lunedì 27 agosto 2012

4 - Dov'è Joker?



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4
La mano di Batman sfiorò il microfono incorporato nella maschera.
«Dettami il numero, Alfred.» disse l’Uomo Pipistrello al suo domestico.
Alfred gli dettò il numero dello studio Schiff & Associati. Batman lo ripeté ad alta voce, sicuro che il sistema di comunicazione lo registrasse e lo componesse, poi aspettò.
Dopo tre squilli, rispose una pizzeria di North Hollywood.
Batman interruppe la chiamata e si girò verso Alfred.
«Da dove cazzo hai preso quel numero?»

«Ma da internet! Ho seguito il link che c’era sulla mail che ti ha mandato l’avvocato Schiff, capo.» si giustificò il maggiordomo.
«Ripetimelo.» disse Batman.
«Ho seguito il link che c’era sulla mail che ti ha mandato l’avvocato Schiff, capo.»
«Il numero, perdio!»
Il secondo tentativo andò a buon fine – Alfred era miope e aveva preso un tre per un otto – e rispose Paul Schiff.
Batman disse: «Sono Batman,»
«E io sono Robin! Oh, mi scusi non sono riuscito a trattenermi. Cosa posso fare per lei?» domandò l’avvocato.
L’Uomo Pipistrello deglutì: quel che stava per dire gli sarebbe pesato come un macigno sull’anima.
«Il numero 27 di Detective Comics … 1939 … lo vendo a suo padre … » le parole ebbero il rombo di una tempesta.
Dall’altra parte, la voce di Schiff si abbassò di un tono:
«Il vecchio sarà felice di saperlo.»
«Bene. Dove ci incontriamo?» chiese Batman.
Paul gli diede l’indirizzo e gli disse: «A mezzanotte.»
Batman chiuse la comunicazione.
Alfred si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla: «Allora vendi il fumetto, eh Spike? Beh, mi ’spiace.»
Kevin lo guardò: «Non mi chiamo Spike.» disse, adagio.
«Lo so, Spike, lo so. È dura anche per me.» fece Alfred, «E comunque, dove andiamo?»
Batman lo fissò dagli occhi contorno fumé: «Al 12551 di Saticoy Street South, North Hollywood.»
«Los Angeles!» esclamò Alfred, «Lontanuccio.»
«Ci andrò solo.» fece Batman.
«Ah, sì? E con cosa?» chiese il maggiordomo.
«Con l’autobus.» rispose Kevin.
«S’è mai visto Batman prendere l’autobus?»
«È una situazione d’emergenza.» spiegò Kevin.
«Per questo c’è il mio bolide!» disse Alfred, poi si frugò nelle mutande e tirò fuori un paio di chiavi.
Batman lo fissò a lungo.

Alfred spuntò al volante di una minuscola Pacer giallo limone parcheggiata in Midway Drive. Il cruscotto era pieno di multe non pagate.
«Che ne dici?» chiese all’Uomo Pipistrello.
«Non mi ci stanno le gambe.» disse Batman.
«Tireremo indietro il sedile, Spike.» propose il maggiordomo.
Batman grugnì. Stringeva in una mano il fumetto, chiuso in una cartelletta di plastica trasparente, nell’altra: il calibro 12.

