questo era il simbolo della Società Thule |
«Gedenke, dass Du ein Deutscher
bist. Halte dein Blut rein!»
«Ricorda che sei un tedesco.
Conserva il tuo sangue puro!»
(Motto della
Thule-Gesellschaft)
Il vento. Era la rabbia
del nord e si faceva beffe dei cappotti e delle sciarpe dei tedeschi che
camminavano sui sentieri, fra le rocce appena sfiorate dalle capre di montagna.
I cavalli – unica moneta
di scambio – s’erano rivelati un peso e arrancavano adagio, tirati per la
briglia da SS dalle facce grigie.
Un preludio d’alba
infettava nubi cariche d’acqua, irraggiando gli speroni brutti e distanti.
Sulle vette, soffi
improvvisi snidavano la neve fresca gettandola ai quattro venti come uno
spruzzo di farina.
Farina. Pane.
Karl Maria Wiligut, detto
Weisthor il Mago, affondò la punta del bastone runico nella neve, immaginandosi
una bella fetta di pane nero e un pezzo di carne.
Lui e i soldati s’erano
spinti a ovest, poi a sud e ora a nordest, aggirando le pendici del Picco
Inaccessibile e guardando l’Artiglio.
Per tutta la notte, i
fuochi avevano continuato a ardere sulla cima spazzata dal vento e le urla dei
barbari s’erano spinte sino alle loro orecchie come grida di fantasmi
immateriali. Eppure Wiligut aveva bene in mente il potere degli ustmerc e dei
loro servitori. Aveva visto uno haftlinge ebreo scalare le mura dell’Artiglio
del Lupo, essere abbattuto da una guardia e rialzarsi per riprendere a scalare.
Lo sguardo di quell’uomo –
Wiligut ricordava – era vuoto come quello dei pesci bolliti e aveva una
sfumatura verde accesa nelle iridi, un verde giada che sapeva di cose al di là
della comprensione umana.
Gli ustmerc erano arrivati
su cavalli neri che riuscivano a scalare i sentieri impervi del Picco come
capre di montagna. Avevano torce. E incantesimi.
Con uno di essi, Wiligut
s’era fatto persuaso, quei maledetti avevano fatto breccia nelle mura
dell’Artiglio.
Poi erano entrati e
avevano distrutto tutto.
Infilavano il loro Unico
Dente nel cervello degli uomini e gli uomini si rialzavano con quella luce
giada negli occhi e combattevano per loro.
Maledetti ustmerc:
cavalieri dalla pelle lattiginosa, glabri, magri come ragni, dalle teste
oblunghe e i musi prognati, dagli occhi profondi come pozzi pieni d’anime nere.
Maledetti: con armi di
selce e metallo corroso, silenti come un soffio di pestilenza e letali come una
tempesta marina.
Avevano infilato il loro
Dente nei deportati dell’ex campo d’aviazione e s’erano presentati a bussare
alle porte dell’Artiglio.
Wiligut fu strappato ai
suoi pensieri dall’imprecazione di un uomo. Capì subito che davanti a lui si
stava consumando una tragedia.
Una SS era scivolata sulla
roccia, cadendo in ginocchio, e con un piede – il destro – a pendere nel vuoto.
S’era aggrappata alle briglie del suo cavallo – un enorme castrone baio – e
quello aveva scartato a destra, spingendo l’uomo col suo peso. Gli zoccoli
posteriori dell’animale avevano perso presa e gli enormi quarti erano finiti addosso
alla SS, strappandole una bestemmia e un grido d’aiuto.
Wiligut vide il cavallo
gettare la testa all’indietro, il lungo collo torto come un arco, e roteare gli
occhi come girandole. L’uomo era scivolato e pendeva oltre ogni possibilità di
soccorso, con i piedi che annaspavano per cercare un appiglio. La sua
maschinenpistole cadde e finì risucchiata dai potenti vortici di gelo che
infuriavano nelle tenebre.
«Alt!» quella parola
risuonò come un colpo di fucile. Wiligut vide gli occhi azzurri del generale
Karl Wolff emergere da sotto l’elmetto d’acciaio.
Il generale era in testa e
stava tornando sui suoi passi per rendersi conto della situazione. Il vento
faceva aderire il cappotto al suo corpo rendendolo una specie di larva nera.
La SS oscillò e sbatté
violentemente sulla roccia. Lasciò la presa con una mano.
Wolff s’aggrappò al collo
del cavallo che precedeva la SS in pericolo; con un colpo di reni si issò in
groppa, per poi scendere adagio dai quarti posteriori. Il cavallo, spaventato,
nitrì e scalciò mancando il generale di poco e sfiorando la massiccia testa
dell’altro animale.
