martedì 4 giugno 2013

Fräulein Anna - racconto della serie "Asgard - dall'altra parte del portale"





“ … non sarò nessuno, ma fra le mie pagine ho il potere di far rivivere Rudolf Hess, per esempio … ”
citazione anonima

A Nord del Picco Inaccessibile, su una spianata artificiale, Hitler aveva voluto una pista d’atterraggio.
Era la prima, ad Asgard.
E per lungo, lungo tempo, sarebbe stata anche l’ultima.
Il vento soffiava dalla costa lontana, trasformandosi in tubine di ghiaccio sulle montagne e gelando le terre del Passo di Baldrin e la “Forca” del fiume Svansjo. Poi il vento, carico d’odio, con la sua forza smussata, piombava tra le rocce, ululando sulla pista.
Rudolf Hess camminò verso la sagoma del suo Messerschmitt Bf 110. L’aereo era un’enorme balena di ferro di dodici metri, con due motori Daimler-Benz da mille cavalli.
Hess ne aveva curato di persona la fase di smontaggio e di trasporto, con i pezzi imballati in casse di legno e calati, attraverso un sistema di pulegge, nella “pozza” del castello di Wewelsburg.
Dall’altra parte, su Asgard, il Bf 110 era stato trasportato a bordo di muli lungo i sentieri a Nord, fino alla spianata artificiale. Lì, era stato rimontato.
Hess salutò il nano aviere all’ingresso e consegnò un documento.
«Il piano di volo.» disse, in tedesco.
«Sissignore.» rispose il nano, afferrando il documento e portandosi alle labbra un fischietto. Il nano fischiò e un altro aviere corse, salutò e afferrò il documento, poi si mise a trotterellare verso un gabbiotto di legno, di fianco alla pista.
Hess camminò a passo svelto verso l’aereo; lo fece mentre indossava il casco e gli occhialoni. All’ultimo, si toccò la tasca interna del proprio giubbotto da pilota: l’anello runico riposava lì, lontano da ogni sguardo.
Adolf ha preferito a me quel Taubert!, pensò Hess, e non mi ha incluso nella schiera dei dodici!
Doveva compiere un grande gesto, di modo che il suo Fuhrer avrebbe capito, avrebbe fissato di nuovo gli occhi sull’amico e sull’alleato di sempre.

Distrattamente fissò le due coppie di muli che venivano attaccate al carrello anteriore. Adagio, il Bf 110 fu spostato e messo in posizione.
Quando Hess salì sull’aereo, di corsa fu raggiunto da un gendarme.
«Signore! Non abbiamo alcun ordine per quel piano di volo.» esordì il soldato.
«Adesso ce l’avete!» replicò Hess, accomodandosi sul sedile anteriore e cominciando a inserire i contatti.
I motori si accesero con uno scoppio e le eliche presero a girare, dapprima adagio e poi vorticosamente, fino a ché il V12 invertito emise un borbottio forte e costante.
Prima di rilasciare il freno, Hess fece il saluto nazista e disse:
«Heil Hitler!»
Guardò il cielo grigio dalla cabina di pilotaggio e si sentì, per l’ennesima volta, come nel romanzo “Dalla Terra alla Luna”, in procinto per venir sparato verso l’ignoto.
Poi rilasciò il freno.
Il grosso bimotore sobbalzò e fece uno scatto avanti. La struttura gemette. Il vento divenne come mille pugnali di ghiaccio, ma Hess lo tagliò fuori, chiudendosi la calotta sopra la testa.
Aumentò la potenza fino a cinquanta nodi e il muso si abbassò in modo brusco, mentre il carrello di coda si staccò dalla pista.
Poi, la pista finì e il Bf 110 s’arrampicò sulle correnti calde, mentre fiocchi di neve colpivano il parabrezza.
Hess impugnò la barra del timone e la sentì fremere contro il palmo delle mani. Lottò e sconfisse gli elementi, piombando sugli ustmerc.


