lunedì 8 giugno 2020

La macchina del dottor Adrocchi (doctor Adrocchi’s machine) - racconto sci-fi

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Il dottor Adrocchi accese la telecamera digitale e si mise davanti all’obiettivo. Era un uomo di trent’anni, molto bello, con la barba di una settimana, i capelli neri e indossava un camice bianco sopra i jeans e la t-shirt.
«Ho costruito la macchina del tempo.» disse, con un sorriso. Ci pensò su e andò a far ripartire la registrazione.
Si rimise davanti alla telecamera.
«Sono il dottor Paolo Adrocchi, ex-docente del CALTECH, ex-tecnico della NASA, ex-tecnico del CERN ed ex-marito.» Rise e fece ripartire la registrazione.
«Sono il dottor Paolo Adrocchi e questa, che vedete alle mie spalle, è la macchina del tempo.» Indicò una specie di frigorifero smaltato di rosso, pieno di tubi, cavi, ventole.

«Vi darò una dimostrazione del suo funzionamento» disse, mentre digitava un comando sulla tastiera di un computer. Il frigo si accese, con un forte ronzio, e le luci della casa tremolarono. Lui digitò qualcos’altro e premette invio.
Dalle finestre della villetta, si videro le luci della città spegnersi di colpo, mentre il frigo aumentò il ronzio.
«Ha bisogno di molta energia per funzionare» disse l’uomo. Aprì il frigo, che sputò fuori una sorta di nebbia da cui si distinguevano delle luci.
«Andrò un minuto nel passato e saluterò il me stesso che sta registrando questo video» spiegò.
«La macchina non si muove nello spazio, ma solo nel tempo» aggiunse.
Salutando verso l’obiettivo, entrò nella “macchina” e si chiuse il portello dietro di sé.
All’interno, c’erano una tastiera e un monitor, collegati da trilioni di cavetti. Le pareti erano piene di macchinari, condensatori, ventole, tubi, luci.
Adrocchi digitò un comando e il portello si bloccò da solo, poi guardò il proprio orologio e impostò le coordinate temporali.
Si fece il segno della croce e mise il dito sul tasto “enter”.
«O la va o la spacca» disse.
Mentre stava per premere, pensò che, se l’esperimento fosse già riuscito, lui avrebbe dovuto vedere il sé stesso del futuro lì, nella stanza, a salutarlo…
il dito andò giù e spinse il bottone.
Nel filmato, il frigo sparì, con un lampo, portandosi dietro Adrocchi e lasciando il vuoto. Le luci della città si riaccesero.
«Va avanti così fino alla fine della memoria» disse l’ispettore Schwanz alla dottoressa Gloria Morelli.
Gloria sospirò, mentre Schwanz spegneva la telecamera.
La scientifica stava finendo i rilevamenti e la casa era interdetta, coi nastri della polizia.
«Abbiamo trovato tracce di una forte bruciatura sul pavimento, come se l’avessero colpito con un lanciafiamme e tracce di freon» disse l’ispettore, «le dicono qualcosa?»
Gloria scosse la testa e si alzò.
«No. Non sapevo neanche a cosa stesse lavorando» disse, asciugandosi una lacrima.
«Analizzeremo il video, per capire se si tratti di un montaggio» fece l’ispettore.
«Una… macchina del tempo…» disse Gloria, corrugando la fronte.
Schwanz sbuffò:
«Non so cos’abbia fatto quest’uomo, ma di sicuro si è messo nei guai.» Fissò Gloria e aggiunse:
«Si tenga a disposizione per altre domande. Nel frattempo, può andare.»
La donna annuì e uscì dalla casa.
Salì in macchina e tornò alla propria abitazione.
Viveva con due gatti e due cani, in una villa con piscina, in piena campagna svizzera. Il suo stipendio di ricercatrice era molto alto e lei non era una spendacciona. La bella casa le serviva per isolarsi dagli esseri umani. Era un prezzo che aveva dovuto pagare per la privacy fisica e mentale. Starsene fuori da un contesto le faceva venire voglia di viverlo, di tanto in tanto, ma solo come osservatrice. Prendeva la sua macchina, faceva un giro in centro, faceva un po’ di spesa e poi se ne andava a mangiare un panino seduta, da qualche parte, su in montagna.
Quella sera, sfruttò l’enorme privacy per mettersi a bordo piscina e pensare a Adrocchi. Non le era stata rilasciata copia del filmato, perciò dovette affidarsi alla memoria.
Adrocchi sosteneva di aver creato la macchina del tempo, ma come? Aprì il portatile e cominciò a scartabellare fra i vecchi documenti di lavoro. Assieme, erano stati nel progetto del bosone di Higgs, la particella di Dio. Avevano studiato i laser e i quanti.
Digitò così rapidamente che le sue dita parvero fare una specie di danza; spostò un gatto dalla tastiera e bevve un sorso di thè.
La serata era fresca e il cielo, pieno di stelle. Quando alzò gli occhi, per farli riposare, ne vide una cadente.
«Ma dove sei?» mormorò. Uno dei cani le leccò la mano e lei sorrise e gli grattò la testa.
«Il viaggio nel tempo è impossibile» disse, «perciò, cosa gli è successo?»
Ripensò al filmato. Possibile che fosse solo un montaggio? Magari Adrocchi aveva inscenato tutto per sparire.
Eppure, il suo istinto le diceva di no.
Adrocchi era uno scienziato, dedito alla ricerca e alla trasparenza. Era un insegnante, aveva parecchi dottorarti e amava il proprio lavoro, non era certo un illusionista o un truffatore.
Si abbandonò sullo schienale e si stropicciò gli occhi.
Tornò a guardare lo schermo.
«Forse sbaglio approccio» disse. Doveva partire da un altro assunto, ossia che il viaggio indietro nel tempo fosse possibile e che il suo collega l’avesse fatto.
«Allora, cosa è andato storto?» si chiese, corrugando la fronte. Terminò di bere e andò in cucina a sciacquare la tazza. L’ambiente era silenzioso e si sentivano addirittura i movimenti delle lancette dell’orologio a parete. Lo guardò. Girava in senso orario, come ogni suo simile. Buffo, pensò, che la Terra girasse in senso contrario.
Corrugò la fronte e buttò la tazza nell’acquaio. Tornò al computer di corsa e tolse i due gatti dalla tastiera.
Rapida, cominciò a creare un programma che simulava la rotazione del pianeta. Mentre digitava, parlava tra sé e sé.
«La macchina del tempo si muove nel tempo ma non nello spazio! Adrocchi è tornato indietro di un minuto nello stesso posto da cui è partito, solo che…» digitò una stringa di codice e diede invio. Sullo schermo apparve la Terra in rotazione e rivoluzione, «… solo che il posto non era là… perché la Terra ruota sul suo asse e anche attorno al sole. È tutto in movimento e lui non l’ha calcolato.»
Si morse un’unghia e si alzò.
«Perché sperimentare la macchina su se stesso?»
Cominciò a camminare a bordo piscina.
Pensò al frigorifero, con dentro il collega, che, tornando indietro di un minuto, non si era trovato sul pavimento di casa, ma in orbita, da qualche parte nello spazio, perché la Terra si era spostata.
Era ancora lassù o era già rientrato nell’atmosfera? Dove si trovava, adesso?
Guardò il cielo e vide un’altra stella cadente.

Fine

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