Cinque ore da San Diego alla contea di Los Angeles e poi su, verso North Hollywood.
Nonostante viaggiassero coi finestrini aperti – il dispositivo per l’aria condizionata era rotto – Batman sudava nel costume e aveva un mal di testa terribile.
«Butta giù una sanguinaria aspirina, metà!» gli disse Alfred, guardandolo da dietro la maschera da sub graduata che s’era messo per guidare.
Batman girò il torso verso di lui – il costume semirigido non gli dava la possibilità di muovere il collo – e fece una smorfia: «Sanguinaria aspirinametà … ma come parli?» domandò.
Alfred non disse niente. Parlò Noel Gallagher per lui, quando “Force of Nature” degli Oasis venne sputata a tutto volume dalle casse dell’auto.
Kevin si limitò a cercare di scuotere la testa.
Poi girarono in Saticoy Street South.
A quell’ora la città di North Hollywood era deserta.
«Ecco,» disse Alfred, «questo è l’12551.»
Fermò la piccola Pacer di fronte all’ingresso. Batman strinse il calcio del fucile, poi aprì lo sportello e mise piede sulla strada.
Il civico 12551 era occupato da un edificio basso che si snodava come un lungo serpente fatto di parallelepipedi tra glicini e palme nane.
«Accidenti! Che casa!» disse Alfred.
«Non è una casa,» fece Batman in un sussurro, «o almeno non lo era.»
«Ah sì? E cos’era?»
«La Pacific Chemicals,» rispose l’Uomo Pipistrello, «producevano e distribuivano agenti chimici in tutti gli Stati Uniti.» spiegò.
«Accidenti!»
«La pianti di dire “accidenti”?»
«Preferisci sanguinario inferno? E dai, non scaldarti Spike. Ora è casa dell’avvocato questa?»
«Non so,» Batman guardò l’edificio a due piani. Si era accesa una luce alla finestra più distante dalla loro posizione.
«Successe un grave incidente … anni fa … » aggiunse l’Uomo Pipistrello, guardando verso la finestra.
«Che ci devi fare con quello, metà?» domandò Alfred, indicando il fucile.
«Non saprei … »
«Dai ascolto al tuo senso da ragno?» chiese il maggiordomo. Batman allargò le braccia e si girò verso di lui.
«Che cazzo! Ti sembro un ragno? Eh? Quello è l’Uomo Ragno, hai capito? Eh? Anche lui fottuto da questi cazzo di “super” … e poi stava nella Marvel.» il Giustiziere Mascherato scosse la testa e lasciò penzolare le braccia lungo i fianchi.
Si avviarono verso il cancello e attesero.
«Non dovremmo citofonare?» domandò Alfred.
«Sì, già.» Batman guardò il citofono. C’erano due nomi: Paul Schiff e Moses Schiff. Citofonò a Paul. Si aprì il contatto e la voce dell’avvocato venne fuori dal marchingegno.
«Oh, prego! Venite, entrate.» disse. Il cancello fu aperto e i due entrarono.
Paul li aspettava all’ingresso. Era in pantaloncini e maglietta. Faceva caldo.
«Allora, deciso a separarsi dal fumetto?» chiese Paul.
«Un milione e settantacinque mila.» disse Batman.
«Ma certo!» fece l’avvocato. Poi fece segno di seguirlo. I due entrarono dietro l’alto e dinoccolato Schiff. C’era un atrio arredato in maniera spartana. A sinistra s’apriva una grande porta a doppio battente, a destra c’era una porta tagliafuoco mentre dritto si vedevano delle scale salire.
«Prego!» disse Schiff, indicando la porta a doppio battente, «Nello studio di mio padre.»
Batman entrò seguito da Alfred.
Una luce veniva sprigionata da una lampada da tavolo, illuminando le mani diafane e chiazzate di un uomo. Sembravano galleggiare nel buio. E così la sua voce, che parve incorporea come quella di uno spettro.
«Benvenuti, signori.» disse Moses Schiff.
«Shalom, padre.» s’affrettò a dire Paul.
«Shalom.» disse Moses.
«Grande! Un goym tra gli ebrei.» esclamò Alfred, sorridendo.
«Mi sorprende che lei conosca il significato di questa parola.» disse Moses.
«Oh, sì, beh, vede … io vengo da Londra.» replicò il maggiordomo, come se avesse chiarito tutto.
«Già, da Londra.» disse il vecchio Schiff.
«Già, da Londra.» disse Alfred, di rimando.
«Senta,» s’intromise Kevin, «suo figlio mi ha detto di quell’albo … insomma, dice che lei è interessato.»
