venerdì 21 giugno 2013

Lo smarfone - Tante storie di fantascienza



questa immagine è di AustrianDreams, potete trovare l'originale qui.

«Signor Sputnik, buongiorno!» Veronica Negri si alzò e strinse la mano all’uomo.
Sputnik era alto, magro, vestiva d’un completo Gucci e aveva occhiali Armani dalle astine spesse e bianche. Sulla cravatta, blu scuro, c’era una minuscola bandierina della Svezia.
Veronica annusò un leggerissimo odore di dopobarba e quell’asettico aroma di scarpe nuove di tela leggera.
Lei indossava un tailleur e due gocce di Alien di Mugler versione estiva. Per ricevere Sputnik, si mise anche un sorriso di denti bianchi, scintillanti.
«Signora Negri! Lei è un incanto!» Sputnik le strinse la mano, gliela trattenne, se la avvicinò alla bocca e accostò le labbra sul dorso. Dove un italiano avrebbe semplicemente detto “che piacere”, Sputnik era andato oltre.
Veronica aumentò il sorriso e disse: «Un caffè?»
Sputnik sorrise a sua volta e annuì. Veronica gli indicò la sedia rossa, di design: «Prego!» disse. L’uomo annuì e si accomodò.
Aveva una valigetta.
Assomigliava a una Sanwa in alluminio, una porta-pistole; Sputnik la sollevò e la depositò delicatamente sul tavolo in vetro bianco di Veronica.
Bussarono alla porta.

«Avanti.» disse Veronica.
Fece capolino una bionda dai capelli lisci e il naso dritto, affilato, che quasi spaccava a metà le labbra carnose.
«Giovanna, ci porti due caffè. Per me normale con latte freddo a parte e per il signore … »
«Americano.» disse Sputnik.
Giovanna annuì: «Subito.» disse. Poi chiuse la porta.
Sputnik sorrise e aprì la valigetta.
L’interno era foderato di spugna di polietilene nero che si adattava alle forme di tre pistole e uno smartphone.
«Ho portato alcuni campioni di oggetti che considero vitali per la sua attività, signora Negri.» disse Sputnik.
Veronica esaminò telefono e pistole con lo sguardo e alzò le sopracciglia:
«Mah, signor Sputnik, la Vilte Spa è una società di sicurezza privata: credevo d’esser stata chiara con il vostro responsabile marketing e non vedo come tre pistole e un Apple possano  … »
«Lei usa termini arcaici nel mio mestiere,» la interruppe Sputnik, sorridendo, «mi permetta di porre l’accento su quelle che chiama “pistole”.» l’uomo ne prese una con attenzione e la tenne sospesa sopra la valigetta.
«Questo è un radiatore di solipsismo ultimo modello che … »
«Mi scusi, la interrompo io.» Veronica sorrise, mentre una luce selvaggia le animava le iridi azzurre.
«Un “radiatore di solipsismo”?» disse la donna, con una vena feroce nel tono.
Sputnik alzò le sopracciglia: «Oh, beh! Capisco … può essere … » s’ingarbugliò, mise giù la pistola e prese la seconda, «ecco … io credo che una “temporeggiatrice” potrebbe fare al caso nostro. A seconda della regolazione – vede, qui è possibile impostare dai trenta minuti in su – la pallottola viene sparata in differita rispetto alla pressione del grilletto e … »
«Signor Sputnik!» Veronica aprì le mani e le richiuse, «Sto parlando di sistemi di sicurezza: telecamere, armi … vere … non giocattoli da libracci di fantascienza, mi scusi!»
«Signora Negri … ecco … armi … stiamo parlandone … questa, per esempio, è la “undo gun” e viene fabbricata … »
«Come, prego?» sbottò Veronica.
«La “undo gun”: se si è ucciso qualcuno per sbaglio, ci sono ventiquattrore di tempo per premere il bottone “undo” e … »
Bussarono alla porta.
Veronica disse un “avanti” pieno di stanchezza.
Era Giovanna con i caffè.
La ragazza posò il vassoio sul tavolo, poi si chinò verso Sputnik e chiese: «Quanto zucchero?»
«Tre, grazie.» disse l’uomo. Giovanna prese tre zollette con una mollettina d’argento e le lasciò cadere nel caffè, poi si alzò, sorrise e uscì.
Veronica il caffè lo prendeva sempre amaro.
Appena, appena rosso in viso, Sputnik afferrò il cucchiaino e cominciò a mescolare il caffè. Adagio.
Dietro gli occhiali, le sopracciglia disegnavano una V piena di rughe; gli occhi erano bassi.
Veronica sospirò, tamburellò con le dita:
«Bene. Mi dica dello smartphone.» fece.
Sputnik smise di mescolare, annuì seccamente, si portò il bicchiere alle labbra e fece un piccolo sorso, posò il bicchiere e raccolse il telefonino dalla valigetta.
«Smartphone … » mormorò, distratto, « … non sentivo questo termine da … »
«Come si chiama in Russia?» domandò, a bruciapelo, Veronica.
«Uh? Komurkowa … o forse quello è polacco. Ad ogni modo … »
«Credevo che lei fosse russo, signor Sputnik.» dichiarò Veronica.
Adagio, l’uomo fece un segno di diniego.
«Va beh. Allora … lo kor … kom … lo smartphone?»
«In realtà … » cominciò Sputnik, «è una … un ultimo modello di macchina del tempo.»
«Mi scusi, proprio non c’intendiamo.» disse Veronica, alzandosi.
«Ma guardi, gliela lascio … la provi.» Sputnik spinse il telefonino verso Veronica e si alzò a sua volta.
Lei annuì, a disagio.
«Io … mi scusi signora Negri, credevo che … »
«Chiamerò il suo ufficio marketing.» disse Veronica.
«Bene.» fece l’uomo. Sputnik chiuse la valigetta, annuì, tese la mano, poi annuì si girò e uscì.
Lasciò lo smartphone sul tavolo, davanti a Veronica.
Fu solo quand’era in strada, davanti al grosso orologio digitale di Loreto, che si accorse d’essere tornato indietro di mille anni più del previsto.
«Ecco perché li chiamava “pistole” e “smartphone”!» dandosi una pacca sulla fronte.

fine

2 commenti:

  1. Ma chi gliel'ha data la patente della macchina del tempo, a questo? XD
    Bel racconto, divertente!
    Il Moro

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    1. XD veramente!
      Che poi è lo stesso che vende un'arma tutta particolare al presidente della Czarnovia nel racconto Mr Sputnik! :D

      Saludos!

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