venerdì 24 agosto 2012

1 - Dov'è Joker?



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Dov'è Joker capitolo 1 by Marcello Nicolini is licensed under a Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported License.
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1
«Mazel tov!» Batman rigirò il whisky tra le dita prima di buttarlo giù in un sorso.
Poi scagliò il bicchiere contro il parabrezza della Batmobile.
«Sono il vigilante di Gotham,» disse, girandosi verso il muro della sua caverna, «ma vivo a San Diego e non c’è nessun cazzo di Joker.»
La stanza girava. Si concentrò, aspettando che le vertigini sparissero, poi fece un gesto coraggioso: abbandonò il bancone del bar.
Un passo dopo l’altro, raggiunse il muro ...
... e il fumetto.
Era del ’39 e apparteneva a suo nonno. C’era scritto “64 pagine di pura azione”.
Batman vide sé stesso disegnato sulla copertina mentre rapiva un criminale volando appeso a una corda, fra i palazzi di Gotham.
«“Le fantastiche e uniche avventure dell’Uomo Pipistrello”,» recitò, leggendo la didascalia del fumetto.
Poi batté la testa al muro e chiuse gli occhi.
Stava in piedi, con il costume e il mantello, senza dire niente.
E pensava: perché non ho un Joker?
«Nonno l’ha pagato dieci centesimi,» disse, parlando da solo, «nonno veniva dall’Europa. Fuggiva dai nazisti.»
Tirò un’altra testata al muro, prima di staccarsi dal fumetto e dai ricordi.
C’erano altri nemici da affrontare.
I debiti, per esempio. E il nostro Batman ne aveva, eccome!
La Batmobile era una replica inglese della Ford Futura modificata per la serie tv del ’65. Gli era costata duecentomila dollari. Beveva come una spugna.
Per il costume aveva dato fondo al patrimonio di famiglia, accumulato dollaro dopo dollaro dal nonno Jozef Kahn.
Diede un colpo con le nocche alla maschera di grafite composita super resistente, poi accese i microfoni incorporati con una lieve pressione del dito.
La radio del costume si sintonizzò automaticamente sulle frequenze della polizia. Batman ascoltò chiamate in codice dalla contea.
Rapine, scippi, scontri a fuoco, stupri. Gli faceva male la testa: era come se qualcuno continuasse a colpirlo sulla nuca senza smettere.
Guardò la bottiglia vuota. Schiacciò la bottiglia sotto il peso del guanto corazzato. Il vetro esplose in pezzi.
«Cristo!» disse e spense la radio.
«Sono un fottuto bastardo,» disse, «ho addosso il costume e non vado fuori a combattere il crimine.»
Una lacrima scivolò sul trucco nero attorno agli occhi.
Si volse verso l’altra parete, quella che non guardava mai. Quasi desiderasse farsi del male, fece uno, due passi verso i ritagli di giornale.
E cominciò la litania, come un presbitero che reciti l’orazione funebre:
« “American Dream salva l’America!” … “Lady Liberty sgomina la banda di Artem Maskov!” … “Brooklyn Bullet: l’Iron Man della Costa Est.” … “I sovrumani dello S.T.A.R.T. alla Casa Bianca.” … »  
«Io sono Batman.» disse, con la voce arrochita dall’odio.
Doveva andare a farsi un giro.
Tutti quei maledetti “super”, i risultati dello scoppio delle centrali Salazar nel ’73, popolavano i suoi incubi peggiori. Erano stati loro a far finire l’epoca dei fumetti, loro a sotterrare paladini come Superman, come gli X-Men … come Batman. Persone la cui unica colpa era l’esser fatte di carta.
Kevin Kane aveva la “Sindrome dell’Imitatore” o almeno così dicevano i medici. Voleva cioè essere quel che non era: un “super”.
E aveva speso più di due milioni di dollari per diventare Batman.
Un Batman privo della potenza della Teleforce, un eroe senza i poteri di American Dream.
Ma con un fucile a pompa Remington calibro 12.
L’arma riposava sul sedile del passeggero dell’auto: la prese e controllò che fosse carica.
Uscì dalla caverna e salì per le scale. Arrivò al piano terra di una casa spaziosa, arredata per le esigenze di uno scapolo.
Fece un passo sul parquet rovinato, poi sentì il campanello. Andò ad aprire col fucile in pugno.
Il ragazzo col cappellino e la divisa FedEx ingoiò il chewing-gum e fece un salto indietro gridando: «Whoah-oh!»
«Whoah-oh anche a te!» disse Batman, alzando la sinistra col palmo all’infuori.
Il ragazzo cominciò a tossire debolmente e gettò la busta che stringeva in pugno. Batman lasciò andare il fucile e si portò dietro di lui. Gli strinse le braccia attorno alla vita ed esercitò una forte pressione sul diaframma. I polmoni, compressi, fecero pressione sul chewing-gum nella trachea provocandone l’espulsione.