I loro eserciti erano accampati lungo le rive dello Svansjo, oltre il Passo di Baldrin. Era un’orda scura di carri, cavalli e guerrieri, un qualcosa di cui i tedeschi avevano sempre sentito parlare, ma che non avevano mai visto.
I nani dicevano la parola “ustmerc” sottovoce, e spesso ne parlavano al singolare, come questi fossero un’unica, terribile entità, piuttosto che molti cavalieri di razza barbarica.
E ora, Hess, voleva regalare la vittoria al suo Fuhrer.
Per prima cosa, si sarebbe strettamente attenuto al piano di volo. Avrebbe cioè virato a Ovest e poi a Sud, discendendo il corso dello Svansjo sino alla “Cascata del Mago”. Quello, gli aveva detto Wiligut, era un punto di grande potere magico. I nani stessi dicevano che, mille anni prima, uno stregone avesse operato lì il più grande degli incantesimi.
Wiligut pensava che, tramite un anello runico e un pugnale consacrato agli dèi germanici, usando il giusto rituale, si potesse attingere alla grande fonte di magia.
Hess conosceva alla perfezione quell’area: era stato lui, agli inizi del “Progetto Asgard” il primo a sorvolarla e a tracciarne una mappa.
Agendo sulla barra, virò di quindici gradi a Sud e ascese oltre le nuvole.
Il Fuhrer era circondato da stupidi, ed era compito suo salvarlo. Credevano che non sentisse? che non sapesse del nomignolo che gli avevano affibbiato?, “Signorina Anna”?
Piccoli uomini!, pensò Hess.
La “Signorina Anna” vi farà vedere di che pasta è fatta!
Quell’orda di barbari medievali faceva paura perfino a “Heini”, Heinrich Himmler, ma non a lui.
Wiligut gli aveva insegnato come trarre forza dalla magia e come usare quella forza contro il prossimo. Perciò, avrebbe salvato Asgard, perché Asgard stava a cuore al suo Fuhrer.
Sapeva perfettamente che un mostro come il Bf 110 avrebbe potuto sì atterrare vicino alla Cascata del Mago, ma non avrebbe più potuto decollarne. Hess così, si prefissava una lunga “passeggiata” di ritorno fra le montagne e le valli. Uno o due giorni, non di più.
Nella cabina aveva fatto mettere dai nani uno zaino di provviste e un’arma da difesa, una p38 con caricatori di riserva.
Aveva inoltre dei vestiti caldi e una copia della “sua” mappa, redatta dai cartografi del Reich, con tutte le linee di livello e le specifiche topografiche.
La visibilità era scarsa, ma Hess era bravo a orientarsi con gli strumenti. Fece scendere la sua balena d’acciaio e cominciò a compiere larghi giri a spirale.
Riconobbe il massiccio che i nani chiamavano “Corni di Baldrin” e scese in una valle nera. Controllò la mappa, saldamente legata alla coscia sinistra, e diminuì la potenza dei motori.
Poi chiamò l’Artiglio, disse “Heil Hitler” e spiegò che avrebbe arginato la “mortifera marea” che minacciava il Reich.
Non sapeva ancora che Adolf Hitler s’era “trasferito” a Wewelsburg – sulla Terra – e che stava volando in fretta a Berlino, per arginare un altro tipo di “mortifera marea”, una marea con la stella rossa e i carri t-34.
Hess spense la radio e scese sotto le nubi. Vide quel che gli sembrava un’ampia distesa nera, controllò gli strumenti e fece un raffronto con la mappa.
Poi spinse la barra.
Quando fu a pochi metri dal suolo, mise gli occhialoni e sganciò la calotta. Un turbine di nevischio gli si spiaccicò sul viso. Hess girò la testa e si sporse. Le cinture di sicurezza lo trattennero al sedile.
Credette di vedere la cascata.
Diminuì ancora la velocità ed eseguì la difficile operazione di richiusura. Una volta con la calotta sopra la testa, si tolse gli occhiali e si preparò all’atterraggio.
Il carrello anteriore impattò violentemente, scagliando Hess in avanti e indietro, trattenuto dalle cinture. L’aereo s’imbardò di colpo. L’ala sinistra sfiorò il suolo, poi la cabina fu proiettata verso l’alto assieme a tutto il muso, e il carrello di coda affondò nel terreno.
Hess aprì la calotta, sganciò le cinture e si girò verso il sedile posteriore; si piegò in avanti, afferrò lo zaino militare e gli abiti invernali arrotolati, poi scese dall’aereo.
Portava una torcia da campo Daimon agganciata al giubbotto: la accese e cominciò a scandagliare l’area in cerca di un punto.
Il rumore della cascata gli giunse sopra quello del vento, e lo portò a Est, di corsa.
La cascata era piccola, e circondata da una pianura di muschio e neve, che saliva a Nordovest, lontano, verso i Corni di Baldrin.
Si fece guidare dal rumore di tonnellate di litri che cadevano più in basso e raggiunse il nastro argenteo del fiume, che qui era poco profondo e largo quanto due Bf 110 affiancati.
Pensando alla salvezza del Fuhrer, sguainò il suo più caro regalo: un pugnale da SS col motto “Il mio onore è la mia lealtà” inciso sulla lama. Poi si mise l’anello runico al dito.
