questo signore nel ritratto è il presidente della Cecenia a cui mi sono ispirato per la figura di Karmaniov |
«Abbiamo perso un’altra
armata lungo il confine, signore.»
Aslan Karmaniov guardò il
ministro della difesa con i suoi grandi occhi azzurri, poi si mise in bocca una
sigaretta e aprì il cassetto della scrivania presidenziale. C’era una grossa
pistola automatica: Aslan ne estrasse il caricatore, lo rimpinguò con un paio
di pallottole e lo reinserì, poi si alzò e flesse due dita verso il ministro
che già gli porgeva la fondina ascellare.
Aslan la allacciò e fece
scivolare la pistola nel fodero.
«Gli americani quando ce
li danno questi aerei?» domandò al ministro.
«Niente aerei, presidente:
né con i canali ufficiali, né sottobanco.» rispose il ministro.
«Tivù del cazzo!» ruggì
Aslan, «Lo fanno per la tivù e per i giornali. Procurami un’intervista con
qualche stronzo occidentale.» il presidente indicò il ministro.
«Anzi, dammi il fucile!»
Il ministro andò a
prendere l’AKS-74U con i fregi presidenziali e lo consegnò ad Aslan. L’uomo se
lo mise a tracolla, slacciò la cravatta e la fece uscire dal giubbetto
americano che portava addosso. Aprì il cassetto della scrivania, lo richiuse,
aprì l’altro cassetto, vi fece cadere un po’ di cenere per sbaglio, afferrò un
paio di caricatori a banana e li cacciò nella buffetteria.
Passò il dorso della mano
sulla folta barba bionda su cui già s’affacciava qualche pelo d’argento.
Uscì dal palazzo presidenziale.
Le guardie gli fecero il
saluto. Alcuni mercenari gli si misero al fianco e lo seguirono fino a una
enorme macchina blindata dipinta con vernice mimetica.
Proprio in quell’attimo,
le batterie contraeree del palazzo si mossero, seguendo qualcosa nel cielo.
I colpi di grosso calibro
scavarono lunghi bracci di fuoco in aria mentre le canne rinculavano una a una
con forti esplosioni.
Si udì il rombo di un jet,
poi ci fu uno scoppio dietro il palazzo. La terra tremò e l’aria fu appestata
dal puzzo di carne morta.
La macchina ebbe un
sussulto e una nube di fumo e microscopici detriti prese a rombare sul palazzo,
nascondendolo alla vista.
Aslan aiutò uno dei
mercenari a rialzarsi, prese la cicca da terra, se la mise in bocca, cercò
l’accendino.
Uno dei suoi lo raggiunse
con un fiammifero. Aslan accese la sigaretta, annuì e buttò il fiammifero.
«Russi di merda!» disse,
guardando la nube.
«Senza aerei facciamo
poco, signore.» commentò una delle guardie.
Il presidente alzò due
dita e disse: «Un momento.» afferrò il cellulare dalla tasca e vide, sul
display, una scritta in cirillico.
Sogghignò e lesse: «“Diventa
il nostro miglior cliente! Vieni al mercato del signor Sputnik” … ma che cazzo
è?» commentò.
Sul display apparve:
“Rispondi!” con tanto di punto esclamativo.
Aslan rise, fece un tiro,
buttò la sigaretta, la pestò sotto la scarpa di Gucci e premette il bottone di
risposta.
«Presidente Karmianov, Priviet’! Kak dela?» disse una voce allegra,
in inglese e russo.
«E chi caazzo siei?»
ridacchiò il presidente.
«Sputnik, per servirla!»
«E alora, ti asscolto,
caro sinior Sputnik.» Aslan parlava inglese con un pesantissimo, totale, accento russo.
«Ho da proporle un buon
affare.» disse Sputnik.
«Afare? Kvi?»
«Non è giusto che solo i
russi abbiano gli aerei, no?» fece Sputnik.
Aslan rise e schioccò le
dita, guardò uno dei suoi e disse: «Zigaretta.» uno degli uomini si frugò nella
buffetteria, prese un pacchetto e lo tese al presidente. Aslan prese una
sigaretta e se la fece accendere.
«Dicievi che non è giusto
che aerei solo i russi.»
«Esattamente, ma non
parliamone al telefono. Incontriamoci alla Collina della Cultura adesso.»
«Adiesso?» Aslan fece un
rapido tiro.
«Da!» disse Sputnik, ridacchiando.
«Va biene, io viengo a
Colina Kulturny, ma tu sei là mister Sputnik!» il presidente staccò la
sigaretta di bocca e indicò l’aria davanti a sé.
