sabato 6 aprile 2013

Un cavaliere, la gravità, le vene varicose - racconto ambientato nel mondo di Spelljammer


Ho scritto questo racconto ispirato dall'articolo di Alex Girola sull'ambientazione "Spelljammer" del gioco di ruolo Advanced Dungeons & Dragons.

Da Wikipedia:
"L'ambientazione Spelljammer introdusse una sorta di astrofisica fantasy nella cosmologia di Dungeons & Dragons. In questa ambientazione le sfere di cristallo possono contenere vari mondi raggiungibili tramite l'uso di navi equippaggiate con "timoni spelljamming". Le navi che possiedono dei timoni spelljamming sono capaci di volare non solo nei cieli ma anche nello spazio. Grazie ai loro campi di gravità e alla loro atmosfera artificiale le navi hanno il ponte aperto e tendono ad assomigliare ai galeoni, agli animali, agli uccelli, ai pesci o persino a creature selvagge di forma fantastica piuttosto che alle astronavi della fantascienza."

Potete trovare l'articolo di Alex qui.

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1
«Milord, guardate!» Ezechiele mostrò il buco sotto la lastra che gli armigeri avevano rimosso.
Sembrava l’occhio di una creatura fatta di tenebra.
Il cavaliere smontò di sella, fece un passo e s’inginocchiò. Disse: «Luce!»
Ezechiele annuì e trotterellò verso uno dei due muli, aprì le borse e tirò fuori un involto, lo portò a mani giunte dal cavaliere mentre le prime gocce di pioggia bagnavano il terreno.
«Com’è possibile che piova, mio signore?» domandò Ezechiele.
Il cavaliere si sfilò il guanto di cuoio e tese la mano; senza staccare lo sguardo dal buco, disse:
«Ha a che fare con il calore e il respiro prodotto dagli esseri che vivono qui: il loro alito raggiunge gli strati più alti del campo gravitazionale e genera nubi che generano pioggia.»
«Deve essere così!» trillò Ezechiele.
«La sfera!» lo rimproverò il cavaliere. Ezechiele si diede una manata in fronte, poi aprì l’involto lasciando che la luce della sfera bagnasse i confini del buio.
Il cavaliere afferrò l’oggetto e lo tenne sospeso sopra il buco. Quindi aprì la mano.
La sfera cadde.
E lui si mise a contare.
«Milleuno, milledue, milletre, millequattro, millecinque.» bum, sentì il tonfo della sfera.
«Con quel conto è riuscito a capire quanto sia profondo il pozzo?» domandò Ezechiele.
«In teoria,» rispose il cavaliere, «nel nostro mondo potrei, ma in questo caso bisogna conoscere l’accelerazione gravitazionale e il peso esatto della sfera.»
«E … dunque?» domandò, trepidante, Ezechiele.
«Dunque spero di non rompermi le gambe quando salterò giù.» disse il cavaliere.
Gli armigeri risero e lui rise con loro.
«Mio signore … ehm, dove ha imparato tutto questo?» volle sapere Ezechiele.
Il cavaliere si alzò e, con noncuranza, gettò il guanto nelle proprie borse da sella, poi disse:
«Fu un mago, un viaggiatore del flogisto, a insegnarmelo.»
E, dopo una pausa, aggiunse: «Tanto tempo fa.»
La pioggia s’era fatta più intensa e bagnava il mantello del cavaliere, appesantendolo e appiccicandoglielo addosso; il cavaliere si tolse l’altro guanto, sganciò la fibbia e si tolse il mantello, lo arrotolò, lo strizzò e lo mise nelle borse, poi si girò verso Ezechiele e disse:
«L’armatura.»
Lo scudiero annuì e trotterellò verso uno dei muli – un esemplare grosso, con una cresta rossiccia – e cominciò a spacchettare l’armatura.
Con l’aiuto di uno degli armigeri, tolse la tela oleata che proteggeva il pettorale e sorrise:
«L’armaiolo ha fatto una grande opera, eliminando tutte quelle intaccature di spada, non credete?»
Il cavaliere annuì, poi si spostò verso la lastra di pietra, dove sedette. Quando tolse gli stivali, vide l’effetto della gravità più alta sotto forma di vene varicose che s’arrampicavano lungo il polpaccio come tentacoli d’un mostro. Si chiese se anche il cavallo ne risentisse. Pensò, poi, che fosse un male necessario: mantenendo – con un incantesimo permanente – la gravità più alta nel campo gravitazionale della Millennio del Re, l’equipaggio – cavalli e muli compresi – ci guadagnava in forza e resistenza, una volta ritornato alla gravità normale.
Lì, di sicuro, il cavaliere avrebbe beneficiato degli effetti di tale stratagemma.
L’altro armigero corse verso il mulo più grande e tirò fuori dalle borse un logoro paio di stivali che porse al cavaliere. L’eroe li prese e, dopo essersi fasciato i piedi con delle pezze di lana, li indossò.
Ezechiele stava spacchettando i gambali. Il cavaliere alzò una mano e disse: «Non saranno necessari.»
Lo scudiero annuì, poi afferrò il pettorale e, con quello, si avvicinò al cavaliere. Mentre questi stava seduto, Ezechiele gli assicurò il pettorale tramite robuste cinghie di cuoio, poi afferrò i bracciali, gli spallacci e le cubitiere che l’armigero gli andava passando e finì di vestire il cavaliere.
Per ultimo gli consegnò l’elmo; il cavaliere si mise sulla testa un cappuccio di maglia d’acciaio e indossò l’elmo, che assicurò con un sottogola di cuoio. Aprì la visiera.
«Scenderò da solo.» disse, poi schiuse la mano destra: «porgi la mazza, Ezechiele!»
Lo scudiero staccò una grossa mazza flangiata dalla sella del mulo rossiccio e la mise nella mano aperta del cavaliere. Le dita d’acciaio si chiusero attorno all’impugnatura.
Per ultimo, gli allacciarono in vita il cinturone con la spada.
«Lo scudo, sir?» domandò Ezechiele.
«La pistola!» disse il cavaliere. Ezechiele annuì e andò a prenderla: era fatta di legno brunito e aveva la canna ageminata d’oro, a forma di testa di drago. Il calcio era irrobustito e appesantito da una palla chiodata.
Il cavaliere prese la pistola, guardò uno per uno i suoi uomini e disse:
«Per gli Immortali! Vendicherò quella gente!»
Fece un passo e fu sull’orlo del buco. Si gettò nel vuoto.

