martedì 13 novembre 2012

Il codice Rebecca - Ken Follett - Recensione




Ieri notte ho sognato di tornare a Manderley”.
È il tormentone che troviamo spesso, come una canzone estiva o un cinepanettone, nel romanzo “Il codice Rebecca” di Ken Follett.
Nord Africa, 1942. Un uomo sta attraversando il deserto, quando il suo cammello muore. Lui continua a piedi, infaticabile, sotto il sole cocente. È avvezzo a quel genere di cose, benché non sia un beduino, ma un europeo, un tedesco: Alex Wolff.

Raggiunge un’oasi dove vivono i suoi cugini – nomadi del deserto – che lo rifocillano e lo aiutano.
Alex Wolff è uno strano tipo: nato in Germania da genitori tedeschi, ma cresciuto in Egitto, nel deserto, dopo che la madre si è risposata con un beduino. Alex è musulmano, conosce l’immenso mare di dune gialle come le sue tasche, ma ha l’apparenza di un europeo e conosce molte lingue.
La spia perfetta.
Di nuovo in forma, con abiti europei addosso e una valigia – gliela teneva il cugino beduino come una reliquia – supera le dune e arriva sulla strada per la cittadina di Assyut (Asyut), controllata dagli inglesi.

Asyut, bella no?
Viene notato dagli occupanti di una jeep militare, che si fermano e lo caricano a bordo. Wolff dice che la sua macchina s’è rotta e che l’ha lasciato a piedi nel deserto.
Il capitano Newman – della jeep – lo crede inglese e si offre di portarlo in città. Wolff accetta, ma il capitano gli offre un aiuto indesiderato: il caporale – l’altro occupante della jeep – aiuterà Wolff a portare i bagagli in albergo. E i bagagli sono: la valigetta.
Nella valigetta c’è una radio già sintonizzata sulla frequenza per comunicare col posto d’ascolto di Rommel nel deserto. E in un incavo riposa “Rebecca”, un romanzo inglese che inizia con:
Ieri notte ho sognato di tornare a Manderley”.

"Ieri notte ho sognato ... " e basta!
Il caporale scopre qualcosa che non deve e Wolff lo uccide brutalmente accoltellandolo.
Poi si da alla fuga.
Inizia così questo thriller di Ken Follett ambientato ancora una volta durante la Seconda Guerra Mondiale, nel bellissimo scenario nordafricano.
Rommel e gli inglesi si sfidano sulle rive del Nilo, sotto l’egida delle tombe dei faraoni.
Toccherà al maggiore William Vandam – no, non Jean Claude – del servizio segreto, dare la caccia ad Alex Wolff in un susseguirsi di colpi di scena, piani sfumati e duelli col coltello.

ma Van Damme quante ne sa?
Beh, che dire, questo è un romanzo del 1986, dunque di molto posteriore a “La cruna dell’ago”, il romanzo che lanciò Follett nel mainstream.
Ma non gira benissimo e non si può dire che all’epoca l’autore peccasse di inesperienza. Storie scritte dopo – come “Il volo del calabrone” – sono decisamente più belle.
Ho trovato questo libro in smart price a 5,90 e da lì mi sono chiesto se quell’edizione, diciamo, dozzinale fosse dovuta al fatto che il libro non era uno dei capolavori di Follett.
Intendiamoci, anche qui il lavoro di ricerca è molto preciso e la storia ben congegnata. Il protagonista ha anche una personalità abbastanza ben definita, ma …
Il lettore non vive l’Egitto, non vive nessun’atmosfera particolare. I colpi di scena e i piani di Vandam andati a monte, non dico mi abbiano lasciato indifferente, ma quasi. È come se questo romanzo fosse orbo d’una scintilla vitale.
Gira perché deve girare e ho il sospetto che sia frutto di una pressione della casa editrice di Follett o qualcosa del genere. Avete presente il “devi scrivermi un romanzo all’anno altrimenti paghi una penale a sei zeri”?
Ecco.
Ed è un peccato, perché lo scenario nordafricano della Seconda Guerra Mondiale è tra i miei preferiti, ma lo si vive molto meglio in un libro di altro genere: “Guerra in camicia nera” di Giuseppe Berto, che vi consiglio.
Ripeto, “Il codice Rebecca” non è un bruttissimo libro, ma sicuramente non può essere considerato tra i migliori di Follett. Non so, mi da l’idea che si sia annoiato pure lui a scriverlo ad un certo punto.

eheh, v'ho fregato eh?
E poi quel tormentone …
Ieri notte ho sognato di tornare a Manderley”!
Ma anche no!

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