Di pomeriggio, quando tutti
dormivano, il bambino s’annoiava e voleva giocare. Spesso, allora, dopo che la
mamma l’aveva messo a letto, lui saltava in piedi e camminava per la casa
silenziosa.
Era una grande e bella casa, con
le persiane di legno chiaro bloccate da piccoli oggetti che il nonno chiamava
“Anitaegaribaldi”. Si trattava di teste in ferro montate su una sorta di perno.
Si bloccavano e sbloccavano, trattenendo le ante delle persiane.
Durante il pomeriggio, al bambino
non era permesso di uscire. Il papà aveva detto che bisognava stare dentro. Lui
allora si metteva dietro le persiane chiuse e guardava le lame di sfolgorante
luce entrare dalle scalette.
Dentro quei fasci c’erano una
miriade di cose piccolissime che il bambino chiamava “pelucchi”; sembravano
nuotare nell’aria, lentamente, per poi svanire una volta usciti dai confini del
fascio.
Quel giorno, si mise a disegnare.