Wolff scivolò e cadde
seduto; si puntellò su un ginocchio, si alzò, si sporse e cercò di afferrare la
mano della SS in difficoltà. Le sue dita artigliarono l’aria. Il generale si
sfilò la cintura: faceva tutto con movimenti rigidi, per il freddo. Allungò la
cintura.
Ma proprio in
quell’istante, con un urlo, la SS cadde. Il cavallo sparì, finendo giù come un
macigno nero. Wiligut stesso scivolò e finì in ginocchio. Il Mago si puntellò
sul bastone runico e mise un palmo a terra, graffiandosi la pelle del guanto.
Wolff, fermo, sembrava una
statua con la cintura in mano.
Alla fine il generale si
mosse; si rimise la cintura e urlò qualcosa che fu risucchiata dal vento.
Adagio, la carovana ripartì.
I quarti posteriori del cavallo che precedeva Wolff ondeggiarono e scomparvero
dietro una curva. Il generale si voltò e ricominciò a camminare.
***
Un vicolo cieco.
Wiligut si sedette,
all’ombra di una spelonca, mentre Wolff si dannava coi suoi ufficiali sulla
carta topografica.
Avevano ancora sei cavalli
e qualche scorta di cibo. Quanto alle armi: solo un paio di machinenpistole e
la p38 di Wolff. Senza la “Porta”, senza i rifornimenti dalla Germania, i
tedeschi sarebbero morti nel giro di poco.
Questo Wiligut lo sapeva.
S’era chiesto dove fossero
andati a finire Taubert e Heydrich. Il castellano coi baffetti da lord inglese
aveva rintuzzato i primi attacchi degli ustmerc ed era svanito nel nulla.
Quanto a Heydrich: Wiligut lo aveva visto, l’ultima volta, falciare sei
haftlinge “contaminati”.
Sperava che non si facesse
più vivo, perché era un uomo pericoloso, un gigante dalla testa fina e dal
pensiero rapido.
Wiligut osservò Wolff
togliersi l’elmetto e rimanere con la sciarpa grigia annodata attorno al viso.
sembrava una di quelle vecchiette ucraine, tutta cavoli e croci ortodosse.
Quasi gli fece venire da ridere.
Una SS si appartò, uscendo
dalla spelonca, per cacare. Wiligut la vide e, passivo, stette a contare i
secondi fino a che non furono troppi.
Pensò a cosa diavolo gli
fosse servito avere una mente come la sua per finire lì, in un altro mondo, a
congelare.
Lui era Jarl Widar, era
Weisthor, l’incarnazione di un antico condottiero germanico. Aveva guidato il
suo popolo fuori dalle enormi foreste d’Europa.
Si alzò e cominciò a
toccare la roccia. Era quella che aveva generato lui e i nibelunghi: “Heini” lo
sapeva, perciò aveva affittato il castello di Wewelsburg e aveva permesso a
Weisthor di fare le sue ricerche magiche.
Alzò il bastone.
Il freddo gli martellava
in testa come una voce. Chiuse gli occhi, li riaprì. Che facevano quegli
stupidi militari? Persi dietro a una mappa!
Ripensò alle parole di
Heydrich: “Asgard è un posto buono per gli ebrei” aveva detto.
No! Wiligut l’avrebbe
riportato alla gloria. Avrebbe fatto tutto questo in nome del popolo tedesco.
Quelle SS portavano gli
anelli runici, ma non sapevano niente.
Si alzò e disse:
«La Bibbia!»
Wolff gli diede uno
sguardo e corrugò la fronte.
Wiligut proseguì:
« … è stata scritta in
antico germanico … il dio Krist ci è stato rubato dai giudei! Questa è la vera Terra, fratelli!»
«La finisca, herr Wiligut.» gli intimò il generale.
Ma il Mago sembrava sordo
a ogni cosa:
«Tanto tempo fa, essa era
illuminata da tre soli e abitata dai nani e dai giganti.
“Gli uomini cominciarono a
combattersi, fino a che i miei antenati portarono la pace e fondarono l’antica
Goslar! Fummo tutti uniti nella fede e il nostro profeta, Baldur, prosperò
nella luce … nella verità …
Wiligut colpì la pietra
col bastone: «Troverò la via!»
«La smetta!» Karl Wolff
gli strinse il braccio e lo guardò dai suoi occhi azzurri. Il generale aveva
l’aria di una vecchia statua guerriera.
