martedì 11 febbraio 2014

Cavour - un racconto breve sul risorgimento

"ma quante ne so!"

Torino, 11 febbraio 1859.
Camillo Benso, conte di Cavour, sedeva nel suo gabinetto, meditando ad alta voce sui libri contabili del Regno.
«Servono soldi! Con la guerra abbiamo accumulato un debito di un miliardo di lire, e gran parte di questo denaro bisognerà restituirlo alla Gran Bretagna.»
Quando bussarono alla porta, il Conte disse: «Entrate.» si tolse gli occhiali a pince-nez e passò due dita sulle palpebre stanche.
«Conte, buonasera.» non aveva bisogno d’essere annunciato l’uomo che entrò nel gabinetto di Cavour. Aveva un paio di baffi lunghi e all’insù, un viso largo, dai tratti nanoidi e due occhi piccoli, da faina. Il volto era incorniciato da una raggera di capelli ondulati, tenuti assieme in una pettinatura rigida da chissà quale pomata.
«Vostra Maestà, buonasera a voi.»
«Facevate i conti?» domandò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia.

Cavour si concesse un attimo, prima di rispondere. Era quasi sicuro che quell’uomo, tracagnotto e sanguigno, non fosse figlio del re Carlo Alberto, magro e alto due metri, ma di un popolano, un certo Tanaca, un macellaio toscano a cui era scomparso il primogenito e che, in seguito, era divenuto molto, molto ricco. Il Conte rammentò dell’incendio nel palazzo fiorentino, dove la famiglia reale risiedeva, e della presunta morte del figlio di Carlo Alberto. Gli sarebbe servito più tempo per provare quella faccenda, ma le sue spie erano al lavoro.


«Sì, Maestà. E sarò franco: nelle casse c’è un buco grande quanto il battistero di Firenze.»
«E bisogna tapparlo, allora!» il Re posò due dita sul tavolo del Conte. Cavour sapeva dell’odio viscerale di quell’ometto per la matematica, l’algebra e qualsiasi cosa avesse a che fare coi libri. Toccava a lui perdere gli occhi sulle cifre e districarsi nella delicata arte della diplomazia. Lui aveva spinto la diffusione di quel romanzo, I promessi sposi, come mezzo di propaganda anti-austriaca alla vigilia della guerra del Quarantotto. S’era anche preso la briga di leggerlo e l’aveva giudicato efficace, ma terribilmente stupido. Nei circoli e nei club, ad ogni modo, avrebbero compreso il parallelismo fra gli spagnoli della storia e gli austriaci attuali.
Non ho dato io all’Austria settantacinquemila franchi per rifonderle i danni della guerra!, avrebbe voluto dire Cavour al Re.
«Quella stupidità della guerra con l’Austria che fece mio padre!» esclamò Vittorio Emanuele. «E io che, per appianare i dissidi, dovetti sborsare un mucchio soldi. Ora non venitemi ad accusare di nulla. Dovremmo far guerre su guerre, che diavolo! E invece ce ne stiamo qui, sui libri!»
«Vostra Maestà…» Cavour si alzò e andò alla parete delle mappe. Erano preziose e redatte con grande cura. «Il Regno delle Due Sicilie è lo stato dalle finanze più solide di tutta l’Europa. Il loro debito pubblico è…»
«Non parlatemi di numeri!» sbottò il Sovrano, alzando due dita. «Ditemi se si può fare e basta.»
Cavour ammiccò e fece un sospiro. «Stasera, Vostra Maestà, incontrerò chi potrebbe permetterci un passo del genere.»
«Chi?»
«Il conte di Clarendon, eminente membro del partito dei Whig.»
«Clarendon! È un voltagabbana! Me lo avete detto voi stesso!» protestò il Re.


«Si tratta dell’unica strada percorribile, Vostra Maestà. Dobbiamo già alla Gran Bretagna parecchi milioni, perciò…»
«Certo, con l’appoggio militare inglese, la questione si pone sotto una luce diversa.» il Re si tirò i baffi e tamburellò con le dita sul tavolo di Cavour. «La guerra in Crimea, che voi m’avete suggerito di fare, ci ha dissanguati, conte.» aggiunse.
«Era l’unica strada per evitare il tracollo, Maestà.» ribatté Cavour. «Al proposito di cui si parlava prima, vorrei presentarvi un decreto, che già ho redatto, per l’istituzione di un corpo militare.» il conte tornò al tavolo e prese un foglio dal cassetto, quindi lo porse al Re affinché leggesse.
«I Cacciatori delle Alpi? E al comando, Garibaldi, Cosenz e Medici?»
Cavour si limitò ad annuire.
«Con questi straccioni pensiamo di prenderci la Lombardia?» domandò Vittorio Emanuele.
«Dobbiamo farlo, per forza. Non riusciremo a iniziare alcuna ostilità contro il Borbone se non ci assicuriamo il Nord.» spiegò il Conte.
«Con cosa li armeremo?» sghignazzò il Re, tamburellando sul decreto.
«Di propaganda, in maniera principale, e di certi nuovi fucili Colt.» spiegò Cavour. «Garibaldi sta organizzando una raccolta di fondi tra i nostri sostenitori.» aggiunse.
«Conte, io sono un uomo d’azione, ma ho già speso troppo a ricucire i rapporti con Vienna e non intendo fare fiasco un’altra volta.»
«Vostra Maestà, vedete, il Borbone ha perso la maggior parte degli appoggi in Europa. La sua marina, è vero, ammonta quasi alle diecimila unità, ma le sue mire interferiscono con quelle inglesi, e parliamo dei lavori per il canale di Suez, dunque pur se schierasse dieci volte i nostri effettivi, con l’aiuto di Londra, cadrà di sicuro e noi…»
«Avremmo i fondi necessari per coprire quel buco.» finì il Re per Cavour.