Lo aveva sottratto proprio a Wiligut, quando questi gli aveva mostrato come operare l’incantesimo.
Il mago gli aveva anche detto della pietra piatta, dai bordi irregolari, che si trovava presso una gettata di sassi affioranti a monte della cascata.
Hess indovinò i contorni della pietra e si diresse lì. I suoi stivali militari incontrarono l’acqua e la corrente s’avvolse attorno alle caviglie in forti mulinelli.
Hess scivolò e finì nell’abbraccio dell’acqua. Il gelo gli penetrò i vestiti e gli mozzò il respiro. tuttavia, egli si rialzò, tremando, e si mise a correre verso la pietra.
La raggiunse e s’inginocchiò, aprì lo zaino, sciolse i vestiti arrotolati, si tolse il giubbotto da pilota e indossò un caldo cappotto e sopra di esso un enorme mantello nero bordato d’ermellino nero.
Ora veniva la parte difficile: per ridestare il potere delle rune avrebbe dovuto dare alla pietra il contatto con la propria pelle.
Hess si tolse i guanti e li mise in tasca; s’inginocchiò e, aiutato dalla Daimon, cercò i profili delle rune. Non sapeva molto di quei segni, né gli era mai importata tutta quella roba fino ad allora. Se gli incantesimi e le rune potevano salvare il Fuhrer, allora lui li avrebbe usati.
Tracciò i contorni dei segni antichi con l’indice destro, poi consultò gli appunti che aveva sottratto a Wiligut.
Ora le rune chiedono sangue, pensò.
Col pugnale, s’incise il palmo destro. Fu come se qualcuno vi avesse spinto dentro un chiodo. Hess provò come una scossa, poi il sangue fluì denso e scuro. Hess intinse l’indice sinistro nel sangue e lo passò sull’anello, stando attendo a coprire gli occhi del teschio inciso sopra.
Poi girò l’anello tre volte in senso orario e rilesse gli appunti.
«Ora … le parole!» mormorò.
Deglutì, cercando di resistere al freddo, e disse:
«L’anello per il legame e la lealtà … » rabbrividì, nel sentire un urlo. Alzò la testa di scatto.
Un chiarore di torce si diffondeva nell’aria, assieme al battito degli zoccoli di molti cavalli.
Ci fu un altro urlo.
Poi la sagoma di un cavaliere apparve alla destra di Hess.
L’uomo fu colpito da una puzza di carcassa in decomposizione. Con mani tremanti, aprì la fondina e impugnò la pistola.
Hess udì l’urlo dei morti, dei fantasmi, degli esseri che abitano e disturbano la vita psichica dell’uomo.
Vide degli occhi fosforescenti, verdi come giada, risplendere nel nulla e sparò. L’eco del colpo si disperse nel vento. Hess sparò ancora.
Il cavaliere cadde.
Il cavallo stronfiò e, irritato, cominciò ad allontanarsi.
Rudolf Hess posò la pistola e strinse il pugnale con entrambe le mani, quindi pronunciò queste parole:
«Il pugnale per la separazione … e la proiezione della … Volontà Assoluta … della Magia del Reich!»
Poi sentì un altro urlo e qualcosa freddo come il ghiaccio gli penetrò la gamba destra. Guardò, incredulo, l’asta della freccia sporgergli dalla coscia.
Qualcosa gli spremette via il fiato dai polmoni. Hess vide la terra venirgli incontro, rapida e sentì nell’orecchio l’acqua gelida del fiume.
Un cavaliere gli galoppò incontro. Hess lo vide scendere dal destriero e avvicinarsi.
Vuole recuperare la lancia, pensò il nazista, che sporge dal mio petto.
Speriamo faccia piano.
Quando gli fu accanto, il cavaliere si abbassò e si sedette sui talloni. Tutto ciò che vide Hess fu una superficie bianca, liscia come le ossa e gocciolante d’una sorta di rugiada. Al centro di essa fremevano due aperture, simili a narici e, più sopra, due grandi occhi a mandorla, la cui sclera era più bianca del tegumento del viso. Le iridi erano d’un verde maligno.
Lo ustmerc aprì una piccola bocca ed estroflesse l’unico, lattiginoso, dente. Lo fece scendere in profondità nella fronte di Hess.

* * *

Due giorni di cavallo a Nordovest, Karl Wiligut e Reinhard Heydrich fumavano in una calda saletta dell’Artiglio.
Il biondo generale delle SS giocherellò distrattamente col proprio anello runico, fece un tiro di sigaretta, e alzò gli occhi.
«Dov’è il suo anello, herr Wiligut?» chiese, incuriosito.
L’altro scrollò le spalle in un gesto di noncuranza:
«Temo di averlo perduto,» disse, «e temo che abbiamo perduto anche la nostra Signorina Anna.»
«Ah davvero?» fece Heydrich, alzando un sopracciglio.
«Andiamo! Non finga di non sapere, Reinhard!» Wiligut sorrise, «Lei può e vede tutto. Diciamo che la Signorina si sentiva sola e desiderava compiere un grande gesto per il Fuhrer.»
«E lei, herr Mago, le ha raccontato quella storia dell’incantesimo e dell’anello.» concluse Heydrich.
Poi fece un tiro e buttò fuori il fumo.

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