2
Cadde per parecchio tempo, levitando come se fosse senza peso; di ciò dovette ringraziare gli stivali magici: facevano parte del suo tesoro, assieme alla sfera luminosa e alla spada.
Tenne la pistola carica e puntata davanti a sé, nel caso gli occupanti del sottosuolo si fossero fatti vivi anzitempo.
Quando atterrò, vide il globo di luce perenne che incantava la sfera, strappare brani dalle tenebre.
Annusò l’aria: era fresca e primaverile, molto diversa da quella in superficie.
Corrugò la fronte, si chinò, posò la mazza flangiata, afferrò la sfera e la fece rotolare nel passaggio.
Davanti ai suoi occhi galleggiò un tunnel scabroso e inclinato verso il basso.
Più avanti, c’era una porta.
Il cavaliere non si meravigliò di trovarla lì, benché fosse effettivamente fuori posto.
Si alzò e guardò in alto. la faccia di Ezechiele apparve dal bordo del buco.
«I miei stivali!» ordinò il cavaliere. Lo scudiero annuì e scomparve, per riapparire subito dopo con un paio di stivali. Li lasciò cadere.
Il cavaliere raccolse gli stivali e verificò che non si fossero rotti nell’impatto, poi attese.
Mettere e togliere calzature con tutto quell’acciaio addosso era un problema: una volta seduto a terra, il cavaliere non si sarebbe più rialzato. Perciò Ezechiele aveva costruito un seggiolino di legno di robusta quercia, pieghevole. Lo lanciò al cavaliere chiuso in un sacco di tela; il cavaliere lo afferrò, aprì il sacco, tirò fuori il seggiolino, lo aprì e vi si sedette.
La seduta era leggermente inclinata verso l’alto e concava, in modo che il cavaliere riuscisse a rialzarsi più facilmente senza, tuttavia, scivolare giù mentre cambiava gli stivali.
Era un’operazione rischiosa da compiere da solo, in un posto come quello, ma al cavaliere non importava.
Slacciò e sfilò gli stivali magici e indossò i suoi. Era bello sentire quelle pieghe di logoro cuoio, anche se inzuppate dalla pioggia.
Si alzò. Sentì una chiave girare nella toppa. La porta si aprì.
Il cavaliere afferrò la pistola e la mazza.
Alla luce della sfera apparve una creatura: sembrava un umanoide primitivo dalla pelle grigia; stava dritto, aveva un grugno da verro e canini pronunciati che sembravano zanne di cinghiale.
Disse una sola parola: «Umani!»
E sparò un dardo dalla balestra che aveva in pugno.
Sembrava un proiettile come gli altri e il cavaliere non vi avrebbe fatto nemmeno caso se questo, schiantandosi sulla parete alle sue spalle, non avesse creato un buco nero e freddo.
Quello che aveva sfiorato il cavaliere era un proiettile extra-dimensionale. Si otteneva infilando in una “testata” cava, di legno di balsa (quindi soffice) due scatole di legno di quercia, una più piccola dell’altra, separate da un foglio di carta di riso. Entrambe le scatole erano trattate da un mago con un incantesimo di “tasca extra-dimensionale” e le loro facce extra-dimensionali erano rivolte verso il bersaglio.
Quando il dardo aveva colpito il muro, il quadrello di balsa si era schiacciato, spingendo la scatolina piccola dentro quella grande – e bucando la parete di carta di riso. Le due “tasche”, entrando l’una nell’altra, avevano generato una pericolosissima faglia, tra questa dimensione e quella astrale, che aveva divorato ogni cosa nel raggio di tre metri – comprese le gambe posteriori del sedile pieghevole.


