venerdì 20 giugno 2014

Zombie - racconto/esercizio di scrittura



Questo esercizio di scrittura mi è stato ispirato da un racconto del Moro, Everglades, che potete trovare qui! Il Moro ha condotto un esperimento interessante, affrontando la narrazione nel racconto in seconda persona singolare... tipo "librogame". Così ho voluto fare lo stesso (copione) mettendoci gli zombie... la scena del risveglio in ospedale me l'hanno ispirata The Walking Dead e 28 giorni dopo, mentre il resto mi è venuto in mente dall'RPG Dead Reign della Palladium. Enjoy.



L’ospedale
Senti la fame e la sete. Il lenzuolo è impregnato d’urina e il materasso è sporco di merda. Ti sei svegliato al buio, senza ricordi, in una stanza d’ospedale.
L’orologio alla parete è fermo alle due e tre minuti. Ti tocchi il viso e senti la barba di parecchi giorni. Sulla testa, i capelli sono lunghi e sporchi. Riesci a muovere le dita dei piedi. Provi a scendere dal letto. L’aria è caldo-umida e odora di sangue e escrementi. La finestra è coperta da una tenda inchiodata alla parete. Dietro di essa, ci sono assi di legno. Muovi un passo e cadi a terra. Rimani lì, a boccheggiare, ma non chiami aiuto: l’istinto ti dice di non farlo.
Ti guardi attorno, fino a che non riesci a calmare i battiti del cuore e il respiro; provi ad alzarti e ti metti a sedere sulla sponda del letto. Ti gira la testa: è la fame. Ti alzi e vai in bagno, apri il rubinetto e non esce niente. I tubi vomitano un lontano gorgoglio. Guardi un uomo smagrito, dagli occhi arrossati e i capelli lunghi. Una garza sporca s’intravede fra i ciuffi sul lato destro del cranio. Ma tu hai sete. Allora alzi la tavoletta del water. C’è ancora un po’ d’acqua; ti chini e la raccogli con le mani a coppa. Bevi finché non sei dissetato. Solo allora ti alzi, spinto dalla fame. Devi uscire dalla stanza, anche se l’istinto ti dice di non farlo. Vai alla finestra e rimuovi i tendaggi. Filtra un po’ di luce. Cerchi di rimuovere le assi, e dopo molti sforzi, stacchi la prima, assieme a un paio di chiodi. Metti l’asse chiodata sul letto e guardi fuori. Quel che vedi non ha senso. Nel cortile dell’ospedale c’è un elicottero rovesciato su un fianco. Attorno, si vedono forme scure, immobili. Credi siano cadaveri. Ci sono parecchie jeep militari, ferme. Vedi postazioni circondate da sacchi di sabbia. Vedi tende da campo. Il terreno è coperto di cadaveri in lenzuoli bianchi. Prendi l’asse e ti dirigi verso la porta. Rimani in ascolto e, in cuor tuo, speri ancora sia solo uno scherzo di cattivo gusto. Quando metti la mano sulla maniglia, ti senti attraversare da un brivido. Giri la maniglia e aprì la porta. Ti accoglie la penombra. Guardi in entrambe le direzioni e vedi immondizia, letti rovesciati, lenzuola sporche di sangue. ci sono schizzi di sangue alle pareti. Alcune porte sono chiuse, altre divelte dai cardini. Imbocchi il corridoio a destra – una direzione vale l’altra – e arrivi a una porta a vetri. I vetri sono sfondati. Oltre la porta, alla luce del sole, scorgi un grande atrio, con sedie e ascensori. Attento a non calpestare schegge, oltrepassi la porta. Nell’atrio ci sono due morti, uno ha un camice verde. Il braccio e il torace dell’altro sono ridotti a una massa sanguinolenta e nera, come se gli avessero strappato la carne di dosso. Non ti chiedi nemmeno cosa sia successo, sai solo che