lunedì 9 dicembre 2013

U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 4 - epilogo



Tre scheletri vestiti da frati.
Gli si avvicinarono, protendendo gli artigli. Poi, Burt scorse i loro denti: gocciolavano di veleno nero. Huecuva!, pensò.
Sparò al primo col fucile. La pallottola si conficcò ai piedi dello scheletro e gli innalzò attorno una gabbia di pietra. Il secondo huecuva colpì il Remington con l’artiglio, graffiò l’acciaio brunito della canna.
Il fucile era scarico e per mettere dentro altre due pallottole, ci sarebbe voluto del tempo, tempo che Burt non aveva. Così, fece scivolare il Remington nella tasca e afferrò la croce.
Un huecuva allungò gli artigli. Burt sentì una vibrazione al braccio sinistro. Urlò e fece un passo indietro. Istintivamente, sparò con la Colt. La pallottola, d’acciaio, rimbalzò innocua contro il cranio dello scheletrico frate.
Per quelli ci voleva argento puro.
Burt guardò il braccio, aspettando di vederselo già nero. L’artiglio aveva stracciato il cappotto, ma non aveva toccato la pelle.
Gli huecuva erano fra i pochi morti a essere originari della Terra e non del Mondo Fantastico. Risalivano ai tempi dei conquistador, perciò conoscevano la Croce e il suo potere. La vista del simbolo, costrinse il frate a proteggersi gli occhi morti e a indietreggiare. Il veleno nero gocciolò dalle zanne sul mento d’osso.
Burt vide uno dei sicari di Conroy alzare il fucile e si gettò a terra. La scarica a mitraglia spappolò il cranio dell’huecuva, lasciandolo una figura grottesca, senza testa. Un attimo dopo, la negromanzia che teneva assieme quello scheletro venne meno e lo huecuva finì a terra, in frantumi.
Così, gli uomini di Conroy avevano anche pallottole d’argento. Comprensibile: forse lo sciamano della CIA non si fidava appieno di quelli del Sinodo e, conoscendone il potere di rianimare i morti, s’era premunito.
E gli aveva fatto un favore.
Burt scaricò la Colt sull’uomo col fucile. Il primo colpo gli aprì un fiore di sangue sulla spalla. L’uomo finì a terra urlando.
A Conroy rimaneva un solo sicario. Otho, invece era ancora invisibile e aveva quattro negromanti. Più un huecuva… e un drago d’ossa.
Proprio il drago scattò. Le fauci si avvicinarono a Burt con la velocità di un treno.
E dalla Crown Victoria distrutta, scaturì un fulmine ramificato.
«Ted!» urlò Burt. Allora non era morto… non definitivamente almeno.
Il fulmine distrusse il muso del drago lasciandolo come un’orrida gallina senza becco.
Poi, lo huecuva fece scattare le zanne. D’istinto, Burt gli cacciò in bocca la pistola e ritirò la mano. Poi gli mise la croce sulla fronte. L’argento sfrigolò contro le ossa maledette e dalla bocca del morto uscì un urlo stridulo, mentre esso si contorceva e agitava le braccia.
Burt ritirò la croce e mise la mano in tasca. Le dita si chiusero attorno al bastone magico. Mentre Ted lanciava un altro fulmine, Burt corse verso il cadavere del mago del Sinodo e gli puntò il bastone addosso. Proprio mentre stava per rilasciare la magia, sentì uno strappo e finì a terra. Dalla pancia gli sporgeva l’estremità di una punta di ghiaccio. Qualcuno gli aveva scagliato contro un proiettile incantato!
Burt guardò…


Davanti a lui era apparso un uomo magro, di colore, dagli incisivi sporgenti. I capelli erano acconciati in lunghe e fini treccine e, sul cranio, stavano raccolti in due crocchie simili a orecchie di ratto. Al posto della tunica dei suoi colleghi, Otho indossava un Ermenegildo Zegna nero con bretelle e cravatta color oro. Aveva le dita cariche di anelli e un tirapugni col suo nome alla mano destra. Nella sinistra stringeva un bastone da passeggio dal pomello bianco ghiaccio. Da quello, aveva scagliato la punta che si trovava nel corpo di Burt.
Il marshal sentì un gran dolore scoppiargli dentro e urlò. Cadde all’indietro e rovesciò gli occhi.
Fugacemente, vide la tunica di Ted sfiorare l’orlo della terra rossa. L’elfo zombi era riuscito a liberarsi dal rottame dell’auto, evidentemente.
Ted svuotò il caricatore della pistola. Un mago cadde e un altro finì in ginocchio, colpito a una spalla. Otho deflesse le pallottole con uno scudo d’energia.
Ma Ted continuava ad avanzare. E aveva il collo piegato a novanta gradi verso la spalla.
Con la mano sinistra, l’elfo sparava fulmini ramificati a ripetizione, che Otho bloccava tramite lo scudo.
Conroy, frattanto, era salito sull’aereo e, assieme al suo ultimo sicario, cercava di prendere il volo.
Otho rilasciò lo scudo, per un attimo, e scaricò una palla di fuoco su Ted. Gli abiti dello zombi s’infiammarono. I capelli, biondi e serici, di Ted, bruciarono come paglia secca. La pelle si sciolse come una maschera di cera.
Otho aveva vinto. Aveva ferito Burt, distrutto la macchina e l’elfo zombi. Quello scherzo sarebbe costato un sacco di dollari ai contribuenti.
Lui e i suoi maghi, vennero sollevati in aria da elementali, assieme alle borse piene di droga.
«Adieu mon amì!» disse Otho, con un finto accento francese (Otho era del Bronx).
Burt lo guardò svanire, trasportato da vortici d’aria e polvere rossa.
Ted, ridotto a uno scheletro carbonizzato, scagliò un ultima, patetica scintilla elettrica.
L’aereo di Conroy, invece, fu lanciato da un elementale sulla pista come un Tomcat.
Burt lo vide ondeggiare sulle correnti ascensionali.
Poi il terreno gli venne incontro e gli cadde sulla testa.

fine

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