venerdì 14 giugno 2013

Voglio che diventi lei - Tante storie di fantascienza

quest'immagine è di doll-lucci, potete trovare l'originale qui.
Quella mattina Silvia era una bella e formosa rossa con le lentiggini e il nasino all’insù alla Lindsay Lohan – prima che la Lohan diventasse magra e bionda, s’intende – e s’arricciava i capelli con le dita, scoprendo appena il labbro superiore in un sorriso.
Si sentì addosso gli sguardi degli uomini. Quando salì sulla metropolitana, addirittura, la mano di qualcuno le sfiorò le natiche un paio di volte.
Silvia arrossì e cominciò a guardarsi la punta delle scarpe. Ne aveva scelte di belle: un paio di All-Star colorate con fiorellini da hippy.
Quella mattina faceva la sedicenne. Aveva ripescato un vecchio zainetto Eastpak e l’aveva decorato con un paio di scubidù fatti a mano dai cinesi.
Scese a Duomo, prese un gelato da McDonald e lo leccò apposta come se facesse un pompino – lo aveva visto fare un parecchi film a luci rosse – attirandosi i fischi di un gruppo di ragazzi.
Era al settimo cielo.
Finché non vide un’alta, statuaria, asiatica dalla pelle bronzea e dal tailleur di Gucci, corto e cinerino, tagliarle la strada.

Due ragazzi passarono, guardando l’asiatica; uno disse: «Le darei un paio di colpi le darei!»
«Anche quattro!» rispose, gracchiando, un anziano come apparso dal nulla.
Silvia corrugò la fronte; di colpo, andò verso un cestino e ci scaraventò dentro il gelato:
«Vaffanculo!» disse.
L’asiatica s’era infilata in galleria Vittorio Emanuele. Silvia prese coraggio … e la seguì.
La raggiunse e le si mise in coda: ne studiò ogni particolare. Silvia memorizzò la forma del viso, il taglio degli occhi, la piega del mento, la forma del naso, e poi il collo così esile e le gambe così lunghe.
Entrò in una libreria, sulla sinistra, prima di Piazza della Scala. Cincischiò con un best-seller che diceva: “Così ho distrutto l’universo”. Guardò il nome dell’autore: “Ennio Nuccio”. Posò il libro e andò a cercare il bagno.
Trovò la toilette delle donne e ci si chiuse dentro.
Lei aveva una “cosa”. Una cosa che gli altri non sospettavano neanche. A otto anni, guardando la sua migliore amica Arianna, aveva desiderato tanto d’essere come lei. Arianna aveva dei bei riccioli castani e un paio d’occhi azzurri. I bambini le scrivevano sempre lettere (sgrammaticate) d’amore. Uno le aveva detto: “ti amo con tutto il mio corpo”. A otto anni.
Silvia voleva essere come Arianna.
Era successo all’improvviso: aveva cominciato ad avvertire un formicolio alla pelle, poi un osso le si era spostato, quindi un altro. Aveva sentito il naso fare uno strano rumore e restringersi. Aveva visto la pelle scurirsi di poco. Stringendo i denti, aveva cercato di non pensare alle ossa delle gambe che le si allungavano, alla pelle che si tirava. Poi, un piccolo dolore agli occhi.
Aveva urlato, era scappata in bagno e aveva visto Arianna guardarla dallo specchio. Solo che la bocca di Arianna si muoveva per volere di Silvia. La testa di Arianna girava a comando del cervello di Silvia.
Una bellissima donna asiatica, esatta copia dell’altra, uscì dalla toilette della libreria. Lo zaino e le All-Star stonavano un poco con quella fantastica pelle bronzea, ma tant’è.
Silvia sorrise al mondo e uscì dalla galleria: si sentiva un’altra.
Si sedette ai piedi del monumento equestre e chiuse gli occhi di fronte al sole.
Più tardi, tornò giù in metropolitana. Prese la direzione per Sesto San Giovanni F.S. e si sedette a leggere un tascabile consunto. Il titolo era: “Costruirò un pianeta tax-free di “Samuel Kaufner”.
Le fermate si susseguirono una dopo l’altra, con Silvia sempre impegnata a leggere dei deliri finanziari di quel ricco inglese, che si proponeva di fabbricare dal nulla una Terra artificiale da spedire nello spazio.
A Rovereto era rimasto solo un uomo, con lei nella carrozza. Era insignificante e vestiva in modo superato.
Silvia gli diede un’occhiata distratta e tornò al suo libro. Provò un brivido di paura, senza sapere spiegarsi il perché.
Molto più tardi, quando non avrebbe avuto scampo, si sarebbe detta “mi fa paura perché non mi ha guardata neanche una volta”.
Silvia chiuse il libro, lo mise nello zaino e si alzò alla fermata di Sesto Marelli. Uscì sulla banchina, andò alla scala mobile e sorrise.
Ebbe la sensazione di qualcuno dietro di lei. Poi vide la scala mobile sollevarsi come un cavallo imbizzarrito. Il campo visivo le si restrinse e divenne tutto buio.