«La sto già aspettando.»
Sputnik chiuse la comunicazione.
Aslan rise e diede il
cellulare a uno dei suoi, poi schioccò le dita:
«Andiamo!» disse.
La contraerea alzò di
nuovo i cannoni e prese a sparare.
La Collina della Cultura
era stata un antico sito megalitico di divinità precristiane, distrutte con
l’arrivo dei bizantini e dei turchi dopo di loro.
Si ergeva per trecento
piedi nel suo nucleo di roccia silicea spruzzato da macchie di verde tenace e
ondeggiante al parlare del vento.
Le fondamenta di un antico
castello di legno erano state trovate da una spedizione archeologica russa e
qualche medievalista aveva fatto altri scavi.
Poi erano arrivati i
sovietici. Sulla Collina, Stalin aveva fatto erigere un cinema: un casermone
grigio inneggiante alla “cultura”.
Dopo la fine dell’Unione
Sovietica, quel piccolo, insignificante, pezzo di terra costituiva il cuore
della lotta di Aslan Karmaniov. Sulla collina, infatti, sorgeva la prima,
seppur piccola, moschea della Repubblica di Czarnovia.
Era questione di tempo,
prima che i MiG la buttassero giù con le bombe.
Uomini balcanici dalle
facce torve presidiavano ogni metro di collina. L’esercito regolare di Aslan si
riduceva a delinquenti in tuta e giacca mimetica.
Aslan scese dall’enorme auto
e porse i saluti all’imam che lo aspettava ai piedi della Collina.
«Ho visto una luce,» disse
il sant’uomo, «e un aereo o un elicottero è atterrato vicino alla moschea. Che Allah
ti protegga!»
Aslan annuì e schioccò le
dita. Salì con quattro uomini fidati. Percorse la collina a piedi, fermandosi,
ogni tanto, a fumare.
Era un uomo enorme: un
vero orso di due metri con una barba bionda da vichingo.
Quando, infine, giunse
alla vetta, sentì l’aria farsi più fresca e un vento stormire l’erba.
I piccoli minareti della
moschea apparvero dietro una roccia. Salendo, vide, accanto alla moschea, una
specie di container di legno, spoglio. Vicino al container c’era un tavolino e,
seduto, un uomo in giacca e cravatta.
Aslan s’incamminò e vide
l’uomo alzarsi e allacciarsi l’ultimo bottone della giacca.
«Il presidente Karmaniov?»
domandò l’uomo.
«Mister Sputnik?» chiese
Aslan. Entrambi sorrisero: il sorriso dell’uomo d’affari.
Proprio in quell’attimo,
un jet russo volò sopra le nuvole, con un frastuono infernale.
«È un peccato che siate
senza aviazione!» disse, calmo, Sputnik.
Aslan si sistemò meglio la
tracolla del fucile.
«Prego, si sieda.» disse
Sputnik, indicando una piccola sedia pieghevole che il presidente non aveva
visto. Questi sorrise e accettò l’invito.
La sua enorme mole
sbordava dalla sedia, ma egli non ci badò.
Sputnik si sedette e
sorrise.
«Alora,» fece Aslan, «tu
parli, mister Sputnik: giet faighteer!»
«Meglio! Meglio!» disse
l’uomo in giacca e cravatta, «Ma ha un prezzo.» e sfregò l’indice e il pollice.
«Priezo? Io pago!» Aslan
si spinse contro lo schienale e accese una sigaretta.
Sputnik sorrise e disse:
«Schiocchi pure le dita, signor presidente.»
Aslan non capì, sorrise,
fece un tiro, poi ridacchiò, sbuffando nuvole di fumo. Schioccò le dita.
Una porticina s’aprì nel
container e uscì fuori, adagio, un vassoio. Il vassoio volava a mezz’aria senza
che nessuno lo reggesse. Sopra, Aslan vide una grossa scatola nera.
Adagio, il vassoio planò e
scese sul tavolo.
«Et voilà!» fece Sputnik,
sorridendo; tolse la scatola e la mise vicino al presidente, poi afferrò un
foglio precompilato (che era fra il vassoio e la scatola), si frugò nel
taschino e trasse una bellissima Caran D’Ache in oro bianco.
Aslan adocchiò subito la
penna. E Sputnik se ne accorse.
«Presidente Karmaniov, le
darò la supremazia aerea sui russi … con questa
scatola.» disse l’uomo in giacca e cravatta, dando una pacca sull’oggetto.