«Lei non capisce!» urlò
Wiligut, «Lei è uno di loro … un seguace di Woden! Furono il falso dio e i suoi
uomini a distruggere Goslar e la vera fede. Io ristabilirò l’ordine delle cose!
Poiché discendo da … »
«Calmiamoci, Wiligut!»
disse Wolff.
Il Mago lo colpì col
bastone runico e disse: «Lui è un seguace del falso dio Woden! Fratelli SS, gli
ustmerc sono venuti a causa loro, delle genti di Woden!»
«Per Dio, si fermi!» Wolff
cercò di strappare il bastone dalle mani del Mago, ma Wiligut diede uno
strattone. Per il contraccolpo, il Mago incespicò e si protese in avanti. Il
bastone s’incastrò fra due rocce, poi Wiligut cadde. Sentì un pezzo di scisto
graffiargli la guancia e il sangue colare sul naso.
Sentì una vibrazione e
vide le pietre muoversi. Un’intera sezione del pavimento scomparve.
Il Mago si sentì scivolare
verso il basso e afferrare per il cappotto. Gli occhi di ghiaccio di Wolff
comparvero nel buio.
«Lasciami maledetto!» urlò
Wiligut, «ho trovato il passaggio! Il passaggio!» disse.
Il generale spinse
indietro il Mago: «Stia lì, per favore!» disse.
«Chi ti credi di essere?»
urlò Wiligut, alzandosi con l’aiuto del bastone; aprì le braccia e si girò
verso le SS: «Fratelli! Io sono il profeta del dio Krist! Il dio ci ha rivelato
la porta per il sottosuolo, vedete?»
Qualcuno borbottò qualcosa
di incomprensibile.
«Bresler!» chiamò Wolff.
Un colonnello trovò lo zelo di battere i tacchi: «Sì, generale!»
«La torcia!»
Bresler si fece dare una
Daimon, l’accese e la porse al generale.
Wolff si chinò per
guardare attraverso il passaggio.
«Questi sono gradini.»
commentò.
Snudò la pistola e
cominciò a scendere.
«Generale!» disse Bresler.
«Può darsi che questo buco
ci salvi. È mio dovere fare un controllo.» disse Wolff.
Il generale prese due
uomini e scomparve nel buio.
Wiligut si sedette.
Bresler, alto, calvo, mascella quadrata, gli offrì una sigaretta. Wiligut
accettò; Bresler gli accese la sigaretta.
«La chiamano “mago”, herr.» esordì il colonnello.
«Io ho studiato le rune e
i luoghi dove scorre il potere. Lassù, all’Artiglio, ho letto gli incantesimi
da un antico libro e dico che non tutto è perduto, che possiamo riprenderci il
castello e la Porta, col giusto rituale.» disse il Mago.
Bresler alzò le
sopracciglia e prese una sigaretta per sé.
«Per riprendere il castello
abbiamo bisogno di munizioni e le munizioni si trovano al di là del portale.»
disse il colonnello, provando un improvviso interesse per la punta della sua
sigaretta.
«Mi risparmi la storia del
cane che si morde la coda.» tagliò corto Wiligut.
«Stavo per dirlo, in
effetti.» sogghignò Bresler.
«Ciò di cui abbiamo
bisogno … » il Mago chiuse il pugno afferrando l’aria, « … è quell’anello,
l’anello di Wolff.»
Bresler accolse la notizia
alzando un sopracciglio.
«L’anello convoglia il
potere!» spiegò Wiligut, «Ne servono dodici per far stabilizzare la Porta: uno
è al dito del generale Wolff.»
Il colonnello annuì e
piegò la testa di lato; per un attimo le sue fattezze scomparvero in una nuvola
di fumo:
«Lei ha trovato questo
passaggio, anche se credo sia stato un caso.» il colonnello si abbassò e si
sedette sui talloni.
Il vento gli fischiò sulla
testa calva e gli fece ondeggiare la sciarpa.
Wiligut guardò Bresler
negli occhi:
«Io sono davvero Weisthor, l’incarnazione di un
antico capo germanico. Io posso guidarvi fuori di qui. Non avete armi, né
munizioni.
“Ascolti, Bresler: Wolff
ha un anello, Heydrich ha un anello e Taubert, quell’idiota, ne ha un altro.
Poi c’è l’anello di Rudolf Hess, che era il mio e che Hess si è portato via
quand’è fuggito.
«Fanno quattro.» mormorò
Bresler.
Da sotto si sentì uno
sparò, poi un altro.
Una machinenpistole
tamburellò.