3
Il cavaliere caricò il nemico e spianò la pistola. L’altro cercò di infilare un nuovo proiettile nella balestra, ma il cavaliere fu più veloce e premette il grilletto. Una nube di fumo riempì l’angusto passaggio e fece tossire il cavaliere, che girò la pistola, facendola ruotare sul ponticello del grilletto e impugnandola per la canna.
Urlando, il cavaliere alzò e abbassò la pistola. La palla chiodata spaccò il grugno dell’umanoide, mentre il peso del cavaliere lo travolse e lo spinse indietro.
Cavaliere e nemico oltrepassarono la soglia in un viluppo d’acciaio e cuoio, calciando, inavvertitamente, la sfera di luce.
Un’esplosione.
Il braccio sinistro del cavaliere s’afflosciò, mentre spallaccio e cubitiera venivano attraversati da shrapnel metallici.
Un ricciolo di fumo si levò dallo schioppo che un altro umanoide teneva contro il fianco.
La sfera di luce finì nel nuovo ambiente e illuminò altri due umanoidi armati di spada; uno di essi era vistosamente più basso ed era abbigliato in maniera più ricca, con una sciarpa di seta color cremisi.
Il cavaliere cercò di non perdere l’equilibrio e si mantenne in piedi. Ricevette un colpo di spada dritto sul pettorale e barcollò all’indietro. Si appoggiò contro lo stipite e si diede lo slancio: alzò la mazza e l’abbatté sulla testa del nemico.
La mazza distrusse l’arcata sopraciliare dell’umanoide e fece schizzare sangue ovunque.
«Questo è per la gente che avete massacrato!» urlò l’eroe. L’umanoide lasciò andare lo schioppo e cadde, privo di sensi. L’altro, quello ferito dal colpo di pistola e dalla mazza chiodata, allungò la mano e artigliò gli stivali del cavaliere.
Nella stanza – una sorta di rozzo studio – c’erano un tavolo e quattro sedie. Uno dei due armati di spada  spinse una sedia col piede. La sedia finì addosso al cavaliere che era piegato in avanti per darsi slancio. L’umanoide a terra gli strinse uno stivale e la sedia, colpendolo, fece il resto: l’eroe fece un passo falso e finì a terra, in ginocchio; sbatté il mento sul bordo del tavolo e sentì il sapore ferrigno del sangue in bocca.
L’umanoide più alto alzò la spada e fece per abbatterla sulla testa dell’eroe; questi, alzando la mazza, tentò di deviare il colpo. La spada intaccò il manico di legno della mazza, spezzandolo. Il cavaliere prese un respiro: con tutte le sue forze, spinse il tavolo e, nel contempo, si alzò. Il tavolo gli parve leggero, per via della forza accresciuta, e finì addosso all’umanoide alto.
Al cavaliere non restò che sguainare la spada. Era un’arma lunga ed elegante, fatta col mithral nelle fucine dei nani.
L’eroe indietreggiò e aggirò il tavolo. L’avversario alzò la spada e menò un fendente, ma il cavaliere lo ripagò col trucco di prima, spingendogli contro una sedia. L’umanoide fu colpito e barcollò all’indietro.
L’altro, quello più basso, si accostò a una parete, rimise la spada nel fodero e spinse la roccia.
Il cavaliere vide la roccia aprirsi, ruotando come il battente di una porta, per poi precipitare giù, nel vuoto stellato.
Il nero del cosmo apparve davanti ai suoi occhi.