non ha senso. Dev’essere il lavoro di un pazzo, di un serial killer. Ma non spiega i cadaveri fuori; forse è stata un’epidemia, ma non riesci a ricordarti. Il cadavere col camice si muove e «Grazie a Dio!» dici, si alza, apre gli occhi. «Cosa è successo?» domandi. Quello muove il collo e solo allora noti che ha la gola aperta, squarciata da un morso. Indietreggi e cadi, mentre lui si alza. Viene verso di te. Hai paura a gridare aiuto, e guardi l’infermiere avvicinarsi. I suoi occhi ti ipnotizzano e non riesci a muoverti, ma è solo la pietrificazione data dallo shock. L’infermiere ha i lineamenti distorti dalla rabbia e la bocca sporca di sangue. indietreggi, strisciando e cerchi di mettere le sedie fra te e lui. Anche l’altro uomo si muove, adesso. Striscia nella tua direzione, perché non riesce a usare le gambe. L’infermiere ti è addosso, ma tu frapponi l’asse, che lui morde. Gliela spingi in bocca, mentre le sue mani cercano la tua gola. Addosso ha un odore di merda e putrefazione. In un violento scatto d’adrenalina, torci l’asse e lo sbatti a terra; ti rialzi, sordo alla fatica e alla paura, sollevi l’asse e non ci pensi due volte: la abbatti sulla testa di quel pazzo, finché non rimane incastrata e ti sfugge dalle mani. L’altro ti sfiora una caviglia e tu ti allontani. Lo guardi negli occhi: i suoi sono vacui, senza ombra d’intelligenza. Muove quelle braccia scarnificate adagio, cercando di arrivare a te. Non hai idea di come sia finito in quelle condizioni, né del perché sia ancora vivo. Lo aggiri e vai verso le scale. La tromba delle scale è immersa nel buio, ma prima di imboccarla, riesci a leggere il numero tre sulla parete. Sei in radiologia. Cominci a scendere i gradini, disarmato e spaventato. Arrivi al secondo piano e continui a scendere. Vedi un’ombra muoversi nel buio, a livello dei tuoi piedi e ti si rizzano i capelli. Scavalchi li corrimano e ti appendi, lasciandoti scivolare al piano di sotto. altre ombre si muovono. Senti dei ringhi e comincia piangere. «Ti prego Dio!» dici. Ti lasci cadere sul corrimano di sotto e fai lo stesso su quello ancora inferiore. Dalle scale, alle tue spalle, si sente un lamento. tu hai davanti una porta tagliafuoco, con scritto “Terra”. Premi sul maniglione antipanico con tutto il tuo peso e vieni inondato dalla luce. Senti un ringhio alla tua sinistra e urli. Ti metti a correre in un parcheggio pieno di veicoli abbandonati e incendiati. Ti ferisci con dei pezzi di vetro, ma non te ne rendi conto. Continui a correre, dribblando i veicoli inservibili e arrivando alla tendopoli. Ti guardi attorno e senti l’eco di ringhi e lamenti. Continui a correre e attraversi la strada. Il manto d’asfalto è crepato in più punti e dalle crepe sbucano ciuffi d’erba. Gli alberi sulla collina sono rigogliosi, benché alcuni portino addosso i segni d’armi da fuoco. inciampi e ti rialzi e ancora senti ringhiare alle tue spalle. Arrivi alla sommità della collina. Vedi le pale di un elicottero. Sotto di te c’è un campo pieno di elicotteri verdi. Ci sono macchine della polizia, camion della spazzatura, ambulanze… ovunque. Continui a correre, finché i polmoni non bruciano. Hai la schiuma alla bocca e i piedi pieni di tagli. Non capisci che cosa stia succedendo, ma sai che devi trovare al più presto un luogo sicuro. ti tieni lontano dai veicoli militari e aggiri il campo.