prima ferrovia italiana: la Napoli-Portici, costruita dal Regno delle Due Sicilie
«I nostri sudditi hanno una pressione fiscale alta.» riprese il Conte. «E la rendita di un acro delle terre dei contadini del nord è risibile in confronto a quella dei grandi appezzamenti meridionali.» aggiunse.
«Gli inglesi hanno già voltato bandiera, caro conte.» protestò il Re.
«C’è la questione dello zolfo, Vostra Maestà.» disse Cavour. «Ferdinando ha in mente di nuovo di cessare il contratto che permette a Londra di sfruttare i giacimenti siciliani. Come sapete, l’ottanta percento dello zolfo inglese viene dal Regno delle Due Sicilie.»
«Quel maiale ci tentò già una volta!» disse il Re. «Mi ricordo la questione della Taix Aycard francese e di come finì.»
«Clarendon e Palmerston ci appoggeranno.» tagliò corto Cavour.
«Lo voglio nero su bianco.» disse il Re.
«Datelo già per fatto, Vostra Maestà. E ora, avremmo la questione del popolo.»
«Di che parlate?» domandò Vittorio Emanuele.
«Tralasciando Garibaldi e l’Austria e andando alla guerra col Borbone, sarebbe meglio preparare il terreno. Ho già stretto accordi con le logge che operano a Napoli e Palermo e con gli eserciti privati dei baroni siciliani. Sapete, Vostra Maestà, che in Sicilia comandano loro e che il re non può nulla senza questi baroni.»
«Ferdinando mi pare che possa ciò che vuole.» commentò Vittorio Emanuele.
«Il Borbone è l’unico che è riuscito a governare sull’isola, ma si è inimicato i baroni.» spiegò Cavour.
«Che potremo usare come testa di ponte.» aggiunse il Re, facendo svolazzare il decreto.
«Certo, Vostra Maestà. Molti generali borbonici sono sul nostro libro paga, sapete.»
«Dare soldi a quei porci aumenterà il buco.» disse Vittorio Emanuele.
«Si tratterà solo di vincere la guerra. Il Regno delle Due Sicilie è ricco: potremo diminuire la pressione fiscale in Piemonte e in Lombardia e raddoppiarla, triplicarla . Ripagheremo tutte le spese di guerra.» spiegò Cavour.
«Ci vorrà un piano a lungo termine.» disse Vittorio Emanuele.
Il Conte sorrise e si pulì gli occhiali. «Lasciate a me i numeri. Ci volessero anche duecent’anni, faremo ripagare al Sud le spese di questa guerra.»
Vittorio Emanuele si tirò i baffi e annuì.

fine

7 commenti:

  1. non credo sia troppo lontano dalla realtà...purtroppo!

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    1. Esatto!
      Ed è impensabile che a scuola ci diano da studiare solo propaganda.

      Saludos!

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    2. Da dove proviene questo "racconto"? Molto interessante da leggere, complimenti ;)

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    3. Ciao Maria!

      l'ho scritto io, dopo essermi documentato (negli anni) parecchio. Il primo sentore che la storia d'Italia non fosse come ce la raccontano me l'ha dato un mio amico di Lodi che mi ha detto: "La storia dell'unità d'Italia è la storia di come un piccolo, indebitato stato abbia fatto, con l'appoggio della Gran Bretagna, una guerra d'aggressione contro il Regno delle Due Sicilie".
      Poi ho letto Terroni di Pino Aprile e ho visto un documentario di uno storico inglese (non ricordo il nome, ma lo troverò) che dimostrava il valore storico di queste tesi.
      Spero ti sia piaciuto e spero serva a farci scavare a fondo sulla vera storia del meridione.

      Saludos!

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. ... nostri politici,baroni dei giorni nostri!!

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