«Oh, sì! È una mia vecchia passione. Colleziono fumetti del tempo che fu!» spiegò Moses.
«Ma prima voglio vedere in faccia il figlio del nostro amato rabbino Kahn.» aggiunse, spingendosi verso la luce.
«Oh, papà lavora sempre con un’illuminazione molto pisciosa.» disse Paul.
Alfred scoppiò a ridere sputacchiandosi addosso, poi si tolse la maschera da sub e disse: «Pisciosa? Certo che voi americani parlate strano! Sanguinario inferno!»
«Pisciosa.» fece Moses in difesa del figlio, «Perché, voi come dite?»
«In Inghilterra si dice “piccola”.» disse Alfred, gonfio d’orgoglio.
Schiff scosse la testa e disse: «Ah! Inglesi.»
«Voi non avete Harry Potter!» ribatté il maggiordomo.
«Harry chi?»
«E neanche Jo Frost.» aggiunse Alfred.
«Veramente fa un programma anche in America e si chiama Super Tata.» disse Paul Schiff.
«Ora basta!» Batman calò un pugno sul tavolo. E scese il silenzio.
«Lei vuole il fumetto o no?» domandò a Moses Schiff.
«Sì.» rispose il vecchio.
«E me lo pagherà per il suo valore, ossia duemilioni di dollari?»
«Ma,» intervenne Alfred, «avevi detto un milione e settantacinquemila, Spike!»
«Già!» fece Paul.
Batman si girò in uno svolazzo di mantello e li fulminò entrambi con lo sguardo.
«Pagherò,» disse Moses, «duemilioni di dollari.»
«Voglio un impegno scritto.» pretese Batman.
«Ora non abusare della mia magnanimità, giovanotto!» esplose Schiff, «Essere il figlio del rabbino non ti da il diritto di fare lo stupido! Riuscirai a pagare i tuoi debiti e ti rimarranno abbastanza soldi per toglierti qualche sfizio, in più hai un valido avvocato. Cosa pretendi ancora?»
Quelle parole risvegliarono il silenzio.
Già, pensò Kevin, cosa pretendo? Forse di conservare il fumetto del nonno, ecco cosa pretendo.
«Debbo controllarlo,» disse Moses, allungando una mano.
«Certo, è giusto.» Batman tirò fuori l’albo dalla cartelletta trasparente e lo porse al vecchio che lo prese religiosamente.
Schiff aprì l’albo e lo sfogliò con cura. Un gran naso semitico spuntava fra le lenti bifocali e un ciuffo grigio accarezzava la fronte, uscendo dallo zuccotto.
Mentre studiava l’albo, Schiff parlava con voce vecchia e accorata.
«Tuo padre era un grande rabbino, Kevin. Un grand’uomo. E dovresti essere orgoglioso di portare il suo nome … invece l’hai cambiato … ti vergogni d’essere ebreo?» domandò, senza alzare gli occhi dalle pagine.
C’erano vignette dell’Uomo Pipistrello fra i grattacieli.  I gangster che combatteva sembravano usciti dagli anni venti. Avevano gessati, cappelli e scarpe di vernice. Erano irlandesi, italiani, ebrei.
In mezzo a loro calava Batman come un’ombra silente.
Poi Schiff arrivò a una pagina piena di annotazioni. Erano fili di ragno scritti a matita. Numeri, simboli matematici. E lettere dell’alfabeto ebraico.
Batman s’accorse che il vecchio non leggeva i balloon dei personaggi, ma le annotazioni.
«Cosa … cosa sono quelle?» domandò, d’un tratto.
«Oh, formule.» rispose Schiff, con studiata noncuranza. Poi chiuse il volume e chiamò Paul: «Vieni qui.»
Il figlio s’accostò alla scrivania.
«Portalo al controllo  grafico,» disse Moses Schiff, «sembra autentico, ma dobbiamo esserne certi.»
Paul annuì.
«Che significa?» domandò Batman.
«Se l’albo passa l’esame, avrai i tuoi soldi domani al più tardi.» disse il vecchio.
«Quale esame? Che cosa?»
«Salderai i tuoi debiti e potrai affrontare il processo.» spiegò Schiff.
«Ha detto il processo, Spike. Come faceva a sapere che c’è un solo processo?» intervenne Alfred.
«Già!» disse Kevin.
«Ah! Il processo, i processi. Ho detto il perché mi sarò confuso, ecco tutto.» spiegò Schiff.
«Già, papà è un po’ così a volte.» Paul cercò di sdrammatizzare.
«No.» Batman calò un pugno sul tavolo, «Intendevi il processo, cioè l’unico che mi vede come imputato, quello per resistenza all’arresto … perché l’altro … è falso!» disse.
«Giovanotto!» esclamò Moses Schiff, «Non alzare la voce in casa mia! Ricorda che sei sempre un membro della comunità ebraica losangelina. Quante volte t’ho visto andare in sinagoga? Eh? Zero!»