L’eroe ruggì e diede di sghembo all’umanoide alto. Che intercettò il colpo. La lama del cavaliere scivolò e si fermò sulla crociera dell’altro. L’eroe spinse la propria spada in avanti e ringhiò in faccia all’avversario:
«Avete ucciso quei contadini!»
L’umanoide sogghignò. Il cavaliere, furioso, gli sferrò una ginocchiata allo stomaco.
Poi lo spinse. L’altro andò a sbattere contro la parete. Il cavaliere lo superò e puntò al fuggitivo. Vide la sciarpa rossa svolazzare per uno sbaffo d’aria fredda. Alzò la spada e urlò: «Fermati!»
Il vuoto dello spazio fu attraversato dalla prua di una nave. L’umanoide fece un balzo e s’aggrappò ad una corda. Poi si girò a guardare il cavaliere.
E sorrise.
L’eroe non avrebbe potuto tentare un salto del genere, non con l’armatura addosso e con il braccio sinistro pieno di shrapnel.
Perciò guardò, impotente, l’umanoide salutarlo dalla nave e allontanarsi nel cosmo.
Non ebbe il tempo di venire assalito dalla rabbia: sentì un ringhio alle spalle, si girò. Quello che era finito contro la parete adesso stava in piedi e brandiva la spada.
Il cavaliere mise la propria lama di traverso e deflesse il colpo, poi fece scattare la punta della spada verso l’alto, affibbiò una testata al grugno dell’altro e sentì le zanne spaccarsi contro l’acciaio dell’elmo. Diede una ginocchiata all’umanoide; quello sbatté ancora contro la parete, allargando le braccia ed esponendosi. L’eroe gli fece scivolare novanta centimetri di mithral nello stomaco. La creatura sputò sangue scuro e s’afflosciò; il cavaliere le puntò lo stivale sull’inguine e sfilò la spada. Poi fece un passo e tornò a guardare il vascello nemico. Quando quello divenne solo un puntino confuso con le stelle, l’eroe sospirò, si girò e pulì la spada sul cadavere.
Se era uno studio, forse, c’erano documenti, carte. Perché si erano fermati in quella tana sotterranea?
Se c’era qualcosa, l’aveva presa lui, il fuggitivo.
Il cavaliere sbuffò e rimise la spada nel fodero, afferrò una sedia e ripercorse i suoi passi fino al buco nel soffitto.
Lungo la strada, raccolse la sfera luminosa.
Ezechiele apparve dall’alto; aveva l’aria preoccupata:
«Mio signore!»
l’eroe lo guardò, con un’espressione stanca, e disse: «Eh?»
«Tutto … bene?» domandò lo scudiero.
Il cavaliere poggiò la sedia e ci crollò sopra. Disse:
«Torniamo al vascello e inseguiamo quegli orchi: voglio portare la testa del loro capo ai sopravvissuti dell’asteroide agricolo.»
«Sì milord … »
Poi il cavaliere si tolse gli stivali e sbuffò, guardando le vene varicose.
Si massaggiò i piedi, indossò gli stivali magici, prese i suoi, mise la sfera dentro uno stivale, poi levitò, adagio, fino all’orlo della voragine.
Ezechiele gli sorrise: «Milord!»
Gli armigeri lo salutarono: «Milord.»
Il cavaliere annuì, si tolse l’elmo e lo diede allo scudiero. Poi allargò le braccia, come per un gesto di impotenza.
Ezechiele e gli armigeri gli tolsero spallacci e cubitiere e sganciarono il cinturone e il pettorale.
Pioveva ancora.
L’eroe si sedette sul terreno infangato. E si tolse gli stivali magici. Rivoltò lo stivale, lasciò cadere la sfera, indossò gli stivali, si alzò, impugnò la sfera e la diede a Ezechiele.
Poi montò in sella.
«Andiamo a caccia!» disse.