La casa
Vaghi per i boschi senza una direzione precisa. Poi vedi un uomo che cammina verso di te. Indossa un’uniforme militare. Grazie a Dio!, pensi. L’uomo barcolla e sembra confuso. Non ha il fucile e la mimetica è piena di sangue. deve aver sostenuto un corpo a corpo e si è ferito. Ti avvicini e muovi le braccia «Ehi! Aiuto!» lo vedi fermarsi e alzare la testa di scatto, annusare l’aria e puntare gli occhi su di te. Poi scatta in una corsa velocissima. Urli e indietreggi. Il soldato ti è quasi addosso. Cominci a correre e lo senti avvicinarsi. Alla tua sinistra senti un ringhio profondo. Poi qualcosa salta fuori e si avventa sul soldato. Ti giri appena in tempo per vedere una gigantesca tigre del Bengala schiacciare a terra l’uomo e frantumargli il cranio con un morso. Continui a correre. Sbuchi su un vialetto ingombro di veicoli e spazzatura. Davanti c’è una casa col giardino pieno di teste mozzate e parti di cadaveri. L’odore è nauseante. Ti vomiti addosso, mentre corri. Alle spalle senti ringhi e lamenti. La porta della casa è accostata e sporca di sangue. entri e te la richiudi alle spalle, poi cerchi qualcosa di pesante e scorgi un mobile. Con la forza dell’adrenalina, lo trascini verso la porta e la blocchi. Vedi assi di legno schiodate o parzialmente attaccate alle pareti. Le finestre sono tutte coperte con altre assi. Sul divano c’è un cadavere di donna con un’ascia conficcata nel cranio. Sulla parete alle spalle della tivù c’è una grande mappa dello stato e del Lago Superiore. Ci sono parecchie note scritte a penna o su Post-it. Ci sono parecchi cerchi rossi e parecchie croci a pennarello. Parecchie taniche di benzina giacciono vuote e rovesciate su un fianco. A terra vedi alcuni bossoli e, sulle pareti, dei buchi d’arma da fuoco.
Dalla cucina esce un uomo seminudo. Ha solo un paio di jeans a brandelli e barcolla come un ubriaco. Ti guarda e ringhia. Cammina verso di te, trascinando un piede. indossa un paio di anfibi e ha un tatuaggio da biker sul petto. Apre la bocca e fa un lamento lugubre. Gli rispondono dei ringhi. Sgrani gli occhi e afferri l’ascia; la stacchi dal cranio della morta col rumore di una manata sull’acqua. Il biker si avvicina e tu alzi l’ascia e la abbatti su di lui. Cadete entrambi, per lo slancio, tu sopra di lui. L’ascia gli si è conficcata in fronte e lui ha smesso di agitarsi. Senti la porta scattare: per fortuna c’è il mobile a bloccarla. Rotoli sulla schiena e ti rialzi. La testa ti fa male e il dolore si propaga agli occhi, ai denti e alle orecchie. Hai un capogiro e crolli sul divano, addosso alla morta. Apri gli occhi e vedi una donna davanti a te. Ti guarda inclinando la testa; perde sangue dalla bocca. non ha più un seno, strappato a morsi. Fai uno scatto e ti butti di lato, mentre lei finisce sul cadavere. Afferri una tanica e gliela tiri, poi rovesci il tavolino. Lei non aggira l’ostacolo, ma ci inciampa e finisce giù. Continua a muoversi e a ringhiare. Ha il collo piegato in una maniera innaturale e la spalla destra sulla schiena. Alzi la tanica e le fracassi la testa fino a che i suoi liquidi cerebrali non ti bagnano le dita dei piedi.
Con l’arma in pugno, vai in cucina. La moquette è sporca di impronte di sangue. ci sono schegge di vetro ovunque e questo di fa pensare a un paio di scarpe. Prenderai quelle del biker, ma prima ti serve un po’ di respiro. stranamente pensi alla tigre e ti chiedi cosa ci possa fare un animale così da quelle parti. Trovi due confezioni di succo d’uva, un coltello da cucina e delle garze. Prendi l’ascia e ti avventuri al piano superiore. I gradini sono sporchi di sangue e pieni di bossoli. Le stanze sono invase dai bossoli e le pareti sono piene di buchi. Le finestre sono rotte e senza assi. Su un letto c’è una valigia aperta. Ci sono dei vestiti. Trovi uno zaino militare. Ti togli il camice e indossi un paio di mutande, dei calzini e un paio di jeans. Indossi una maglietta e metti nello zaino gli altri vestiti, alla rinfusa. In un’altra stanza vedi una cassetta per pistole aperta. La pistola non c’è. Vedi una busta della spesa con alcune bottiglie d’acqua e le metti nello zaino. Scendi giù e ricontrolli il piano inferiore.  Slacci gli anfibi al morto e li indossi sopra i calzini. Vai in cucina e metti tutto nello zaino. Apri una bottiglietta d’acqua e bevi sino a finirla. Chiudi lo zaino e ti siedi un momento. Ti passi una mano fra i capelli e senti i punti di sutura. Vedi una scritta sulla parete: “QUARANTENA”. Poi ti torna in mente la mappa. Potrai riuscire a cavarci qualcosa.
Ti alzi e torni in soggiorno. È allora che noti la porta della cantina aperta. Non ci puoi giurare, ma pensavi che fosse chiusa. Ti giri e vedi una donna con una pistola in pugno. La pistola è un revolver. La donna arma il cane col pollice. «Non muovere un muscolo!» dice. Schiaccerà il grilletto?

4 commenti:

  1. Molto interessante, sono un amante degli zombi, ma poco realistico...

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    1. In effetti, sì, è poco realistico.
      A me gli zombi piacciono perché sono una specie di fenomeno sociale di denuncia, ecco.

      Saludos!

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  2. Che fai copi? ;-)
    Sì, sono colpevole, è una vita che non vengo a visitare il tuo blog e questo racconto mi era proprio sfuggito...
    L'espediente del "tu" io posso dire di non averlo ancora visto usare da nessuna parte, ma non credo lo stesso di essere stato il primo a usarlo. Figuriamoci, con tutte le storie che sono già state raccontate nel mondo. Mi sembra ottimo per narrare un certo tipo di storie, come questa. Ma non da usare sempre.
    Il Moro

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    1. Eheh sì sì copio :)
      Il tuo racconto mi è piaciuto talmente tanto che mi ha fulminato.
      No, infatti, non è da usare sempre. Però noto che è proprio carino :)

      Tu che scrivi in questi giorni? Mi mandi qualcosa?

      Saludos!

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