«Prima di tutto mi sono trasferito a San Diego proprio per sfuggire a voi e … a questo posto … » disse Batman.
«L’avrei fatto anch’io.» commentò Alfred, guardandosi attorno. Il maggiordomo fece un passo verso il muro e spinse l’interruttore della luce. Le ombre svanirono.
«Beh, scusate ma non ci vedevo proprio.» si giustificò Alfred.
Batman si girò verso di lui, pronto a rimbrottarlo. Poi gli occhi si fissarono sui muri. Erano pieni di ritagli di giornale e foto incorniciati.
Quasi tutte le foto ritraevano un Moses Schiff giovane. Accanto ad American Dream. Accanto a Lady Liberty.
O Hal Salazar.
Ce n’era anche una recente dove Schiff porgeva la mano a Maksim Akuto, alias Avtomat, un sovrumano russo.
Batman si girò a fronteggiare il vecchio. Schiff nel frattempo si era alzato dalla scrivania. I suoi occhi mandavano lampi di fuoco verso l’Uomo Pipistrello.
Paul Schiff aveva fatto due passi indietro ed era vicino alla porta, col fumetto in pugno.
Kevin alzò il calibro 12.
«Dove credi di andare?» chiese.
Il silenzio ne approfittò per respirare.
Poi fu rotto dal vecchio Schiff.
«Sei arrogante e stupido, Kevin!» ruggì l’uomo. «Cosa vuoi fare? Sparare a mio figlio? Vuoi uccidere un altro uomo?»
Batman non rispose.
«Kevin Aaron,» disse Schiff, «noi della comunità ti abbiamo sempre protetto!»
«Da che cosa?» domandò l’interessato.
«Da te.» fu la risposta.
Ancora silenzio. Non proprio: Alfred fischiettava adagio la colonna sonora di Harry Potter.
«Non ricordi cos’hai fatto? O l’alcol t’ha definitivamente rincretinito?» domandò Moses Schiff.
«Cosa? Che diavolo vuoi dire?» chiese Kevin.
«Successe qui all’epoca del tuo Bar Mitzvah.» dichiarò il vecchio.
Batman alzò la testa, come volesse bucare il soffitto e vedere Dio. Poi disse:
«L’incidente!»
«E tu lo chiami incidente!» Schiff sogghignò e cominciò a fare il giro della scrivania. «Tu e tuo padre eravate di là, oltre la porta tagliafuoco. Ti ricordi, Kevin? Sai cosa c’è oltre la porta tagliafuoco?» la voce del vecchio era molto bassa ormai.
Batman rispose con un rantolo da morto: «Le … vasche … dei solventi … »
«Già, perché questa era la Pacific Chemicals mia e di tuo padre. Ma noi non facevamo solo stupide sostanze chimiche, nossignore, Kevin. Noi cercavamo l’immortalità attraverso gli scritti di tuo nonno!» spiegò Schiff.
«Gli scritti?» domandò Batman.
«Formule matematiche, formule chimiche, derivate dal lavoro di Nikola Tesla, anche lui fuggito dall’Europa dell’Est come noi. Formule del libro di Manfredo Settala, un italiano del diciassettesimo secolo. Rompicapi che tuo nonno scriveva sugli albi a fumetti come quello che ha in mano Paul!» disse Schiff.
«Ma … io non … » balbettò Kevin.
«Non capisci?» Moses gli si avvicinò e lo prese per le spalle, «L’albo del ’39 è l’ultimo tassello. Decifrandone le formule, saremo più vicini al segreto di Dio e della sua Luce Divina!» il vecchio alzò la voce e guardò in alto, come se stesse parlando al Signore.
«La Luce,» intervenne Paul, «sarà la nostra Pietra Filosofale, Kevin.»
«Sanguinario inferno! Come in Harry Potter!» disse Alfred.
Batman si guardò i piedi. Poi in un basso mormorio, cominciò la sua ribellione.
«Avete montato voi la storia della denuncia per plagio. Avete fatto venire voi a casa mia il finto corriere. E poi mi avete offerto la mano per aiutarmi coi debiti … in cambio del fumetto!» disse.
«Noi?» Moses Schiff sghignazzò, «Forse un poco, ma è stato il tuo stile di vita lincezioso a fare il resto! Hai sempre combinato guai, Kevin Kahn, come … quella volta!»
«È stato un incidente!» urlò Batman. Con una torsione del busto, si scrollò di dosso il vecchio, poi in un balzo fu addosso a Paul. Le nocche corazzate dell’Uomo Pipistrello baciarono il mento dell’avvocato. Paul andò giù. Kevin gli prese il fumetto.
Uscì dallo studio e spinse brutalmente la porta tagliafuoco.
«Accidenti!» disse Alfred, seguendolo.