Wiligut cacciò la testa
nel buco e vide il lungo, pallido, braccio della Daimon ondeggiare. Poi un uomo
venne su, camminando all’indietro. Davanti a lui, saliva un’altra SS.
«Hauptscharfuhrer Mann! Rapporto!» urlò Bresler al primo uomo.
Quello non si girò, ma
continuò a tenere la sua mp40 puntata verso il passaggio.
«Sono dei … » la SS
balbettò.
L’altra, indietreggiando,
inciampò e cadde di schiena. Una raffica di mitra schizzò verso l’alto. un
colpo prese di rimbalzo un terzo uomo: il generale Wolff.
Karl Wolff si accasciò e
si strinse l’omero sinistro con la mano destra. La pistola era stretta fra le
dita.
Davanti a lui apparvero
due ombre.
«Hauptscharfuhrer devo ricordarti la disciplina?» urlò Bresler alla
SS Mann.
«C’è l’inferno!» Mann si
girò e guardò Bresler negli occhi.
Wiligut prese il suo
bastone runico e scansò il colonnello. Cominciò a scendere i gradini. Le suole
degli stivali slittarono sulle pedate rese lisce dagli anni. Ma Wiligut
continuò a scendere: superò la SS caduta di schiena e puntò dritto su Wolff.
Il generale stava sparando
a qualcosa.
questa è un'immagine di mikernaut-d3dgdko, potete trovare l'originale qui. |
Qualcosa con
l’uniforme da schutze ma senza la parte inferiore della faccia. Gli occhi verdi
brillavano sopra l’arcata dentale superiore come lucciole velenose nel buio.
Un buco circolare, dai
bordi frastagliati, gli si apriva sulla fronte.
L’altra ombra aveva denti
frantumati che sporgevano verso l’alto spinti da una lancia con la punta di
selce.
Al centro del cranio c’era
un foro.
Wolff sparò al torace
dello schutze. Il colpo produsse uno squarcio che sputò appena un rivolo di
sangue.
«Idiota!» urlò Wiligut,
«Non è con le pallottole che si vincono i morti!»
Alzò il bastone e urlò
qualcosa in un antico dialetto germanico.
«Si farà ammazzare!» disse
Wolff. Il generale sparò un’ultima volta alle ombre, poi cercò nella
buffetteria un altro caricatore.
Le ombre avanzavano.
Wiligut urlò, alzò il
bastone e lo calò con forza sulla mezza testa dello schutze. Ammiccò, quando
uno schizzo di pus biancastro gli colpì una guancia.
Lo schutze fece uno scatto
e gli afferrò la gola con le mani.
Wolff spinse l’altro morto
indietro con lo stivale, tirò fuori l’ultimo caricatore e lo inserì nella p38.
«Indietro!» urlò.
«Dammi l’anello, idiota!
Ributterò questa merda nella tomba!» ringhiò Wiligut.
Il generale tirò il
carrello della pistola e sparò allo schutze con la freccia di selce. Gli sparò
in faccia, per spegnere quello sguardo verde.
L’essere ebbe un sussulto
e indietreggiò. Wolff sparò ancora e lo schutze cadde, schizzando l’aria di pus.
L’altro era ancora
avvinghiato a Wiligut.
Wolff diede uno strattone
al braccio del Mago, poi spinse lo schutze con lo stivale.
Si girò a guardare i
gradini: la salvezza era là sopra, in mezzo alle intemperie, fra l’odore di
cavallo e di paura dei soldati.
La salvezza era Bresler.
E loro: perduti!
Poi sentì un ringhio e
vide figure pallide uscire dalla tormenta e calare sulle SS. Vide Bresler di
profilo, la schiena arcuata all’indietro, con il cranio aperto dall’Unico
Dente. Vide Mann armeggiare col carrello dell’mp40 mentre loro, gli ustmerc, lo
trascinavano dal cappotto.
«Io … sono … Weisthor!» Karl Maria Wiligut affondò il
bastone nel cranio dello schutze senza faccia. Uno schizzo di pus lo colse
sulla fronte e sulla sciarpa.
Poi il mostro crollò al
suolo.
Wiligut non ebbe tempo di
compiacersi della vittoria: fu spinto in avanti da Wolff. Il generale aveva la
pistola in pugno e la Daimon agganciata al petto.
«Andiamo!» urlò al Mago.
Wiligut si girò, sentì le
urla e vide i Denti ustmerc affondare nel cranio delle SS.
Wolff lo superò, divorando
metri su metri con gli stivali.
Nel buio, si accesero gli occhi verdi di un altro
morto.
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