Pamela Anderson a seno nudo la guardava da un poster spiegazzato e macchiato. Il poster era appeso a un muro arancio con puntine da disegno.
Accanto a esso, c’era un altro poster e un altro e un altro ancora. Silvia riconobbe Maria Grazia Cucinotta, Jessica Alba. Riconobbe anche Lindsay Lohan prima e dopo la droga e i lifting.
Provò ad alzarsi, ma sentì un forte dolore alla testa ed ebbe un capogiro.
Aveva la testa su un cuscino ed era stesa di pancia. Sentiva freddo e un senso di costrizione.
«Ora ti slego, un attimo solo. Prima devo farti un calmante per evitare che scappi.» la voce era anonima, quasi rassicurante. L’uomo era dietro di lei, fuori dal campo visivo.
Sentì che le prendeva il braccio sinistro. Silvia urlò e cercò di divincolarsi. Le cinghie che la legavano erano resistenti.
Poi sentì un ago nel braccio.
Dopo un attimo, le cose divennero indistinte; sentiva solo la voce dell’uomo.
«Ti ho vista. È da un anno che ti seguo. E ho preparato questo … questi poster … ho fatto un elenco, ci è voluto tanto, ma adesso … so cosa puoi fare e so anche come sei veramente. Non un granché, Silvia Orefici. Sei bassa e hai dei capelli biondi stopposi. Non ti scoperei se tu non avessi il potere!»
Solo allora Silvia si rese conto d’essere nuda. L’osso pubico premeva sul lenzuolo e i seni erano liberi, piccoli come coppe di champagne e schiacciati sul letto.
Sentì, adagio, i legacci allentarsi, poi l’uomo la girò di fianco e le fece vedere qualcosa. Sembrava una foto, ma Silvia non riuscì a mettere a fuoco.
L’uomo le versò negli occhi alcune gocce di collirio e l’immagine si schiarì.
Pamela Anderson.
«Studiala bene. Voglio che diventi lei.» disse l’uomo.
«E … poi … mi lascerai … andare?» domandò Silvia.
L’uomo annuì. Adagio (era ancora intorpidita) cambiò la disposizione delle proprie ossa, dei propri muscoli; aggiunse grasso ai seni e cambiò colore e sezione dei capelli.
Poi, sfinita, chiese: «Va … bene?»
L’uomo vide una Pamela Anderson nuda, sul letto. I seni, grandi, quasi toccavano il lenzuolo.
Si slacciò la cintura, abbassò i jeans, si sfilò le mutande, poi si stese di fianco a Silvia.
Lei provò a urlare, a muoversi, ma si sentiva debole, molto debole.
L’uomo si sputò sulla mano, la passò sulle labbra della vagina; scostò appena le natiche di Silvia e la penetrò con forza.
La cavalcò per venti minuti.
Poi scese e le fece vedere una foto: Angelina Jolie.
«Studiala bene. Voglio che diventi lei.» le disse.
Silvia chiuse gli occhi e cercò di piangere.

fine

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