Moses Schiff prese il proprio smartphone e chiamò il 911.
«Polizia! Tentativo di rapina a mano armata al 12551 di Saticoy Street South, North Hollywood.» disse e riattaccò. Poi dal cassetto prese qualcosa.
Era un fucile a pompa con la canna mozza e il calcio sagomato a pistola. Moses lo caricò e lo impugnò con una mano.

Batman accese la luce e si ritrovò su una passerella d’acciaio traforato. Due enormi vasche riposavano, vuote. La passerella aveva due accessi al piano inferiore sotto forma di scale metalliche.
Sotto era pieno di grossi scaffali d’acciaio. C’erano bidoni azzurri a perdita d’occhio. Batman li riconobbe subito come contenitori di materiale chimico.
Guardò le vasche. All’epoca dell’incidente erano piene. Una – quella di sinistra – aveva un liquido biancastro; l’altra era stracolma di roba verde. Suo padre, rabbi Mordecai Kahn, era caduto nell’ultima.
Kevin ricordò gli schizzi e il ribollire della sostanza mentre si mangiava le carni del padre.
Le ginocchia cedettero. Le lacrime scivolarono sul trucco nero.
L’Uomo Pipistrello piangeva.
Alfred lo guardò, senza dire niente.
Poi giunse la voce di Schiff: «Dammi il fumetto!»
E Batman ricordò. E fu di nuovo in piedi. Una rabbia sorda voleva trovare sfogo dentro di lui.
«Sei stato tu!» ruggì, impugnando il Remington.
Alfred si abbassò. Ma Schiff fu il primo a sparare. La rosa morse il maggiordomo come un calabrone, sulla spalla sinistra e prese Batman in pieno petto.
Il Giustiziere indietreggiò di mezzo passo e grugnì di dolore. Il Kevlar aveva fermato i pallini, non il dolore da impatto.
Schiff sparò un altro colpo, a distanza ravvicinata.
Stavolta Kevin cercò di evitarlo, buttandosi giù, oltre la passerella. Atterrò sui contenitori azzurri, facendone cadere alcuni. Poi rotolò sul pavimento.
Schiff si sporse e sparò. La rosa fece a pezzi un contenitore. Liquido verde fu spruzzato ovunque. Alcune gocce caddero sul Kevlar di Batman, sfrigolando come olio bollente.
L’Uomo Pipistrello si rimise in piedi. Guardò in alto. Da sinistra stava arrivando Paul Schiff di gran carriera e con una pistola in pugno.
Moses azionò il meccanismo a pompa, ricaricando il fucile. Batman cercò di afferrare il suo – era caduto giù con lui – ma scivolò sul liquido verde. Cadde di schiena e sentì il nylon speciale bruciarsi a contatto con l’acido.
Schiff si sporse e mirò alla faccia. Stavolta non avrebbe sbagliato.
«Il fumetto!» disse Paul, dietro di lui.
L’albo era caduto per terra e stava per essere investito dall’acido che continuava a stillare dal contenitore distrutto.
Moses premette il grilletto. Batman ebbe il tempo di chiudere gli occhi.
Bum! 

... continua

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