama “pistole”.» l’uomo ne prese una con attenzione e la tenne
sospesa sopra la valigetta.
«Questo è un radiatore di solipsismo
ultimo modello che … »
«Mi scusi, la interrompo
io.» Veronica sorrise, mentre una luce selvaggia le animava le iridi azzurre.
«Un “radiatore di
solipsismo”?» disse la donna, con una vena feroce nel tono.
Sputnik alzò le
sopracciglia: «Oh, beh! Capisco … può essere … » s’ingarbugliò, mise giù la
pistola e prese la seconda, «ecco … io credo che una “temporeggiatrice”
potrebbe fare al caso nostro. A seconda della regolazione – vede, qui è possibile
impostare dai trenta minuti in su – la pallottola viene sparata in differita
rispetto alla pressione del grilletto e … »
«Signor Sputnik!» Veronica
aprì le mani e le richiuse, «Sto parlando di sistemi di sicurezza: telecamere,
armi … vere … non giocattoli da libracci di fantascienza, mi scusi!»
«Signora Negri … ecco …
armi … stiamo parlandone … questa, per esempio, è la “undo gun” e viene
fabbricata … »
«Come, prego?» sbottò
Veronica.
«La “undo gun”: se si è
ucciso qualcuno per sbaglio, ci sono ventiquattrore di tempo per premere il
bottone “undo” e … »
Bussarono alla porta.
Veronica disse un “avanti”
pieno di stanchezza.
Era Giovanna con i caffè.
La ragazza posò il vassoio
sul tavolo, poi si chinò verso Sputnik e chiese: «Quanto zucchero?»
«Tre, grazie.» disse l’uomo.
Giovanna prese tre zollette con una mollettina d’argento e le lasciò cadere nel
caffè, poi si alzò, sorrise e uscì.
Veronica il caffè lo
prendeva sempre amaro.
Appena, appena rosso in
viso, Sputnik afferrò il cucchiaino e cominciò a mescolare il caffè. Adagio.
Dietro gli occhiali, le
sopracciglia disegnavano una V piena di rughe; gli occhi erano bassi.
Veronica sospirò,
tamburellò con le dita:
«Bene. Mi dica dello smartphone.»
fece.
Sputnik smise di
mescolare, annuì seccamente, si portò il bicchiere alle labbra e fece un
piccolo sorso, posò il bicchiere e raccolse il telefonino dalla valigetta.
«Smartphone … » mormorò,
distratto, « … non sentivo questo termine da … »
«Come si chiama in Russia?»
domandò, a bruciapelo, Veronica.
«Uh? Komurkowa … o forse quello è polacco. Ad ogni modo … »
«Credevo che lei fosse
russo, signor Sputnik.» dichiarò Veronica.
Adagio, l’uomo fece un
segno di diniego.
«Va beh. Allora … lo kor …
kom … lo smartphone?»
«In realtà … » cominciò
Sputnik, «è una … un ultimo modello di macchina del tempo.»
«Mi scusi, proprio non c’intendiamo.»
disse Veronica, alzandosi.
«Ma guardi, gliela lascio …
la provi.» Sputnik spinse il telefonino verso Veronica e si alzò a sua volta.
Lei annuì, a disagio.
«Io … mi scusi signora
Negri, credevo che … »
«Chiamerò il suo ufficio
marketing.» disse Veronica.
«Bene.» fece l’uomo.
Sputnik chiuse la valigetta, annuì, tese la mano, poi annuì si girò e uscì.
Lasciò lo smartphone sul
tavolo, davanti a Veronica.
Fu solo quand’era in
strada, davanti al grosso orologio digitale di Loreto, che si accorse d’essere
tornato indietro di mille anni più del previsto.
«Ecco perché li chiamava “pistole”
e “smartphone”!» dandosi una pacca sulla fronte.
Ma chi gliel'ha data la patente della macchina del tempo, a questo? XD
RispondiEliminaBel racconto, divertente!
Il Moro
XD veramente!
EliminaChe poi è lo stesso che vende un'arma tutta particolare al presidente della Czarnovia nel racconto Mr Sputnik! :D
Saludos!