12 commenti:

  1. «Con quel conto è riuscito a capire quanto sia profondo il pozzo?» domandò Ezechiele.
    «In teoria,» rispose il cavaliere, «nel nostro mondo potrei, ma in questo caso bisogna conoscere l’accelerazione gravitazionale e il peso esatto della sfera.»

    E che se ne fa del peso esatto della sfera?

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    1. A seconda del peso la sfera cade più o meno rapidamente, quindi contando e tenendo conto del suo peso si potrebbe stimare la profondità del pozzo. Avevo una formula - la cerco negli appunti e la scrivo.

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    2. Ehm... no.

      La velocità di caduta di un corpo non dipende dalla massa (perché tu volevi dire massa, non peso, che è un'altra cosa), che non influisce nemmeno quando prendi in considerazione l'attrito dell'aria (in questo caso, conta la superficie del corpo).

      Mai visto l'esperimento in cui due oggetti diversi in caduta libera nel vuoto toccano il fondo contemporaneamente?

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    3. Il cavaliere, pur sapendo una cosa o due in più di un cavaliere medievale "standard", chiama la "massa" "peso", facendo un'imprecisione.

      Sì, la teoria di Galileo e l'esperimento di Boyle che ho trovato qui: http://ebook.scuola.zanichelli.it/amaldiscientifici/volume-1/le-forze-e-i-moti/il-moto-circolare-uniforme/document-13#270

      Ma, posto che qui parliamo di un pozzo con una propria atmosfera, aria, quindi non vuoto, il dialogo avviene fra il cavaliere e il suo scudiero e il cavaliere cita, come suo maestro, un mago: dunque è possibile che cavaliere e mago siano ignoranti sul fatto e dicano delle inesattezze.

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    4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    5. Beh, se le inesattezze sono volute, tanto meglio. Siccome sembrava dover essere un cavaliere con qualche nozione di fisica, ti correggevo gli errori.

      (E se anche non ci fosse il vuoto, ma aria, della massa non te ne fai niente)

      (Ah, immagino che la formula che cercavi negli appunti fosse s=1/2 gt^2...)

      (mi ero dimenticato l' 1/2)

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    6. O meglio, te lo concedo: la massa del corpo entra in gioco nel calcolo della velocità limite in caduta dovuta all'attrito, ma stiamo parlando di cadute da migliaia di metri.

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    7. Dai tu ti sei dimenticato l'1/2; io avevo messo una rete elettrificata in acqua ...

      Le inesattezze sono volute: il cavaliere è un po' sopra rispetto alla media, pur rimanendo, però, un uomo di tempi antichi.

      La formula era proprio quella.

      Fai benissimo a correggermi!

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    8. Ho realizzato solo ora: tu ti sei reso conto che quel poveraccio ha contato per una ventina di minuti prima che la sfera toccasse il fondo, e che quindi poi s'è fatto in volo di almeno una quarantina di minuti?

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    9. No, lui contava i secondi; per contare il passaggio di un secondo devi aggiungere mille alla cifra sequenziale, così, dicendo quel "mille" in più, fai passare (circa) un secondo.

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    10. Ah ok, per fortuna (sua)...

      Io sapevo la versione americana (1 - mississippi - 2 - mississippi, o anche 1 - ippopotamo - 2 - ippopotamo), ma in effetti non si prestava molto.

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    11. No, non si prestava molto, ma mi hai dato più spunti di quanti pensi!

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