Il corriere si accasciò al suolo e prese un respiro. Poi disse: «Cazzo … »
Batman scosse la testa e raccattò il plico; se lo portò vicino agli occhi. Gli venne un capogiro che lo costrinse ad appoggiarsi al muro.
Represse un conato di vomito.
«Signore lei puzza d’alcol.» commentò il ragazzo, massaggiandosi la gola e riprendendo la posizione eretta.
Batman non rispose.
«Che roba è?» domandò, rigirandosi la busta fra le mani.
Il ragazzo deglutì: «Lei è Kevin Aaron Kane del 1700 di Rosecrans Street?»
«’Fanculo.» rispose l’Uomo Pipistrello.
«Questa è una citazione del tribunale della contea di Los Angeles. Arrivederci.» disse il ragazzo.
«Già.» replicò Batman.
Guardò la schiena dell’altro diventare sempre più piccola, poi lo vide sparire nel furgone della FedEx. Si sedette sui gradini del portico e aprì la busta.
O almeno cercò di farlo. Ma le dita chiuse nei guanti di Batman continuavano a scivolare sul bordo della busta, innocue.
«Kevin Kane,» disse, ridacchiando, «come Bob Kane, il creatore di Batman!» ruggì.
Kevin aveva buttato dalla finestra il cognome del padre all’età di diciotto anni, imitando Bob Kane. Sapeva che il vero cognome del fumettista era Kahn, esattamente come il suo.
Si tolse un guanto e aprì la busta, poi lesse: « “Dovrà comparire presso il tribunale della contea per rispondere alle accuse di plagio da parte della DC Comics, Inc. proprietaria dei diritti del personaggio Batman” … eccetera, eccetera … » accartocciò il foglio nel pugno.
«’Fanculo.» disse.
Il furgone fece manovra nel vialetto e scivolò lungo la strada, sparendo alla vista.
Batman si tirò su in piedi, poi entrò in casa e si buttò sulla poltrona del soggiorno.
E chiamò: «Alfred!»
Perché il nostro Batman aveva un Alfred.
Apparve dal bagno in mutande. Era spaventosamente magro e leggeva un libro sui cavalli.
«Hey Spike,» chiese, parlando a Batman e non staccando gli occhi dal libro, «quanto rimangono pony i pony secondo te?»
«Quanto … cosa … ?» Kevin alzò il pugno con la citazione in tribunale e disse: «Piantala di chiamarmi Spike
Alfred si grattò il fondoschiena e si girò: «Okay Spike.»
«Non so perché t’ho preso a vivere con me, cazzo.» ruggì Batman calando il pugno sulla poltrona. Le lunghe lame nere del bracciale graffiarono la pelle, strappando all’Uomo Pipistrello un’imprecazione.
«C’è puzza in cucina Spike. Credo sia la spazzatura.» disse Alfred.
«Tu dovresti essere il mio maggiordomo!» disse Batman, alzandosi.
«Lo sono infatti e ti dico che c’è da buttare la spazzatura.» fece l’altro.
«La fottuta DC fottuta Comics mi ha citato in giudizio,» ruggì Batman, «da quando i fottuti sovrumani le hanno portato via il mercato dei fumetti, cerca di fare soldi con altri fottuti mezzi.» aggiunse.
«Già.» disse Alfred, continuando a grattarsi il culo.
«Ho bisogno di fare un giro,» Batman si pinzò il naso tra indice e pollice e scosse la testa, «ho bevuto, cazzo!» aggiunse.
«Allora è meglio che guidi io, Spike.» disse Alfred.
«Sei inglese, ti metteresti sul lato sbagliato della strada,» fece l’Uomo Pipistrello.
L’altro scrollò le spalle.

... continua

4 commenti:

  1. Lo so cosa direte: perché un altro spin-off di Due Minuti a Mezzanotte quando stai già scrivendo Mezzanotte a Mosca?
    Non ho abbandonato Flavio Sabini, non preoccupatevi!
    E' solo che mi è venuta in mente questa storia e che sarà breve.
    Ho programmato di concluderla in tre capitoli.
    E' per voi!

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    1. Ecco, in effetti non ho più concluso Mezzanotte a Mosca, ma ho abbandonato e cassato il progetto. Le avventure di Flavio Sabini si fermano - per ora - a L'uomo che guarda dopo la pioggia e Due coni gelato.

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  2. Ecco, non distrarti troppo che ormai sono mesi che aspetto che tu finisca Mezzanotte a Mosca! ;-)
    Il Moro

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    1. Ovviamente anche per quest'altra opera aspetto la fine, come per La casa di Anna... non ce la faccio a leggere a puntate, da una volta all'altra me ne dimentico metà!
      Il Moro

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