Aslan guardò la scatola,
poi si protese sul tavolo: «Se tu prendi per il culo io … »
«Nessuna fregatura,
presidente!» Sputnik si adagiò sullo schienale e alzò i palmi di entrambe le
mani.
«E kvanto costa scatolla?»
domandò Aslan, incuriosito dall’assurdità della cosa.
Sputnik scrollò le spalle:
«Tredici miliardi di dollari ed è sua.» disse.
L’enorme presidente
scoppiò in una risata e diede un pugno al tavolino:
«Triedici miliaardi di
dollari per scatolla?»
«Lei non ha tutti quei
soldi, ma possiamo fare un piano rateale. Una volta vinta la guerra e
incamerate le ricchezze russe, potrà continuare a pagarmi con comodo.» disse
Sputnik.
«E pierché triedici
miliaardi per scatolla?» sbottò Aslan. I suoi uomini risero.
Sputnik alzò un
sopracciglio e fece scattare il gancio; disse:
«Perché … » alzò il
coperchio.
Dentro, in mezzo a piccole
croci di polistirolo rosso, c’erano tre uova. Ognuna era grande quanto la testa
del presidente.
«Chie cazzo è sta ruoba?»
Aslan indicò le uova, «Pulcino? Triedici miliaardi pier pulcinno?»
Gli uomini risero.
Aslan prese un uovo; ne sentì
la superficie coperta da piccole scaglie. L’uovo era caldo ed emetteva un
leggerissimo tremore.
«Sente la sua mano,
presidente.» disse Sputnik.
«Ma chie cuosa è?»
«Beh … » Sputnik sorrise e
cominciò a parlare.
Alla fine del giorno,
quando il sole morì a occidente, Aslan Karmaniov scese dalla Collina e andò
dall’imam.
«Dobbiamo darci da fare con
lo smercio di droga, imam,» disse, «la prima rata scade fra ventuno giorni.»
«Ma cos’è? Cos’hai preso?»
domandò il sant’uomo.
«Leggi!» Aslan tirò fuori
dal giubbetto mimetico il foglio del contratto spiegazzato. L’imam lo prese e
cominciò:
«Non capisco, che c’è
scritto?»
«La seconda pagina! La
prima è nella lingua di Altair IV.» disse Aslan.
L’imam obbedì e girò
pagina e lesse a mezza voce:
«“ … dunque io, Aslan
Karmaniov, Presidente della Repubblica di Czarnovia, mi impegno a pagare una
cifra di dollari tredici miliardi virgola zero zero. In cambio riceverò dal
Signor Sputnik di Altair IV numero tre … uova
di drago.”»
«Aha e mi ha regalato
anche un vassoio della Coca-Cola volante e questa fantastica penna.»
Aslan tirò fuori la Caran
D’Ache.
Poi sorrise e carezzò le
uova.
Devo dire che stavolta me ne sono allegramente fottuto della "pistola di Chekhov" (come cazzo si scrive!) perché mi sono rotto le scatole di stare alle regole come se scrivessi canovacci teatrali o haiku. Volevo mettere un fucile e una pistola, non perché Karmaniov li usasse, ma perché fossero da "abbellimento" alla sua persona, perché lo descrivessero, ecco.
RispondiEliminaOh, capitano Kirk, non è che chiedi a Chekhov se è d'accordo con questa mia versione?
Saludos!
Momento. Un conto è mettere un particolate all'apparenza fuori luogo, per poi utilizzarlo. Un altro è un particolare descrittivo. Non è che, se uno entra in un armeria, evito di descrivere le armi solo perchè poi non le usa.
RispondiEliminaE infatti. Questa è la sindrome da estremista intransigente tipo gli odoratori della carta.
EliminaCioé, con 'sta roba della pistola di Chekhov uno ancora un po' si deve spaventare degli oggetti che mette addosso al tizio x perché, se non glieli fa usare, apriti cielo.
Che poi, come mi dicevi tu, la pistola di Chekhov è venuta fuori perché nella descrizione di una stanza arredata in un certo modo, c'era sta pistola che non c'entrava una m*****a e i tizi xyz eccetera non l'hanno neanche usata, alla fine. Quindi era un surplus inutile che poteva anche essere evitato.
Mentre, se descrivo, come dicevi, un'armeria, che cazzo, non posso dire che c'è un m-16 anche se poi il tizio x non lo usa?
Va bene scrivere con i crismi, ma prendiamo anche spunto dalla vita reale dai!
Saludos!
Per non parlare poi dell'aringa rossa. E già già.
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